Il nostro progetto

Nell’autunno del 1921, il giornalista dell’Avvenire d’Italia di Bologna (l’attuale Avvenire), Luigi Agostino Mondini, viene nominato direttore di un quotidiano – fondato ufficialmente il 31 dicembre 1921 – le cui pubblicazioni inizieranno nel gennaio del 1922, a Padova, e che diverrà l’organo regionale del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo. Si tratta de “Il Popolo Veneto”, chiamato a subentrare alla precedente testata cattolica padovana “La Libertà”.

Sebastiano Schiavon, che aveva concluso la sua esperienza parlamentare a causa dell’opposizione dei compagni di partito (i quali gli avevano preferito, per le nuove elezioni, candidati “più moderati”), riceve dall’amico e coetaneo Mondini la proposta di un impiego come ispettore all’interno del nuovo giornale: ma la sua salute, certamente minata dall’impegno profuso negli anni oltre che dalla delusione per l’ostracismo politico subito, peggiora rapidamente fino a portarlo alla morte prematura, ad appena 38 anni, il 30 gennaio 1922, un mese dopo la nascita della nuova testata. Le pubblicazioni proseguiranno poi fino al 1925, quando il quotidiano verrà soppresso dalle leggi fasciste.

Nel 2017 il Centro Studi Onorevole Sebastiano Schiavon organizza un convegno, un concerto e una mostra fotografica a Galliera Veneta. Qui Massimo Toffanin viene a sapere che esiste online un giornale con la testata Il Popolo Veneto e con il sottotitolo giornale fondato nel 1921: l’allora proprietario e direttore conferma essere la testata del ’21. Lo stesso giornalista è costretto a chiudere Il Popolo Veneto, in quanto non ha più tempo da dedicare al giornale, e nel 2022 pone a Toffanin una domanda secca: lo vuoi tu? Richiesti di un consiglio, gli amici del Centro Studi e altri reagiscono dicendo “eh, sarebbe una bella cosa far rivivere Sebastiano Schiavon”. Allora Toffanin accetta e così, con la disponibilità di Stefano Valentini ad assumerne la direzione responsabile, la testata de Il Popolo Veneto, giornale fondato nel 1921, viene iscritta al registro stampa del tribunale di Padova per iniziare, un secolo dopo, questa nuova avventura.

“Il Popolo Veneto”, storicamente, fu uno spazio di riflessione e proposta per le istanze dell’epoca – legate soprattutto ai principi e alle direttive della dottrina sociale della Chiesa, elaborata tra fine Ottocento e inizio Novecento quale risposta ai problemi e ai conflitti di natura sociale ed economica – e alle rivendicazioni politiche e sindacali di quelle fasce di popolazione, in larghissima prevalenza contadine e rurali, per le quali diritti e tutele risultavano, in precedenza, di fatto inesistenti.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che una figura come quella di Sebastiano Schiavon, nato a Ponte San Nicolò (Padova) nel 1883, deputato del Parlamento nazionale e tra i fondatori del Partito Popolare nel 1919, avrebbe trovato nel quotidiano “Il Popolo Veneto” una solida consonanza d’idee, esperienze e prospettive.

La sua attività politica e sindacale, cui dedicò sin dalla giovinezza la totalità della vita e del proprio impegno, fu infatti interamente rivolta alla difesa e al sostegno delle popolazioni braccianti: animatore dei primi scioperi cattolici nelle province di Padova e Vicenza, fondatore del sindacato veneto dei lavoratori della terra, organizzatore delle leghe bracciantili cattoliche nonché, dalla sua posizione di deputato, patrocinatore degli aiuti in soccorso dei profughi dell’Altopiano di Asiago, dopo la “spedizione punitiva” austroungarica del 1916.

Schiavon fu pertanto, nel senso più pieno e nobile del termine, un difensore degli ultimi, nel nome di un’etica fondata sull’umanità e sulla giustizia. Quando “Il Popolo Veneto” nacque, lui era al termine della sua breve vita, ma quel giornale si inserì nel solco da lui segnato.

La nuova fase della pubblicazione che intraprendiamo ora, pur in epoche e modalità molto differenti, non può non tener conto di quelle lontane radici. Tener vivo il nome della testata, “Il Popolo Veneto”, ha quindi a che fare assai più con quei valori originari che con le moderne istanze di autonomia o specificità regionale: che sono sicuramente legittime, ma in questi ultimi decenni contaminate da posizioni politiche che non sono le nostre, soprattutto per essersi trasformate in pretese e rivendicazioni imperniate sulla divisione. Su tutto si può confrontarsi, poiché nessun tema è a priori un tabù; a patto vi sia però sempre, alla base, un confronto argomentato e civile che trovi sostanza e fondamento non nei particolarismi, anche quando ragionati e motivati, bensì in un’idea coerente e condivisa di bene comune.

Rispetto ad un secolo fa, i tempi sono molto cambiati, così come è cambiata la società: un mutamento che si è sviluppato nel corso dei decenni e che sta oggi assumendo prospettive impensate e persino frenetiche, a causa dei rapidissimi progressi tecnologici e dell’ampliamento, che è anche stravolgimento, dei processi comunicativi e d’informazione. Tuttavia, tra le molte enormi differenze, una cosa appare oggi più che mai necessaria e urgente, non diversamente da cent’anni fa: il ricorso ad una idea di etica sociale che possa servire da robusto riferimento tanto per le idee, quanto per le azioni che dalle idee dovrebbero procedere.

È infatti sotto gli occhi di tutti come la nostra società, in questo tempo nuovo di benessere e progresso, consegua traguardi entusiasmanti che tuttavia solo potenzialmente risultano vantaggiosi per la generalità delle persone: in realtà, le ineguaglianze e le divisioni sembrano cronicizzarsi e, anzi, moltiplicarsi e ramificarsi in forme nuove e sempre più deteriori. Quel che un tempo era povertà materiale, resa esplicita dalla miseria delle condizioni di vita, viene oggi celata sotto il mantello dorato delle teoriche opportunità, in verità inaccessibili a molti se non ai più.

Per questo il grande tema di fondo, quello che vorremmo potesse rappresentare un’ispirazione per quanti collaboreranno e per quanti ci leggeranno, non può che essere lo stesso di cento anni fa, oggi come allora: la giustizia sociale, che non è battaglia di partito, schieramento o ideologia né velleità di irrealistiche eguaglianze, ma base stessa di una convivenza civile realmente etica e democratica, che salvaguardi e favorisca la dignità di ciascuno.

La nostra redazione è composta di persone che in questi ideali si riconoscono e che, ciascuno con le proprie competenze nei vari ambiti in cui Il Popolo Veneto si articola, sono pronti ad offrire un contributo di idee e pensiero in grado di leggere la realtà quotidiana, sia attraverso notizie sia tramite spunti di riflessione da cui possano, anche, derivare proposte.

Non c’è alcuna utopia in tutto questo, perché è un modo d’essere e pensare (e possibilmente agire) ben prima d’un programma o d’un insieme di regole. Quel modo d’essere, pensare e agire che animava chi, come Sebastiano Schiavon e quanti ne proseguirono l’impegno, dovette farsi carico di operare in un contesto nel quale i pur minimi diritti, per larghissima parte della popolazione, non esistevano ancora. Il cammino compiuto ha reso quei diritti teoricamente imprescindibili, ma spesso più ipotetici che reali. Per questo chi scriverà su questo periodico, mettendo a disposizione le proprie competenze ed esperienze, e chi lo leggerà, farà tesoro di quell’idea di bene comune, e di giustizia sociale, che è al tempo stesso una prospettiva da cui guardare e alla quale tendere.