Ariano nel Polesine dopo la bonifica di inizio Novecento
Un resoconto storico sui problemi degli anni 1908-1913
L’articolo esamina le iniziative, intraprese dall’amministrazione comunale liberal-moderata di Ariano nel Polesine tra il 1908 e il 1913 per rispondere alle necessità della popolazione, rapidamente aumentata dopo la bonifica dell’Isola. La classe dirigente locale, impegnata in un programma di potenziamento delle infrastrutture e dei pubblici servizi, punta a soluzioni radicali per riequilibrare il crescente deficit delle finanze comunali. A questo scopo sottopone formale richiesta al Parlamento del Regno di approvare una legge speciale, che consenta l’imposizione di un tributo straordinario sui proprietari dei fondi bonificati, che pagavano le sovrimposte in base al bassissimo estimo catastale pre-bonifica. L’azione, tesa ad acquisire le risorse necessarie, perseguita con tenacia dal consiglio comunale con a capo il sindaco avvocato Gaetano Pavanati, sostenuta dai deputati polesani Angelo Papadopoli e Italo Pozzato, si proponeva di realizzare la perequazione fiscale fra tutti i proprietari terrieri. Anche se Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio e ministro dell’Interno eluse la proposta, di questa breve e intensa stagione rimane degno di nota lo sforzo di progettazione prodotto dalla civica amministrazione.
1. I bisogni della popolazione
Nel decennio 1901-1911, la popolazione del comune di Ariano nel Polesine passò da 6781 a 9380 unità, con un incremento complessivo – mai riscontrato in precedenza – di 2559 persone.
A questo fenomeno contribuirono l’eccedenza delle nascite sulle morti (1752) e il flusso migratorio in entrata (1847) superiore a quello in uscita. L’attrazione esercitata dalla bonifica dell’Isola di Ariano, un evento determinante per lo sviluppo economico-sociale, contribuì in larga misura a questo balzo demografico e alla tendenza del ceto rurale ad espandersi verso la periferia, in borgate e frazioni prossime ai luoghi di lavoro.
Con l’aumento della popolazione, le strutture dei pubblici servizi comunali (istruzione elementare, sanità, igiene, viabilità) divennero inadeguate a soddisfare i bisogni vecchi e nuovi della collettività, proporzionalmente cresciuti ed aggravati dal frazionamento e dalla conformazione fisica del territorio.
Necessitava costruire nuovi edifici scolastici, per togliere i bambini da ambienti malsani (1), sdoppiare le numerosissime classi uniche costrette in spazi angusti (nel 1900 in un’aula di 21 metri quadrati si stipavano 56 alunni, su vecchi banchi, “veri strumenti di tortura”) e combattere l’analfabetismo diffuso (2).
Occorreva potenziare il servizio sanitario, affiancando alle condotte medico-chirurgiche ed ostetriche di Ariano e Rivà ed a quella consorziale di Goro-Gorino, una nuova condotta a Santa Maria in Punta, per assistere i molti poveri aventi diritto alle cure gratuite, dislocati in piccole borgate o in casolari sparsi, distanti dal centro, ed evitare ricoveri ospedalieri non strettamente necessari.
Oltre alla normale manutenzione delle vie minori in terra, impraticabili specie d’inverno, occorreva mantenere e consolidare con ghiaia e pietrisco la rete stradale (circa 35 km), estesasi sia per esigenze generali di sviluppo, sia per agevolare il trasporto dei prodotti agricoli ai mercati. Appariva indilazionabile, per motivi di igiene pubblica, la costruzione di nuovi cimiteri ad Ariano capoluogo, lontano dal centro abitato, ed a Santa Maria in Punta, lontano dalla golena, spesso allagata dalle acque del Po.
2. Il deficit delle finanze comunali
La bonifica idraulica dell’isola di Ariano (1900-1904) contribuì non solo a ridurre la gravità della malaria (3) e ad alleviare la miseria contadina, ma anche a stimolare la civica amministrazione ad attuare una serie di interventi adeguati alle mutate, accresciute esigenze. Per effetto del vertiginoso aumento delle spese non compensato da entrate, le casse comunali ai avviavano – scriveva allarmato nel 1912 il prefetto di Rovigo al ministro dell’Interno – “verso il baratro di un disavanzo finanziario progressivo e irriducibile”.
