Il rischio, e la paura, di un sovvertimento globale delle regole democratiche
Siamo di fronte ad una umanità spaventata e disorientata: troppe situazioni nuove, rapidamente e tutte insieme, stanno cambiando ogni riferimento
La storia ci insegna che è difficile accorgersi di un cambiamento d’epoca. Lo si capisce meglio quando è avvenuto. Eppure abbiamo oggi molti sintomi di un sovvertimento globale delle regole della vita democratica che hanno a lungo caratterizzato il mondo occidentale, uscito dalle sanguinose dittature del secolo scorso.
La democrazia, con le sue regole e i suoi contrappesi a garanzia della libertà di tutti, appare a molti inefficiente. L’elezione di Trump, i suoi primi provvedimenti, fanno capire il drammatico tornante della storia che si sta preparando. Il potere del denaro, con il controllo delle tecnologie invasive per la formazione delle opinioni pubbliche diventano la misura di tutto. Lo stato di diritto, così come delineato dalle Costituzioni degli stati democratici, passa in secondo piano e viene impudentemente violato. Sul piano dei rapporti internazionali vanno in crisi i pur modesti tentativi di trovare un ordine sovranazionale regolato da organismi multilaterali. Crisi dell’Onu ridotto all’impotenza, difficoltà per l’Europa, che ospita all’interno delle proprie istituzioni Stati guidati da governi nazionalisti che mirano a distruggerle e che possono trovare alleanze con le politiche autarchiche dell’amministrazione Trump, interessato a depotenziare un possibile attore globale come l’Europa.
La stagione della guerra fredda ha vissuto momenti di crisi, ha portato un confronto acceso con l’aumento delle spese militari, ma comunque è stata una stagione che ha regolato la convivenza tra gli Stati. Ora sembra che ci avviamo ad una epoca imperiale, in cui conta solo la forza. Le pretese di Trump sulla Groenlandia, sul Canada o sul Canale di Panama non vanno derubricate a battute. È una idea di mondo che, naturalmente, giustificherebbe le pretese di Putin sull’Ucraina, o quelle della Cina su Taiwan. Un mondo affidato all’arbitrio del più forte.
Per il passato strumenti vitali sono stati grandi partiti di popolo che offrivano canali di partecipazione, di cittadinanza, di formazione e trasmissione di saperi; sindacati rappresentativi, radicati nel mondo del lavoro, organizzatori di coscienza sociale, di avanzamento di diritti; grandi agenzie educative, nel caso dell’Italia la Chiesa cattolica, con la formazione e la trasmissione di un pensiero basata sulla dottrina sociale e su una rete capillare di animazione della società.
È anche grazie a questa ricca strumentazione della vita democratica che la seconda metà del Novecento ha visto raggiungere risultati sociali di grande rilievo: il crescere dei salari con una redistribuzione più equa della ricchezza prodotta, l’estendersi dei diritti nei rapporti di lavoro, il rafforzamento dei diritti sociali in materia di sanità, istruzione e previdenza, un aumento della produttività che consentiva appunto più ricchezza prodotta, l’alimentazione dello stato sociale e un ascensore sociale che dava speranza per il futuro.
È una sorta di età dell’oro che abbiamo purtroppo alle nostre spalle. Globalizzazione non regolata, smodato ruolo della finanza speculativa, restrizione delle capacità di intervento fiscale degli Stati hanno portato ad effetti negativi per la convivenza civile: deprezzamento del lavoro, erosione dei diritti, indebolimento dei presidi del welfare, dall’istruzione alla sanità, crisi della produttività del lavoro, in Italia anche un inverno demografico che cambia la struttura della popolazione, con riflessi sulla spesa previdenziale e sanitaria e sul mercato del lavoro. Aggiungiamo un mutamento antropologico sotto l’invadente pressione dei social in una umanità sempre interconnessa che porta in evidenza il fenomeno nuovo di un diffuso e angoscioso disagio giovanile, con la difficoltà di dare un senso alla propria vita.
Siamo di fronte ad una umanità spaventata. Da troppe cose nuove che rapidamente intervengono per cambiare ogni riferimento. E la reazione di fronte alle cose nuove spesso diventa una paura difensiva. E accade perciò che si rifugga dalla complessità della vita democratica, dai suoi tempi decisionali, dalla fatica di una responsabilità che richiede discernimento. Appare migliore affidarsi ad uno che decida per tutti. Così è capitato dopo la prima guerra mondiale in Europa con l’affermarsi delle tragiche dittature. Così rischia di avvenire oggi in forme diverse, appoggiate al potere del controllo della ricchezza e della tecnica. Contando su una società che fatica a ragionare sul passato (anzi la cosiddetta cultura woke pensa che sia una grande idea rimuoverlo), si rifiuta di avere uno sguardo lungimirante sul futuro e vive limitata nel presente.
Chi ama la democrazia non può chiudere gli occhi né limitarsi a deprecare ciò che si vede o vivere di rimpianti per ciò che è stato. Ha detto recentemente Claudio Petruccioli: “Occorre capire i cambiamenti, interpretarli, guidarli. Ci vuole intelligenza, pazienza, dedizione e coraggio. Anche il coraggio di contrastare le tendenze alla semplificazione, di sottolineare la necessità della fatica quando si devono affrontare questioni difficile e complesse”. E il Presidente Mattarella ci ha ricordato che “La speranza siamo noi, il nostro impegno, la nostra libertà, le nostre scelte”. Sono parole di due ultraottantenni…