Giacomo Matteotti e Sebastiano Schiavon, due combattenti per la giustizia sociale
Morti entrambi giovani, l’uno assassinato e l’altro per malattia, rimane il rimpianto per quello che avrebbero ancora potuto fare: furono sconfitti dagli eventi, ma la Storia ha dimostrato che le loro idee e azioni furono lungimiranti
È stato degnamente celebrato il centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti ad opera di una squadraccia fascista, su ordine di Mussolini. Ci sono stati convegni, una bella mostra a Rovigo, il restauro della casa museo di Fratta.
Un uomo coraggioso che ha pagato con la vita l’affermazione della verità e il combattimento a viso aperto contro il fascismo che andava affermandosi con la violenza, le corruzioni, i brogli elettorali.
Diverso per estrazione sociale e formazione da Sebastiano Schiavon, deputato del Partito Popolare: Matteotti socialista, anche se non anticlericale come era frequente tra i suoi compagni, aveva sposato e amato Velia, una cattolica praticante. Schiavon, invece, si era formato nelle organizzazioni cattoliche e il suo impegno politico era alimentato dalla dottrina sociale della Chiesa e da una intensa spiritualità.
Eppure possiamo vedere dei tratti in comune tra loro. Sono due coetanei destinati a morire giovani. Giacomo è del 1885, Sebastiano del 1883. Muoiono tutti e due a 39 anni, Matteotti assassinato dai fascisti, Schiavon minato da una malattia, aggravata dalla sua infaticabile attività politica e sociale.
Entrambi sono abilissimi organizzatori politici, e sindacali, in particolare in difesa del mondo dei braccianti agricoli, classe quanto mai diseredata e spesso in condizioni di autentica miseria. Matteotti batte instancabilmente le campagne del ferrarese, organizza le leghe contadine, interviene da parlamentare sulle questioni agrarie. Girava con un quadernetto a cui era legata una matita: gli serviva per prendere nota di tutte le segnalazioni e le richieste delle persone che incontrava nel corso delle sue visite, nei comizi, durante le iniziative nelle case del popolo.
Non diversa l’attività di Sebastiano Schiavon, infaticabile sostenitore del mondo contadino, difensore di una plebe diseredata a cui vuole dare diritti e dignità: perciò promotore di scioperi memorabili, come quello in cui porta in piazza decine di migliaia di contadini per opporsi alla crudele pratica di lasciare i coltivatori senza alcun diritto alla fine dell’annata agraria, sfrattandoli dai fondi che avevano coltivato.
Sono due leader politici che muoiono politicamente sconfitti. Schiavon non viene ricandidato alle elezioni politiche del 1921 nelle liste del Partito Popolare, nonostante ne fosse stato tra i fondatori e nel 1919 risultasse eletto con largo suffragio non solo nel Veneto ma anche in Toscana. Paga per le sue posizioni politicamente avanzate, per la lotta agli interessi degli agrari, per l’opposizione al fascismo. Gli capitava di essere contestato, e allora le contestazioni volevano dire bastonature, sia dai socialisti massimalisti che dalle squadracce fasciste.
Matteotti viene sconfitto nelle file socialiste. Prevale il massimalismo, si avvia il biennio rosso tra agitazioni contadine e operaie, scontri fisici con le forze dell’ordine e le diverse fazioni, conflitti anche tra socialisti e popolari impedendo i reciproci comizi, atti di violenza, l’occupazione delle fabbriche: era l’illusione che la rivoluzione fosse possibile e vicina. Successe il contrario, si avviò una reazione che avrebbe portato alla dittatura fascista. Matteotti segue Turati fondando il Partito Socialista Unitario, ne diventa segretario qualche mese prima del suo assassinio.
Non possiamo dire cosa sarebbe successo se Sebastiano Schiavon fosse stato ricandidato alle elezioni del 1921, se la salute l’avesse assistito. Certo non gli sarebbe mancato il coraggio per continuare una veemente opposizione al fascismo, forse si sarebbe incontrato con Giacomo Matteotti conducendo insieme la vigorosa denuncia delle malefatte del regime.
Le divisioni nel campo antifascista aprirono la strada alla dittatura. Le elezioni del 1919 avevano visto una importante affermazione dei socialisti, che elessero 156 parlamentari con il 32,28 per cento dei suffragi, e l’imprevisto exploit del Partito Popolare appena costituito, che mandò in Parlamento 100 deputati raggiungendo il 20,53 per cento. Ma in casa socialista prevalse il massimalismo e, in settori del Partito Popolare, l’errata convinzione che il fascismo mussoliniano fosse destinato a durare poco: lo stesso Luigi Sturzo si trovò isolato e costretto all’esilio. Due sconfitti, Matteotti e Schiavon, ma la storia ha dimostrato che erano dalla parte giusta e avevano saputo guardare lontano.