La situazione divenne particolarmente pesante nel biennio 1911-12, e non solo per la sfavorevole congiuntura economica generale. L’amministrazione comunale aveva dovuto provvedere a ricostruire il municipio quasi completamente distrutto da un violento incendio (4), riattivare i più importanti rami dei servizi (stato civile, anagrafe, leva) acquistare nuovo mobilio, dotare del necessario l’imponente edificio scolastico di Ariano, da poco inaugurato. Per fronteggiare la disoccupazione operaia, la Giunta aveva dovuto programmare lavori straordinari di movimento terra, ricorrendo all’accensione di un mutuo provvisorio (5).
A fronte delle passività accumulate si opponevano scarse entrate. Non si poteva contrarre un altro prestito dopo quello di lire 300.000 concesso in via di massima dalla Cassa depositi e prestiti, parte del quale destinato alla dimissione di debiti onerosi precedenti (mutuo di 172.000 lire contratto con la Cassa di risparmio di Padova), parte all’esecuzione di opere igieniche (cimitero di Santa Maria) e parte alla costruzione di edifici scolastici nelle frazioni di San Basilio, Santa Maria in Punta e Tombe. Un altro mutuo di 50.000 lire era già stato deliberato per la costruzione di locali d’isolamento per malati di difterite. Ma soltanto per pareggiare, nel 1909, le spese ordinarie s’era dovuto contrarre un mutuo di 40.000 lire. Che ne sarebbe stato degli anni a venire? Continuare a pareggiare indefinitamente il bilancio con nuovi debiti era impossibile. L’alternativa divenne drammatica: o diminuire drasticamente le uscite o aumentare le entrate. Diminuire le uscite, tagliando spese obbligatorie e imprescindibili per un paese civile, significava un pesante regresso. Scartata anche l’idea di imporre nuovi tributi o aggravare quelli esistenti. Le imposte locali di famiglia, bestiame, esercizio e vendite, cani, vetture e domestici erano tutte gravosamente applicate, tanto che s’erano già manifestate nel paese agitazioni specie per la tassa famiglia, di cui per un anno s’era dovuto sospendere l’esazione. Un ulteriore aumento delle sovrimposte sui fabbricati ne avrebbe pressoché assorbito il reddito ed i proprietari di case affittate si sarebbero rifatti sugli inquilini, appartenenti alla classe più povera e misera, acuendo la già forte tensione sociale. Data la scarsità di abitazioni e la riluttanza a costruirne di nuove per gli alti costi e le pesanti imposte, buona parte della popolazione, sfrattata, sarebbe stata costretta ad emigrare sottraendo “le braccia necessarie all’agricoltura”. Ma nell’applicazione dell’imposta sui terreni – calcolata in base all’estimo catastale in vigore prima della bonifica – la Giunta individuava la causa principale dell’esaurimento delle risorse finanziarie. Sui terreni alti (un quarto del totale) classificati ad elevata rendita censuaria, gravava la maggior parte della sovrimposta comunale (circa 50 lire per ettaro). I terreni bassi (tre quarti della superficie complessiva), prima della bonifica vallivi e paludosi e quindi pochissimo censiti, risentivano ben poco dell’aggravio dell’eccedenza dell’imposta (da 5 a 1,25 lire per ettaro) (6).
3. Un progetto di equità fiscale
I terreni alti, poveri di sali e di humus fertilizzanti perché a lungo sfruttati, appartenenti ai piccoli proprietari, per produrre discretamente richiedevano molto lavoro e abbondante spargimento di concimi. I terreni bassi, da poco dissodati, dotati di una fertilità naturale elevata tanto da produrre 40 quintali di grano per ettaro, arricchivano con piccola spesa i possessori delle grandi tenute, i quali godevano non solo della ricchezza creata dalla bonifica, ma anche delle strade, dei ponti e dei servizi pagati dai contribuenti dei fondi alti, che dalla bonifica non avevano tratto alcun beneficio. Per queste ragioni la classe dirigente amministrativa, sensibile alla situazione economica dei piccoli proprietari e della piccola borghesia commerciale, riteneva impossibile aumentare ancora le sovrimposte: sarebbe equivalso ad una spoliazione.
