1907: la tesi di laurea di Sebastiano Schiavon sul “sermo cotidianus” di Cicerone
Quando nel 1998 ho iniziato la ricerca su Sebastiano Schiavon – scrive Massimo Toffanin – ho consultato per primo l’Archivio storico dell’Università di Padova. Qui ho rintracciato la sua tesi di laurea De Ciceronis epistularum sermone scritta nel 1907 a mano in lingua latina, che ora ripropongo per il centenario della sua morte in edizione anastatica e in numero limitato di copie”.
Sebastiano Schiavon nasce a Roncaglia di Ponte san Nicolò nel 1883 da una famiglia contadina. Si laurea in lettere nel 1907. Si preoccupa subito di utilizzare la preparazione culturale e gli insegnamenti della “Rerum Novarum” per realizzare il suo progetto: dare dignità a quella classe sociale più debole, appunto i contadini, da cui proveniva. Interpretando il sentimento della base contadina, nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, si dichiara ostile alla stessa. Con la dichiarazione di guerra del 24 maggio, il 1° giugno Schiavon pubblica un proclama in cui annuncia di voler subito operare in difesa di chi è in vario modo vittima della guerra, fondando i “comitati di preparazione civile” per aiuti morali e materiali alle famiglie dei combattenti. Nel 1919 è uno dei fondatori del nuovo Partito popolare italiano di don Sturzo. Pur rieletto per la seconda volta in parlamento nel 1919, nelle liste del Partito popolare, nel 1920 non viene più confermato. Muore a Padova a soli 38 anni.
Per comprendere a fondo la personalità di Cicerone serve un’ampia lettura dell’epistolario che rivela il lato umano e domestico della sua personalità. Questo perché non si preoccupò di ricoprire le lettere con lo smalto dell’opera d’arte “ufficiale” e lasciò parlare liberamente il suo animo, senza porre freno ai suoi sentimenti; tanto è che suo fratello Quinto un giorno scrisse: “Ti ho visto tutto intero nella tua lettera”. La raccolta, la sistemazione e la pubblicazione delle lettere ciceroniane è dovuta a persone molto vicine a lui: il fedele liberto e segretario Tirone e l’amico del cuore Attico. Le lettere di Cicerone a noi pervenute sono 864, suddivise in quattro raccolte: Epistulae Ad Atticum (16 libri), Ad Familiares (16 libri), Ad Quintum Fratrem (3 libri), Ad Brutum (2 libri). Esse occupano – dichiara Roberto Ravazzolo – nel panorama della storia della letteratura antica, un posto di grande rilievo, poiché costituiscono un documento tra i più singolari dello spirito umano, forse il più ricco e vivo tramandatoci dall’antichità.
Cicerone nelle sue lettere si avvale del “sermo cotidianus”, “pedestris”, come lo chiama Orazio. Alla varietà della cosiddetta lingua dell’uso corrente è dedicata una celebre monografia di J.B. Hofmann, uscita nel 1926: “Die lateinische Umgangssprache”, che, a quasi un secolo dalla prima edizione, conserva pressoché intatto il suo valore ed è oggi disponibile anche in traduzione italiana (La lingua d’uso latina, Bologna, Pàtron 1985). L’epistolario offre una testimonianza della lingua d’uso delle classi colte. Specie nelle lettere non ufficiali ci troviamo di fronte a un latino decisamente diverso da quello dei trattati e delle orazioni.
Nel latino parlato si potranno distinguere diverse varietà: il sermo familiaris (la conversazione colta), il sermo vulgaris (il latino parlato dalla gente comune), il sermo plebeius, con l’eventuale ulteriore accentuazione in senso plebeo della lingua dei militari.
Ma quanto sappiamo noi del latino non classico? Il limite più grande contro cui ci si imbatte nello studio del latino parlato è costituito dal fatto che tutta la documentazione latina è scritta, e la lingua scritta, anche là dove per scelta tende a rappresentare in modo diretto la lingua colloquiale (Petronio, per fare un nome), non sarà mai riflesso immediato e totale del parlato. Per conoscere il latino parlato dobbiamo dunque ricorrere a documenti che comportano comunque uno scarto rispetto ad esso: le nostre fonti sono costituite dagli autori che per ragioni espressive o di imitazione si accostano alla lingua parlata (ad esempio Plauto), dalle epigrafi, soprattutto le meno impegnative, dai grammatici, soprattutto quando condannano forme proprie della lingua parlata contrapponendole alle forma corretta, dalle continuazioni romanze, che talora ci rimandano a forme sicuramente esistite nella lingua parlata, ma non documentate da nessun testo (ad es. l’italiano alzare, il francese hausser, lo spagnolo alzar ci obbligano a ricostruire un latino volgare *altiare, mai attestato). Né va dimenticata l’esistenza di varietà locali: il latino certo non era parlato allo stesso modo a Roma, in Spagna, in Gallia e così via. In realtà i tentativi di afferrare nei testi una più o meno marcata coloritura locale hanno dato scarso esito: la Patavinitas di Livio, per esempio, per noi è fantasma più che realtà afferrabile.
Anche le lettere di Cicerone costituiscono uno spaccato interessante di questa lingua d’uso o sermo cotidianus, limitatamente alla conversazione delle classi colte. All’amico Papirio Peto scrive: quid tibi ego videor in epistulis? Nonne plebeio sermone agere tecum?… epistulas cotidianis verbis texere solemus (come ti sembro nelle lettere? non ti pare che io conversi con te con un linguaggio plebeo? … le lettere di solito, le costruisco con le parole di tutti i giorni (Ad Familiares IX 21,1).
