Marmolada, storia di un confine conteso
Una diatriba che risale al Settecento: dagli “usi civici” alla Grande Guerra
In un precedente articolo avevo toccato l’argomento dell’ormai evidente cambiamento climatico con particolare riferimento al ghiacciaio della Marmolada, che fa da ottimo termometro di valutazione. Voglio ora continuare il ragionamento, spostando l’interesse su una questione tanto complessa quanto interessante come la diatriba confinaria fra Veneto e Trentino per i confini della Marmolada, parlando degli storici Usi Civici.
È nota a molti la lunga, penosa e a mio parere anche iniqua vicenda giudiziaria che ha visto il Veneto difendere circa tre chilometri quadrati di montagna, rivendicata dal Trentino ormai molti decenni or sono e pure vinta, grazie ad un Decreto del Presidente della Repubblica del 1982, il quale non ha tenuto minimamente conto della storia della montagna stessa. Per tentare una maggiore comprensione di quanto sto dicendo, dobbiamo per forza di cose andare indietro nel tempo, verso la metà del 1700, allorquando l’allora Sovrana Asburgica, Maria Teresa d’Austria, volle stabilire in maniera netta la confinazione degli ampi possedimenti dell’Impero Austro-Ungarico.
Una Commissione mista, composta da emissari dell’Impero asburgico da una parte e della Serenissima Repubblica di Venezia dall’altra, si ritrovò, fra le altre cose, a dover definire anche i confini sul nostro ghiacciaio. A seguito della piccola Glaciazione, iniziata presumibilmente dopo il 1300, i ghiacciai sull’arco Alpino conobbero il loro massimo sviluppo ed estensione proprio durante il 1700. La Marmolada si presentava quindi come una montagna inaccessibile; per questo la famosa Commissione si fermò quasi certamente ai 2000 metri del Passo Fedaia, decidendo così la confinazione osservando le cime dal basso, definendo la Marmolada, “montagna a perenni nevi condannata”.
Come confine venne stabilita una linea trasversale che dal Passo Fedaia veneto, tagliava l’ampio ghiacciaio raggiungendo la Punta Penia. Il confine, da quel momento, assunse una linea retta ed obliqua, sul presupposto che mai nessuno si sarebbe arrischiato a risalire un così maestoso ghiacciaio per effettuare valutazioni diverse. Gli stessi antichi toponimi sono di aiuto a questa vicenda, in quanto la massima cima trae il proprio nome da Penia, ultimo villaggio della Valle di Fassa sul lato trentino, mentre la seconda cima venne chiamata appunto Punta Rocca, dalla sottostante Rocca Pietore sul versante veneto.
Giusto negli anni della suddetta confinazione e quindi attorno al 1770, venne dato alle stampe il poderoso “Atlas Tyrolensis”, un interessantissimo lavoro di un cartografo di Innsbruck, tale Peter Anich, il quale, si cimentò anche sul “nostro” confine e, seppur nella approssimazione della carte del tempo, lo riportò facendolo coincidere chiaramente proprio con l’anzidetta linea trasversale.
Alle popolazioni locali dei due versanti, nulla importava di dove o come si fosse proceduti alla confinazione. La loro vita, dettata da ben altre priorità, trascorreva in maniera semplice e in perfetta simbiosi con la montagna, del cui ghiacciaio erano totalmente indifferenti proprio perché in alcun modo, per loro, produttivo. Sugli alpeggi, lungo le dorsali della montagna, si sono incrociati per decenni i contadini di Rocca e quelli di Canazei i quali, dopo il duro lavoro diurno, erano soliti trascorrere insieme le lunghe serate estive, raccontandosi storie e leggende che, anche per questo motivo, sono patrimonio comune alle due popolazioni.
Della linea trasversale nessuno si occupò per molto tempo, fino a che, nel ventesimo secolo, a seguito di ben altri interessi economici sopravvenuti, legati sostanzialmente allo sviluppo turistico e ai conseguenti investimenti impiantistici, si accesero le liti che ancor oggi si trascinano.
Al di là di qualunque divergente valutazione riguardo accordi vecchi e nuovi, firmati o non firmati, approvati o meno da questa o quella Giunta politica, mi resta la consapevolezza che durante la Grande Guerra i due eserciti belligeranti, quello austriaco e quello italiano, utilizzassero la medesima cartografia militare riportante il confine sul ghiacciaio, zona di guerra e fronte di prima linea di strategica importanza, coincidente proprio con la famosa linea ripresa anche nel citato Atlas Tyrolensis. I soldati combatterono e morirono dunque per un confine che le rispettive cartografie militari riportavano esattamente identico e nessuno dei due eserciti, nei due anni e mezzo trascorsi fra rocce e ghiacciai, riuscì a sfondare le linee nemiche, frettolosamente poi abbandonate da ambedue gli schieramenti a seguito della disfatta italiana a Caporetto, nel novembre del 1917, che spostò il fronte bellico dalle Dolomiti al Piave. Tutte queste importanti argomentazioni e testimonianze non sono state minimamente prese in considerazione dai Tribunali giudicanti, che hanno attribuito l’intero ghiacciaio al Trentino e per i quali ha potuto più un Decreto Presidenziale del 1982, totalmente disconoscente, a mio avviso, di fatti e storia che le vicende di migliaia di poveracci mandati a morire proprio per quel confine.
Ma ritorniamo al cambiamento climatico e alla scomparsa dei ghiacciai a cavallo dell’anno 1000 e alla loro riformazione nei secoli successivi, per dire che ci fu un tempo in cui, sulle pendici non ghiacciate della Marmolada, si praticava l’attività agricola e la caccia. Recentemente, il Comune di Rocca Pietore, compreso che sul fronte dei confini amministrativi nulla si poteva più ottenere, ha chiesto allora, ai tribunali di competenza, l’accertamento e il riconoscimento degli antichi godimenti terrieri e vagantivi della popolazione di Rocca, sempre sul conteso confine del versante nord della Marmolada. Parliamo di antichissime proprietà collettive, ancor oggi ampiamente diffuse fra le nostre montagne con le espressioni di “Regole” o di “Usi civici”. Trattasi di diritti di godimento per caccia, pascolo, legnatico e sfruttamento agricolo, esercitati dalle popolazioni del luogo su superfici territoriali definite demani collettivi, ossia di proprietà di intere Comunità e non di singoli cittadini.
Dell’antico “sfruttamento” agricolo e venatorio sulla Marmolada ne sono convinto, così come sono fermamente convinto della proprietà collettiva delle genti di Rocca su circa la metà del massiccio centrale di questo gigante di roccia, il quale tornerà in un prossimo futuro, nemmeno molto lontano, ad essere un versante prativo e boscato e quindi nuovamente praticabile e utilizzabile per una ipotetica attività agricola.
Il riconoscimento delle proprietà collettive sulla Marmolada prescinde quindi dal famigerato confine amministrativo che vede ora, come proprietario unico sull’attuale ghiacciaio, il Comune di Canazei e quindi la Provincia di Trento. Forse l’ultimo dei Tribunali ai quali ci si è potuti appellare valuterà con maggiore attenzione e cognizione le nostre rivendicazioni. Mi rasserena però l’intima consapevolezza che nemmeno i Tribunali potranno però cancellare la storia che è e rimarrà l’unica verità.