Esisteva in paese un profondo malumore per l’evidente disparità di trattamento fiscale, che si risolveva in ultima analisi nel far pagare di meno chi traeva maggiori profitti, ma essendo il malcontento limitato alla classe dei proprietari, difficilmente poteva causare qualche turbamento nell’ordine pubblico (7).
L’amministrazione, nell’impossibilità di applicare autonomamente il progetto per mancanza di appropriati strumenti normativi, intraprese una complessa azione con l’obiettivo di risolvere alla radice il problema. La proposta era già stata posta in essere – nello specifico settore di competenza – dal Consorzio di bonifica dell’isola di Ariano, una struttura ad elevata capacità tecnica, progettuale ed operativa. Per evitare di mantenere la tassa consorziale in base all’estimo pre bonifica, causa di palese ingiustizia, affinché ogni possidente contribuisse in base all’effettivo beneficio conseguito, il Consorzio aveva classificato i fondi secondo i “gradi di utenza”, basati sul miglioramento igienico, sull’altimetria e sulla fertilità. Utilizzando questi criteri, fu possibile calcolare l’esatto incremento di reddito prodotto da ciascun fondo. L’operazione di classificazione, condotta da tecnici di prim’ordine, permise di applicare l’imposta con equità. Nessun reclamo s’era avuto tra i mille proprietari del comprensorio bonificato: caso forse unico in materia di ripartizione e imposizione di contributi. Il consiglio comunale di Ariano, con delibera 16 dicembre 1908, rivolse una petizione al Parlamento del Regno invocando una legge speciale che gli consentisse di istituire un nuovo tributo, basato sui gradi di utenza elaborati dal locale Consorzio, che lo mettesse nelle condizioni di tassare i grossi ed arricchiti proprietari della parte bonificata dell’isola.
Quali considerazioni avevano indotto la classe amministrativa ad una così coraggiosa e difficile iniziativa? In breve volger di tempo il paese, divenuto centro di commerci, fiere e mercati e polo di attrazione per un’ampia fascia del limitrofo basso Ferrarese, aveva compiuto concreti passi sulla via del progresso civile ed economico. I nuovi ponti in ferro ad Ariano sul Po di Goro e a Corbola sul Po di Venezia, la linea automobilistica Ariano-Adria-Piove di Sacco, i collegamenti telegrafici e telefonici, erano prove tangibili del superamento dell’isolamento tradizionale (8). Ma la logica dello sviluppo richiamava l’attenzione dei pubblici amministratori sui numerosi problemi irrisolti, antichi e nuovi:
“È il progresso che con passo gigante si avanza verso di noi e ci sospinge a completare il bene, e noi non possiamo rimanere inoperosi, ma accoglierlo a braccia aperte e porre tutto con esso in relazione: edificare scuole per combattere la piaga dell’analfabetismo; adoperarci moralmente e concretamente perché una linea ferroviaria attraversi la nostra isola, onde sviluppare il commercio e rendere sollecito ed economico il trasporto dei prodotti agricoli; costruire case per la classe operaia onde levarla da certi covili luridi e malsani e così pure un ricovero per i poveri (9) onde non vedere vecchi cadenti alloggiati in catapecchie che sono che sono oltraggio alla miseria, disonore della carità; costruire e consolidare strade che mettano tutte le frazioni in comunicazione facile e diretta col centro del Comune; e questo centro renderlo decoroso in modo tale che non abbia a vergognarsi di questa civiltà che ha tanto desiderato e che ora deve andar superbo di ospitare. Non abbellimenti superflui, ma levare le brutture che esistono, dare il buon esempio di pulizia e di edilizia, spingere i privati a mettersi in armonia con le opere pubbliche e farne un paese degno del posto che occupa e quale capo dell’isola alla quale dà il nome, come capoluogo di Mandamento e per il prospero avvenire che indubbiamente lo attende”.