In sintesi possiamo considerare la tesi di laurea di Sebastiano Schiavon come un segno dell’interesse diffuso per il latino parlato testimoniato nelle lettere di Cicerone, che, si avvale di una sintassi semplice, in cui prevalgono la paratassi e un lessico “familiare”, ricco di forme colloquiali (non si dimentichi che il grande oratore nella lingua quotidiana preferiva il greco al latino). I registri usati sono molteplici: da quello colto e raffinato dell’intellettuale che utilizza con pari abilità la lingua greca e quella latina (in molte lettere ci sono citazioni in greco, oppure il discorso alterna vocaboli greci e latini) a quello colloquiale del padre preoccupato per la salute dei suoi cari, da quello squisitamente letterario del trattato a quello emotivo e ricco di pathos del politico deluso, fino a quello scherzoso dell’uomo di mondo che si abbandona alla battuta.
Lo Schiavon spiega la scelta del genus familiare et iocosum a partire dagli argomenti trattati e dai destinatari, mentre il plebeius sermo sarebbe giustificabile considerando i tempi e le circostanze in cui le lettere sono state scritte e, in parte, l’influenza del linguaggio dei comici.
Leggiamo l’inizio del testo De Ciceronis epistularum sermone:
“Quibus melioribus verbis de in epistulis Ciceronis familiari sermone disserere incipiam, quam illis, quibus Cicero ipse, ubi de epistularum generibus scripsit, usus est? Nullum scilicet testem certiorem et fide digniorem invenire possum, quum in epistulis, quae ad familiares vocatur dicit: «Epistularum genera multa esse non ignoras, sed unum illud certissimum, cuius causa inventa res ipsa est, ut certiores faceremus absentis si quid esset quod eos scire, aut nostra aut ipsorum interesset. Huius generis litteras a me profecto non expectas; domesticarum enim rerum tuarum domesticos habes et scriptores et nuntios; in meis autem rebus nihil est sane novi. Reliqua sunt epistularum genera duo quae me magnopere delectant, unumve familiare et iocosum, alterum severum et grave». Etenim quid aliud epistularum quam orationum ad familiaria colloquia demissum genus est? Cicero nunc epistulas in duo genera divisit: unum severum et grave, multarum rerum scientia praeditas, alterum familiare et iocosum plenissimas amoris, humanitatis, officii, diligentiae epistulas complectens, in quibus absentium mutuus sermo a domestico colloquio haud multum abhorret; immo, si nobis, quod in animo est, semper dicendum, hoc magis magisque ot cum ad amicos scribamus. Nam ubi epistulas scribis, eum, cui mittas, adesse, teque viva voce nuntium vel consilium dare, amicum commendare, officia petere resque omnes coram agere, tibi putandum est putandum est, eaque ratione qua collequeris, scribendum. Agesne iocans? et sic scribes; an verba verecunda sine fuco et fallaciis? Item scribis. Quodsi Cicerone magistro uti vis, facile senties quo modo eiusdem epistulae ad legentis pectoris ima accedant, totumque auctoris animum manifestum faciant. Nullius sane epistularum collectio tam eximia, quam Ciceronis, cum pari sermone tum magni momenti rebus virorumque, ad quos mittat, dignitate, unquam confecta est.
Per dissertare sul linguaggio quotidiano usato da Cicerone nelle lettere, quali parole sono più adatte di quelle utilizzate dallo stesso Cicerone, nei passi in cui scrive sul genere epistolare? Non riesco a trovare un testimone più informato e degno di fiducia, quando in una delle lettere dette Ad Familiares (la quarta del secondo libro) dice: «Tu sai che ci sono molti tipi di lettere; ma l’unico ben definito è quello al quale dobbiamo l’invenzione stessa del genere epistolare, quello cioè che è nato dal desiderio di informare gli assenti, nel caso ci fosse qualcosa di cui a noi o a loro importasse renderli partecipi. Di sicuro tu non ti aspetti da me questo tipo di lettere; dei tuoi affari domestici hai sia corrispondenti che messaggeri, e quanto alle mie faccende non c’è nulla di nuovo. Ci sono poi due generi di lettere, che mi sono molto care: uno confidenziale e scherzoso, l’altro serio e impegnativo». Infatti quale altro tipo di lettere e di discorsi è portato al livello delle conversazioni familiari? Ora Cicerone ha diviso le lettere in due gruppi: uno serio e impegnativo, comprendente lettere ricche di informazioni su moltissimi argomenti, l’altro confidenziale e scherzoso, comprendente lettere traboccanti di affetto, di benevolenza, di cortesia, di premura, nelle quali la corrispondenza tra persone lontane fa uso di un linguaggio non molto diverso da quello della conversazione domestica; anzi se dobbiamo dire quello che pensiamo, questo si verifica sempre più quando scriviamo a degli amici. Infatti, quando scrivi delle lettere, devi immaginare che colui al quale scrivi sia presente, e che tu trasmetti a viva voce una notizia o un consiglio, raccomandi un amico, chiedi dei favori. Devi scrivere con lo stesso criterio con cui conversi. Lo fai in tono scherzoso? e scrivi così! oppure usi parole castigate, senza fronzoli e raggiri? Scrivi alla stessa maniera! se vuoi tenere Cicerone come maestro, avvertirai con facilità come le sue lettere arrivino al cuore del lettore e manifestino completamente le intenzioni dell’autore. Di nessun altro c’è giunta una raccolta tanto straordinaria di lettere come quella di cicerone, sia per equivalenza di linguaggio sia per importanza di argomenti e prestigio dei destinatari.