La Marmolada, Regina delle Dolomiti

Storia di una delle più belle montagne del mondo e di un ghiacciaio oggi a rischio di scomparsa

Sin da piccolo ho avuto la fortuna di conoscerla e ammirarla così straordinariamente perfetta in ogni suo particolare.

Quando desidero viverla, non faccio altro che uscire dall’uscio del Museo della Guerra che gestisco al Passo Fedaia e alzare lo sguardo per intravvedere i lembi del suo ghiacciaio, bianchissimi dopo una nevicata, oppure tristemente grigi sul culmine dell’estate, quando il caldo espleta egregiamente il suo compito.

Il gruppo della Marmolada è uno dei più estesi delle Dolomiti e oltre al massiccio principale, da cui prende il nome, comprende tutta una serie di cime minori che formano uno spettacolare assieme che stringe e circonda il massiccio centrale.

Nella seconda metà del 1700, allorché si procedette alle confinazioni fra Impero d’Austria e Serenissima Repubblica di Venezia, coloro che stabilirono la linea di confine sul ghiacciaio la definirono “montagna a perenni nevi condannata”, a testimonianza di quanto poco interesse riscuotesse la presenza di una così voluminosa massa di ghiaccio e neve.

Credo che fino ad allora ben poche persone si fossero avventurate sulla montagna e fu solamente all’inizio dell’800 che iniziarono i primi tentativi di salita, a seguito di una nascitura passione per l’alpinismo.

Il merito di aver scalato per primi le Dolomiti andò ad alpinisti giunti da lontano, nomi come Grohmann, Ball, Tuckett e altri vengono associati alle cime più prestigiose. Essi erano quasi sempre “accompagnati” da guide locali che, allettate da compensi in denaro, abbandonavano momentaneamente i loro ancestrali ritmi di vita per dedicarsi a questa nuova e strana attività che forse nemmeno comprendevano a fondo.

Se dapprima i nuovi arrivati disorientarono le popolazioni locali, subentrò poi l’abitudine nel vederli e i montanari diedero presto dimostrazione di quanto fossero predisposti all’accoglienza. Nacquero così i primi alberghi, ristoranti e affittacamere, esempi della futura vocazione turistica delle Dolomiti.

Queste terre, la loro riservatezza, la millenaria cultura e le tradizioni secolari furono ben presto però stravolte, aumentando sicuramente la qualità della vita dei valligiani e, non trascurabile, anche lo spessore dei loro portafogli. Situazione dai risvolti non sempre positivi…

Le pendici ghiacciate e innevate della Marmolada furono la culla ideale anche per l’attività dello sci e proprio qui, nell’ormai lontano 1935 fu “inventato” lo slalom. Nel 1946 fu realizzata una seggiovia che è una delle prime in Italia, se non addirittura la prima in assoluto. Fra gli anni ’70 e ‘80 la montagna ebbe il suo momento magico e in tutta Europa si pronunciava il suo nome come sinonimo di panorami mozzafiato, neve, arrampicate ed escursioni fra le più spettacolari.

Non si può dimenticare che sulla Marmolada si combatté una pagina importante di storia durante la Grande Guerra, fra soldati italiani e austro-ungarici, i quali ne occuparono persino le cime più alte in operazioni militari mai viste prima a queste quote.

Nelle viscere del ghiacciaio fu scavata addirittura una vera e proprio Città di Ghiaccio, le cui gallerie, cunicoli e grotte, realizzate fino a 50 metri di profondità, raggiunsero l’incredibile lunghezza di oltre 10 km, permettendo ai soldati di sopravvivere, come talpe, nel ventre della montagna per oltre un anno e mezzo.

Le prime foto che invece ritraggono la Marmolada sono datate attorno alla seconda metà del 1800.

Confrontate con quelle dei decenni successivi e con le più recenti, esse risultano utilissime per un immediato raffronto e per una valutazione oggettiva riguardo l’arretramento subìto negli anni dal ghiacciaio. A differenza delle altre montagne dolomitiche, la Regina, proprio per la presenza della massa ghiacciata sul suo versante nord, ha continuamente mutato aspetto e l’attenzione scientifica ha sempre monitorato i mutamenti della massa glaciale.

Dal novecento le misurazioni divennero più frequenti e precise, riuscendo a dare un quadro esaustivo riguardo la vastità del ghiacciaio e l’entità del suo costante ritiro.

Fra il 1888 e il 1902, quindi in soli 14 anni, scomparvero oltre 70 ettari di ghiaccio e fra il 1902 e gli anni ’60 circa altri 130 ettari si dileguarono. Dagli anni ’60 ad oggi il ghiacciaio si è ritirato di ben altri 200 ettari portando la massa glaciale complessiva dai quasi 500 ettari del 1888 agli attuali 80/90 ettari.

Curiosa e attualissima, in questi tempi di evidenti cambiamenti climatici, è una antica leggenda locale, molto probabilmente risalente all’inizio di un lungo periodo freddo fra il 1300 e il 1800, successivo a quello contrariamente invece molto caldo fra l’800 e il 1300, quando la vegetazione risalì le pendici delle montagne, sino a quote molto alte.

La leggenda racconta che i valligiani di Sottoguda erano saliti sugli alpeggi alle falde della montagna per vivere l’affascinante e faticoso periodo della fienagione, dimorando, come da abitudine, per alcune settimane, le piccole baite in legno ancor oggi ben visibili in molte zone del nostro territorio.

Ritualmente, il 5 di agosto, i contadini ridiscesero in paese per partecipare alla Santa Messa della Madonna della Neve. Solo una di loro, incurante dei dettami religiosi, decise invece di restare in quota per continuare il lavoro; la punizione divina non tardò ad arrivare!

Cominciò a nevicare talmente tanto da seppellire tutto, ella compresa, sotto metri di coltre bianca.

Questo estremo e sicuramente insufficiente riassunto di una delle più belle leggende Ladine, nota anche ai vicini della Valle di Fassa, racconta in maniera molto semplice e romanzata il cambiamento climatico estremo che con la piccola glaciazione, e quindi con la conseguente formazione del ghiacciaio, mutò l’aspetto generale di questa montagna, la cui posizione ed esposizione solare la fece poi diventare famosa come unico vero grande ghiacciaio dolomitico.

Noi, eredi di quei contadini medievali, stiamo oggi assistendo al cambiamento climatico e al fenomeno inverso e cioè al continuo e inesorabile ritiro del ghiaccio che a causa delle elevate temperature sta, a tutti gli effetti, nuovamente scomparendo.

Nei decenni, posso garantire che la vegetazione, sulle pendici della Marmolada, ha continuato incessantemente a salire di quota e se il trend climatico cui stiamo assistendo, con progressivi e continui aumenti di temperatura, proseguirà anche nei prossimi anni, si potrà, ipoteticamente, ritornare sulla montagna a tagliare l’erba e raccogliere il fieno, esattamente come fecero i nostri antenati nei secoli a cavallo dell’anno 1000.

Non sono certamente un esperto e non ho le conoscenze per disquisire scientificamente della questione, ma sto mettendo per iscritto personali convincimenti, maturati semplicemente dall’attenta riflessione su quanto la storia locale ci ha tramandato.

In un successivo articolo proverò, collegandomi a quanto sopra scritto, a soffermarmi sulla intricata questione delle antiche proprietà collettive, ora Usi Civici.

La Marmolada in estate nei primi anni del Novecento

Estate 1989

Estate 1999

Estate 2005

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