Le risorse finanziarie dovevano provenire soprattutto dai grandi proprietari che avevano risentito maggior beneficio:
“…se i fondi redenti dalle acque hanno bisogno di braccia per essere lavorati, se le braccia hanno bisogno di case per essere alloggiate e se queste braccia si ammalano ed hanno bisogno di medici per essere curate, se quelle braccia prolificano ed i figli di esse hanno bisogno di scuole e di maestri per essere educati, se ancora quei fondi hanno bisogno di strade pel trasporto delle derrate che producono, a queste imprescindibili necessità chi deve provvedere? I soli proprietari dei fondi perché è giusto che ognuno soddisfi i propri bisogni coi propri mezzi. Se però questi bisogni sono di interesse collettivo, ovvero comunale, sarà una necessità che il Comune demandi ai terreni i mezzi per soddisfarli” (10).
4. Il problema della perequazione fondiaria
Il consiglio comunale di Ariano inoltrò più volte al Governo la richiesta di una legge speciale, riuscendo ad ottenere l’interessamento dei deputati polesani Italo Pozzato (repubblicano) e Angelo Papadopoli (liberale) (11). Quest’ultimo trasmise nel giugno del 1912 al sindaco Gaetano Pavanati una lettera, inviatagli personalmente dal ministro delle Finanze on. Luigi Facta che gettava molta acqua sul fuoco delle speranze dell’amministrazione:
“Caro amico,
con la deliberazione votata il 25 maggio u.s. e da te comunicatami, il comune di Ariano Polesine invoca dal Governo un provvedimento legislativo che lo autorizzi ad applicare una speciale tassa… Comprendo benissimo che se le bonifiche hanno apportato benefici all’economia generale, esse anno posto le finanze del Comune in una condizione disagevole pel grave aumento di spesa derivato a quell’amministrazione per effetto particolarmente dei contributi che essa si è assunta di pagare per i maggiori oneri che vengono a gravare il bilancio comunale. Fin dal 1909 esso presentò una deliberazione analoga che non ha potuto essere presa in considerazione per le stesse ragioni che ora ti verrò esponendo. Né ora è mutata la situazione di fatto in guisa da giustificare un diverso provvedimento sulla rinnovata domanda. Come ben comprendi, una legge nel senso desiderato dal comune di Ariano costituirebbe un precedente che non mancherebbe di essere invocato da molti Comuni che si trovano nelle stesse condizioni, ciò che darebbe origine ad una legislazione frammentaria, da cui deriverebbe ai servizi degli uffici finanziari una gravosa complicazione (12). A prescindere da questa considerazione, devo farti notare che nel caso del comune di Ariano si tratterebbe di terreni per il quali la bonifica fu attuata solo da pochi anni, e che per alcuni proprietari non è nemmeno ancora ultimata e collaudata. Per conseguenza, consentendo l’imposizione su detti terreni di una tassa speciale di carattere comunale, il Governo verrebbe indirettamente a togliere ai contribuenti, che hanno eseguito i lavori e sostenuto le ingenti spese di bonificazione, quei benefici che sono loro garantiti in rapporto al tributo fondiario, della legge sulle bonifiche. Conviene quindi che il comune di Ariano sopporti gli svantaggi cui ha dato luogo la bonifica dei terreni compresi nel suo territorio, fino a quando non verrà attivato in provincia di Rovigo il nuovo catasto, oppure procuri in altro modo di mitigare le conseguenze in questo periodo transitorio”.
Giovanni Giolitti, capo del Governo e ministro dell’Interno, fece poco dopo presente al prefetto di Rovigo che, trattandosi dell’imposizione di un tributo non contemplato dalla legislazione vigente, l’autorizzazione doveva essere data dal Parlamento, ma riteneva la promozione di un simile provvedimento poco opportuna.
Anche l’on. Italo Pozzato aveva saggiato il terreno in ambito parlamentare ma, consapevole delle formidabili resistenze e insormontabili difficoltà che sarebbero emerse in aula, suggeriva altri mezzi per risolvere l’annoso problema. Il parlamentare polesano consigliava un espediente più semplice. Dato che il Comune aveva la facoltà di applicare la tassa di famiglia a tutti i coloni residenti nel terreno bonificato, si poteva, nel regolamento, rendere i proprietari solidali con i coloni per il pagamento della tassa. I coloni, comprovando la povertà, “ne resterebbero esenti ma la tassa dovrebbe in loro vece essere pagata dai proprietari”.
