Un diverso rapporto tra azienda e dipendenti

Colazione, corsi di yoga, meditazione: San Marco Group promuove nuove modalità per incrementare il benessere e la produttività

Riceviamo, e volentieri riproduciamo, l’intervista di Margherita Montanari alla direttrice delle risorse umane Mariluce Geremia: la notizia è stata ripresa anche dal Corriere della Sera, con un commento del direttore Ferruccio de Bortoli.

Oggi i giovani cambiano lavoro più spesso? L’azienda incentiva il turnover interno, offrendo opportunità di crescita in team diversi. I tirocinanti faticano a trovare alloggi accessibili? Viene messa a disposizione una foresteria. Per rafforzare il legame con la sede aziendale, dopo il lavoro si organizzano attività come yoga e corsi di degustazione. E per contrastare la bassa produttività mattutina? Si offre la colazione in ufficio. Ogni problema ha una soluzione. È con questo approccio che San Marco Group ha costruito, negli anni, il suo piano di welfare aziendale. Tra iniziative più comuni e altre più creative, l’azienda familiare di Marcon (Venezia) specializzata in vernici per l’edilizia e presente in 100 Paesi, ha saputo rispondere in modo strategico alle esigenze dei lavoratori. Il risultato è misurabile nel miglioramento della produttività, nella maggior attrattività dell’ambiente di lavoro e nella riduzione del turnover. A raccontarlo è Mariluce Geremia, vicepresidente e direttrice delle risorse umane dell’impresa, imprenditrice alla quarta generazione del gruppo veneto.

Lei ha raccontato della pausa colazione introdotta nella sua azienda. Da quale esigenza nasce questa iniziativa?
«
Lo spunto è venuto dai questionari sul clima aziendale che sottoponiamo ai nostri dipendenti ogni due anni. Nel 2023, soprattutto dai questionari dei più giovani, è emersa la fotografia di una generazione che viene in azienda senza aver fatto colazione. Abbiamo approfondito questo dato, incrociandolo con i dati sulla produttività dei lavoratori al mattino. E ci siamo resi conto che c’erano livelli più bassi di produttività. Così, un po’ con lo spirito di genitori di famiglia, abbiamo lanciato la colazione in azienda. E abbiamo visto un miglioramento su indicatori oggettivi, come il tempo utilizzato in magazzino per confezionare il prodotto per la spedizione».

Quale è stata la reazione dei dipendenti?
«
Oltre 100 persone ne usufruivano quotidianamente. La prova estiva è stata un successo. A marzo ripartiamo. Vedendo il successo che ha avuto, abbiamo organizzato, dopo il lavoro, corsi di degustazione o lezioni di yoga e meditazione. I colleghi, in situazioni di convivialità, imparano a conoscersi e affrontano meglio anche le questioni lavorative».

Oltre alla produttività, ha avuto altri effetti positivi queste azioni di welfare?
«
Abbiamo notato anche una diminuzione del ricorso allo smart working. L’organizzazione di attività di valore spinge i dipendenti a venire in sede e per noi è un plus. Leggo di molte imprese che ora stanno facendo un passo indietro sul lavoro da remoto. Lo trovo grave: ormai è un diritto acquisito. Meglio trovare modi che incentivino il lavoro in azienda. Per noi ascoltare i dipendenti e capire cosa funziona ci aiuta a raggiungere i risultati».

In questo periodo, molte imprese sono in difficoltà nel reperire persone qualificate. Queste politiche sono state anche una leva di attrazione?
«
È così. Anni fa stavo corteggiando un candidato di 28 anni per una posizione manageriale. Veniva da una grande compagnia di consulenza. Stavo facendo fatica a convincerlo. Una mattina è passato in azienda. Durante una visita in azienda, ha conosciuto altri giovani e scoperto il nostro ambiente di lavoro. Una settimana dopo ha accettato il posto».

C’è stato un episodio o un momento chiave che vi ha spinto a investire nel welfare aziendale?
«
Già quando alla guida dell’azienda c’era mio padre, e prima ancora con mia nonna, esistevano politiche di welfare, anche se non si chiamavano così. L’attenzione alle esigenze dei lavoratori l’ho imparata proprio da mia nonna, che fino a 90 anni è venuta in ufficio a lavorare. In quel periodo, eravamo tre generazioni in azienda».

A tal proposito, come fate dialogare tra loro dipendenti di diverse generazioni e come valorizzate i più giovani?
«
Dati statistici e sociali ci dicono che non c’è mai stato un divario così grande tra le due generazioni presenti in azienda. Riscontriamo una spaccatura e su questo stiamo lavorando. Siamo un’azienda giovane ai vertici: mio fratello, presidente e amministratore delegato, ha 37 anni, io ne ho 44. Ai giovani diamo la possibilità, attraverso la meritocrazia, di mettersi in gioco».

Come?
«
Attraverso il percorso “Future is fast” incentiviamo la partecipazione dei giovani a gruppi di lavoro in cui possano farsi conoscere ricoprendo ruoli di responsabilità. Poi incentiviamo il ricambio interno. In media facciamo 50 assunzioni ogni anno e ogni posizione aperta viene mostrata anche ai dipendenti. Questo facilita le progressioni di carriera all’interno della nostra azienda e riduce le dimissioni».

E il turnover volontario è effettivamente calato?
«
Sì. Nel 2024 è sceso al 5 per cento, contro il 6 del 2023, e rispetto a una media di mercato nel settore del 7 per cento».

Quali profili avete più difficoltà a trovare?
«
I profili con competenze tecniche. Per averli, ne formiamo 5 ogni tre anni, attraverso un’accademia interna».

E le competenze più preziose nei talenti che cercate?
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Non mi piace la parola talento. Non cerchiamo geni, ma giovani che si assumano responsabilità e abbiano voglia di crescere. Le competenze più preziose? Quelle soft. In primis la capacità di adattarsi ai cambiamenti».

La congiuntura economica è critica e il rischio è che le imprese – soprattutto le più piccole – rimandino gli investimenti o non abbiano le forze per strutturare piani di welfare aziendale. Cosa potrebbe fare il pubblico per incoraggiare l’adozione di politiche aziendali rivolte al benessere della persona?
«
Al momento le aziende hanno un carico di welfare e di assistenza alle famiglie. Gli aiuti ci sono, ma serve una linea almeno triennale, senza cambi di direzione improvvisi, per dare alle aziende la possibilità di sviluppare piani strategici».

Tra gli obiettivi per il 2025, nell’ambito del welfare, cosa si può citare?
«
Come risorse umane, abbiamo obiettivi collegati al piano di sostenibilità sulla parità di genere. Già nel 2024 abbiamo superato l’obiettivo del 20 per cento di donne, arrivando al 24. Sembra poco, ma nei nostri settori – edilizia e chimico – è un valore più alto della media. Avremo anche percorsi di formazione tecnica e progetti di valutazione delle performance».

Dopo l’insediamento di Donald Trump alcune grandi aziende, come Meta, hanno fatto lo stesso sulle politiche per inclusione, equità e diversità (DEI). Teme un passo indietro anche delle imprese italiane?
«
È impossibile tornare indietro. Per le nuove generazioni sono tematiche fondamentali». 

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