Non è dato sapere quale fosse stata “l’ultima e definitiva parola dell’on. Giovanni Giolitti”. La questione fu accantonata o diplomaticamente rinviata alla imminente nuova legislatura (elezioni politiche del novembre 1913).
L’amministrazione comunale, preso atto amaramente che l’invocata legge sarebbe rimasta per sempre una giusta, quanto irrealizzabile aspirazione, fu costretta a tamponare il deficit del bilancio preventivo per l’anno 1913 inasprendo i contributi sul patrimonio bovino ed equino (tassa bestiame) e sul minuto commercio (tassa esercizio) preferendo, per il malcontento diffuso in paese, evitare i ventilati rincrudimenti sui beni di consumo (dazio) e sui nuclei familiari (tassa focatico). Contemporaneamente, nel quadro di una severa quanto impopolare economia delle spese, venero sospesi i promessi miglioramenti salariali a talune categorie di dipendenti comunali – levatrici, stradini, impiegati – la cui condizione s’era fatta critica per l’esorbitante rincaro dei generi di primo consumo, e si rinviarono gli stanziamenti destinati a fondamentali servizi pubblici e alla manutenzione della rete stradale.
Questo bilancio di ripiego aveva avuto l’effetto di acuire i bisogni, dilazionandoli, con tutte le aggravanti del caso, all’anno successivo allorché il comune di Ariano nella seduta del 27 febbraio 1914 accettò, col consenso dell’autorità tutoria, un provvidenziale prestito del locale Consorzio di Bonifica di lire duecentomila, restituibile in venti anni, sul quale avrebbe prelevato di volta in volta lo stretto necessario al pareggio dei successivi bilanci, “salvo a sospendere ogni prelevamento qualora venisse reso esecutorio il provvedimento legislativo sui terreni bonificati” (13).
Dal canto suo l’Amministrazione comunale si impegnava a costruire, consolidare e mantenere la strada Tombe-Tombine, nel cuore della bonifica, a vantaggio dei residenti di quest’ultima località, che potevano più agevolmente accedere al capoluogo e trasportare i loro prodotti agricoli sulle piarde (luoghi di raccolta) del Po di Venezia, mentre al tempo stesso si creava un fonte di lavoro per gli operai disoccupati (14).
Le elezioni ammnistrative del luglio 1914 tolsero bruscamente dalla scena l’intera classe dirigente liberal-democratica locale, che aveva impegnato le sue forze e giocato tutto il suo prestigio per uscire dalle secche di una situazione precaria proponendosi di attivare un programma non basato sulla spicciola amministrazione, ma di vasto respiro e aperto al futuro.
5. Rinnovo del consiglio comunale di Ariano
Dall’introduzione del suffragio universale politico (legge 30 giugno 1912), che triplicò il corpo elettorale italiano, derivarono conseguenze di estrema importanza per la vita municipale. Il principio dell’equivalenza tra elettore politico ed amministrativo, automaticamente esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai trent’anni anche se analfabeti, portò gli elettori arianesi da circa cinquecento a poco più di duemila. Anche se l’affluenza alle urne continuava a rimanere piuttosto bassa, la volontà proveniente da questa massa mutò la fisionomia politica del consiglio comunale. I socialisti furono chiamati per la prima volta all’assunzione diretta delle responsabilità amministrative, mentre si addensavano all’orizzonte le nubi della grande guerra.
Il prefetto di Rovigo, nel rapporto al ministro dell’Interno del 21 aprile 1914, dava per scontato che il rinnovo dei consigli comunali avrebbe condotto a una vigorosa affermazione dell’elemento socialista. I sostenitori del partito conservatore, inferiori di numero, dimostravano scarsa capacità di iniziativa, per cui “a malapena si sarebbero assicurati la minoranza nelle nuove rappresentanze municipali”. Nelle elezioni politiche, svoltesi pochi mesi, prima l’affidamento sull’appoggio dei clerico-moderati alle candidature liberali monarchiche era fallito di fronte all’azione travolgente del partito socialista, che aveva spinto la massa degli elettori analfabeti a “votare a suo favore”. Non era arrischiato prevedere un risultato analogo anche nelle amministrative, in special modo nei comuni dove le leghe di miglioramento erano ben organizzate.
Alla vigilia della prova elettorale il sottoprefetto di Adria prevedeva una lotta “con esito incerto, se non favorevole, per i socialisti, che disponevano di quasi due terzi del complesso degli elettori” e che poggiavano la propria forza sulle leghe di miglioramento, numerose non solo nel centro, ma anche nelle frazioni di Rivà, Santa Maria e Grillara. I socialisti organizzarono adunanze e conferenze elettorali in tutto il territorio, con l’intervento dei più noti leaders sindacalisti, che godevano di molte simpatie tra i braccianti arianesi. L’arciprete di Ariano don Francesco Bassi radunò un centinaio di elettori e dichiarò che per il bene del paese era necessario scendere in campo con una lista di uomini “tra i più onesti, cattolici o liberali, contro gli anticlericali socialisti e socialistoidi”. Il giornale cattolico La Settimana annunciò che si era costituito “un blocco d’ordine tra persone nemiche della teppa e dei propagatori di idee rivoluzionarie” e sollecitava i cattolici arianesi a sostenere compatti la lista concordata.
Il 12 luglio 1914 si presentarono al giudizio degli elettori due schieramenti: uno formato da clerico-radicali-moderati e l’altro da socialisti. La vittoria arrise a questi ultimi per poco più di un centinaio di voti. Tra i non eletti, escluso anche dalla minoranza, un nome illustre: l’ex sindaco Gaetano Pavanati, che era stato fermo sostenitore dell’alleanza con i cattolici sul piano locale (15).
6. Cenni sull’amministrazione socialista
L’amministrazione socialista (16 consiglieri su 20) uscita dalle elezioni svoltesi il 12 luglio 1914, erede dei grossi problemi irrisolti e di un bilancio pesantemente deficitario, non si differenzia sostanzialmente dalla precedente nel delineare il programma ritenuto indispensabile al progresso economico e sociale del comune: individua gli stessi problemi, prospetta le medesime soluzioni.
Maggiormente realisti dei colleghi liberal-democratici, i socialisti dichiarano che alla sospirata leggina, panacea di tutti i mali, “rimane e rimarrà forse un pio desiderio” e che non rimaneva altra via che calcare la mano sulle classi abbienti. Vennero in breve duplicate, triplicate e persino quadruplicate le tasse sul patrimonio bovino ed equino, con quale risentimento dei proprietari è facile immaginare, dato che colpiva la nascente industria dell’allevamento con carichi superiori a quelli registrati negli altri comuni della provincia e del limitrofo basso Ferrarese, pur amministrati dai socialisti.
Venne peraltro soppressa la tassa sui suini, per facilitare ai meno abbienti il consumo della carne, e mantenuta invariata la sola tassa per i cavalli usati come “strumento di lavoro” dai carrettieri e vetturali, con esclusione dei cavalli da sella, da carrozza e da carro, il cui possesso ed uso era indice di maggior agiatezza.
Aumentò anche la tassa famiglia, che non colpì i più facoltosi proprietari residenti in altri comuni (gli autentici beneficiari delle ingenti spese sostenute per attivare la bonifica) ma gravò ulteriormente i medi e soprattutto i numerosi piccoli proprietari, già oberati dalle sovrimposte secondo l’estimo sperequato rimasto invariato.
Nel ricorso presentato contro gli aumenti della tassa bestiame e focatico, un considerevole numero di piccoli e medi proprietari dichiarava che non voleva sottrarsi al pagamento di un equo contributo, ma pretendeva che non si consentisse “ad amministratori socialisti rivoluzionari di fare opera di spoliazione in pregiudizio di alcune classi ed a beneficio esclusivo di altre”, al che fu risposto: “Un’amministrazione qualunque che, sul serio, volesse anche solo iniziare lo svolgimento del qui succinto programma, non potrebbe fare a meno di rivolgersi dove ritiene di poter trovare qualche margine”. Si respingeva, come gratuita, l’affermazione di amministrazione rivoluzionaria , “tanto rivoluzionaria che qui si lavora cercando di ristabilire quell’ordine amministrativo che in passato lasciò alquanto a desiderare; tanto rivoluzionaria che sa di trovarsi in ottimi rapporti con l’autorità tutoria per essersi sempre mostrata ligia alle disposizioni superiori…da amministrazione rivoluzionaria, in ossequi al voto dell’on. GPA (organo dello Stato presente in ogni provincia, con competenze in tema di giustizia amministrativa) pur non disconoscendo che in Comune esistono famiglie di grossi proprietari che potrebbero pagare il massimo, la Giunta, dopo lungo e maturo esame, propone di ridurre la tariffa della tassa famiglia” (16).
NOTE
- L’ufficiale sanitario dottor Sem Sanesi consigliava ai bambini deboli e malaticci l’astensione dalle lezioni per l’insalubrità delle aule (Corriere del Polesine, 5.12.1900). La Giunta comunale dichiarò, quattro anni dopo: “È da lodarsi quel genitore che per non mettere a repentaglio la salute dei propri figli preferisce tenerli nelle pareti domestiche in barba alle leggi sull’obbligatorietà dell’insegnamento”). Non si poteva certo dissentire se si considera che nella frazione di Rivà la scuola “era fiancheggiata a destra da due latrine, a sinistra da due porcili, a tergo da una stalla con relativo letamaio e di fronte una golena, ove si formano morte gore e mefitiche esalazioni”. (Corriere del Polesine, 26 luglio 1904)
- “L’elenco degli obbligati alla scuola ne segna 820. Come fareste ad accoglierli se, come sarebbe auspicabile, tutti dovessero frequentare le pubbliche scuole?”. Era costume diffuso, d’altronde, che la maggior parte dei ragazzi frequentasse con una certa assiduità solo d’inverno, in quanto precocemente avviati ai lavori campestri. (Il Polesine democratico, 13.8.1904).
- Nel 1908 nessun cittadino morì per febbre malarica, però i casi denunciati furono 308 e salirono a 393 nel 1909. L’ufficiale sanitario constatava, dopo la bonifica idraulica, un aumento dei casi di malaria, riconducibili alla terzana quotidiana, benigni quanto a mortalità, pessimi quanto a morbilità. Mentre prima della bonifica Ariano centro e Santa Maria in Punta risultavano totalmente esenti dal morbo, dopo la bonifica la malaria aveva invaso l’intero territorio comunale. (Relazione dell’ufficiale sanitario Sem Sanesi al sindaco di Ariano, 23 giugno 1909).
- L’11 gennaio 1911 un disastroso incendio distrusse il municipio e con esso gli atti dello stato civile, una preziosa biblioteca legale e l’archivio storico, ricco di documenti che risalivano al 1800. Ariano perse irrimediabilmente fonti documentarie di fondamentale importanza per la ricostruzione storica del suo passato.
- Dal 1911 al 1914 l’amministrazione Pavanati deliberò l’esecuzione di opere straordinarie (rialzo e colmatura della strada Punta, allargamento del terrapieno prospiciente la piazza di Ariano, banche e sotto banche arginali) per fronteggiare in qualche modo l’allarmante disoccupazione, cercando di conciliare il pane agli operai che si presentavano in municipio a chiedere lavoro, con interventi di pubblica utilità.
- Valgano alcuni esempi. La ditta G. Rossi (terreno alto di ettari 8,83, pagava un’imposta complessiva (erariale, provinciale, comunale e consorziale) di lire 67,57 per ettaro; mentre il barone Treves (ettari 1.082) pagava lire 23,45 l’ettaro per il suo latifondo altamente produttivo. La ditta Carolo Pietro (ettari 11,70, scarsamente produttivi, pagava lire 60,93 per ettaro, mentre il marchese Di Bagno (ettari 737, terreni fertilissimi) pagava lire 33,60 per ettaro. La ditta A. Pedrelli (terreno alto di ettari 21) pagava lire 60,51; mentre il cavalier A. Sartori (ettari 330, molto produttivi) pagava soltanto lire 29,10. Da: M. GENTILI, Relazione sui gradi d’utenza, tipografia Cristi, Ariano 1911.
- Il prefetto di Rovigo al ministro dell’Interno, 4 giugno 1912.
- La costruzione di ponti stabili sul Po in sostituzione di quelli a chiatte aveva rimosso il principale ostacolo alle correnti di traffico commerciale e alle comunicazioni. Ma gli utenti erano colpiti dalla detestata tassa pedaggio “retaggio dei tempi medievali”. Infatti per recarsi ad Adria pagavano il pedaggio sul ponte di Corbola e per accedere alla provincia di Ferrara pagavano eguale tributo per il ponte in ferro sul Po di Goro.
- Occorreva costruire una modesta ma igienica abitazione per i non pochi poveri qui esistenti per toglierli dall’indecente attuale ricovero, dove, anziché trovare sollievo e lenimento agli acciacchi della loro tarda età, non è esagerato ritenere che trovino abbreviata l’esistenza” (Verbale della seduta del consiglio comunale del 28 aprile 1910)
- Relazione della Giunta municipale sui gradi di utenza, 20 aprile 1910.
- La richiesta della legge speciale riportò un solo voto contrario nella seduta comunale del 28 aprile 1910. Anche Alessandro Sartori, presidente del Consorzio idraulico dell’Isola di Ariano, consapevole che il provvedimento, se approvato, lo avrebbe colpito finanziariamente in misura maggiore di tutti gli altri proprietari, accettò l’ordine del giorno votato per appello nominale. Nella seduta del 22 maggio 1912 tre consiglieri sui 18 presenti espressero voto contrario.
- Nel comune ferrarese di Massafiscaglia esisteva una situazione simile a quella di Ariano. Una proposta di legge speciale presentata dal socialista on. Giacomo Ferri (marzo 1912) era stata presa in benevola considerazione. Ma a Massafiscaglia era trascorso il termine di di vent’anni durante i quali la legge sulle bonifiche vietava d’imporre maggiori imposte sulle terre bonificate, invece ad Ariano tale termine era ben lontano dal compiersi.
- Il gesto del Consorzio, diretto a salvare gli amministratori dall’impopolarità derivante da un ulteriore aumento delle tasse o da una contrazione dei pubblici servizi è comprensibile se si tiene conto che molti consiglieri del Consorzio erano contemporaneamente componenti del consiglio comunale.
- Il fenomeno della disoccupazione operaia si faceva ogni anno più grave in tutta l’area basso polesana, assumendo l’aspetto di un vero disordine economico e sociale. Il prefetto di Rovigo il 20 aprile 1913 scriveva al ministro dell’Interno: “Resta quindi angoscioso il domandarsi in qual modo si potrà provvedere per gli anni venturi, le braccia diventando sempre più numerose mentre è in diminuzione per più cause la richiesta dei lavori campestri, ed i grandi lavori pubblici vanno a cessare”.
- Comune di Ariano nel Polesine. Consiglieri eletti nelle elezioni amministrative del 12 luglio 1914. Maggioranza (lista socialista): 1. Turrini Ruggero (voti 674); 2. Fabbrini Domenico (671); 3. Carravieri Giuseppe (668); 4. Campaci Ferruccio (667); 5. Sandoli Arrigo (667); 6. Bonandini Girolamo (665); 7. Bonandini Federico (664); 8. Fabbri Archildo (663); 9. Turolla Giuseppe (662); 10. Piva Silvio (662); 11. Roma Onorato (662); 12. Gennari Guerrino (661); 13. Crepaldi Vincenzo (661); 14. Contro Emanuele (661); 15. Arpi Teseo Augusto (658); 16. Bedetti Costante (658). Minoranza (lista clerico-radico-moderata): 1. Pietropoli Aleardo (voti 551); 2. Stella Enrico (509); 3. Cacciatori Emilio (509); 4. Zampa Giobatta (505).
- Delibera del Consiglio comunale di Ariano nel Polesine, 29 novembre 1914.