Una libertà che non soltanto invochi, ma riesca a proclamare la pace
Le prime parole del nuovo pontefice Leone XIV sono state centrate, con forza, su una parola precisa: pace! Se il suo stile, sia umano che d’eloquio, è immediatamente apparso composto e pacato, inducendo in tutti un senso di serenità e fiducia, tuttavia quel punto esclamativo, che qui abbiamo aggiunto noi, sembrava implicito nell’insistenza con cui quella parola è stata scandita e ripetuta. Pace, pace!
Anche Francesco, il suo amatissimo predecessore – apprezzato anche da chi non crede o non è cattolico – invocava la pace e, nel farlo, era assolutamente credibile. A rendere meno efficaci le sue parole, purtroppo, è stato il fatto che provenissero da un uomo il quale si presentava come un messaggero di idealità, portatore d’una purezza d’animo talmente genuina da risultare, paradossalmente ma neppure troppo, scarsamente incisiva. Questo ha fatto sì che i potenti della terra, coloro che tengono in mano i destini del mondo, non lo abbiano mai preso sul serio né mai davvero ascoltato. Puoi dire quel che vuoi, è stato il loro atteggiamento, ti portiamo rispetto per il ruolo che ricopri, ma appena hai finito di parlare ti giriamo le spalle ed è come se tu non avessi detto nulla, poiché noi non abbiamo sentito né recepito niente: sfortunatamente questo è stato, dal punto di vista “politico”, il pontificato di Francesco.
È solo la seconda volta, nella storia, che un Papa muore nel corso di un Giubileo, intitolato da Francesco alla speranza. Robert Francis Prevost, assumendo il nome di Leone XIV, ha voluto porsi nella scia di quel Leone XIII che, pur in un’epoca ancora saldamente legata ai precetti tradizionali, sancì nella Rerum Novarum – senza alcun dubbio la lettera enciclica più importante d’ogni tempo – le basi della cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, ispirando molti a seguirne i principi. Qualcuno ha notato, tutt’altro che a torto, come molte di quelle idee e considerazioni sembrerebbero scritte, e sono quindi più che valide, per il mondo di oggi. Non sarei stupito se la prima enciclica di Papa Prevost, quando verrà il momento, riprendesse e attualizzasse proprio le tematiche di quel documento, stringendo ancor più il legame con il suo predecessore (peraltro nell’esempio di Paolo VI, con la Populorum Progressio del 1967, e di Giovanni Paolo II, vent’anni dopo, con la Sollicitudo Rei Socialis).
Non sarà un nuovo Francesco, dicono pressoché tutti, anche se di certo non ne rinnegherà l’umanità: quell’umanità che ha conquistato la gente e però, di per sé, ha lasciato inerti come sassi gli animi dei potenti del pianeta. Il modello di questo Papa non sarà Bergoglio, ma potrebbe essere (non necessariamente dal punto di vista dottrinale) Karol Wojtyla che alla dimensione umana, spirituale, mistica unì, fino a renderla talora prevalente, la prospettiva politica. Quella prospettiva, cioè, mancata – non per sua colpa – a Francesco e che, invece, proprio il papa polacco dimostrò essere non soltanto indispensabile, ma anche praticabile. Abitiamo, oggi, una società planetaria dove molti sembrano preparare la catastrofe, taluni per incoscienza, altri invece con lucido e spietato cinismo. Sembra di riascoltare, per ora sussurrate (in virtù d’un minimo di pudore), le follie futuriste e interventiste del tipo “guerra sola igiene del mondo” e il motto latino, “si vis pacem para bellum”, viene distorto secondo le convenienze geopolitiche ed economiche. In tutto questo un pontefice che riesca a farsi ascoltare, appellandosi Leone e pronunciando con forza la parola “pace!”, reputiamo meriti la fiducia di tutti, credenti e non credenti, nonostante il “timore e tremore” dichiarati durante la cerimonia di intronizzazione.
Nel frattempo, proprio in questi giorni di metà maggio, è mancata a quasi novant’anni una delle personalità più affascinanti dell’ultimo secolo, che non è eccessivo definire profetiche. José “Pepe” Mujica, ex presidente dell’Uruguay, ha speso l’intera sua vita esortando ad un diverso rapporto con l’esistenza, con le cose che possediamo (le quali sempre più, invece, ci possiedono), con le nostre aspirazioni e ambizioni, con l’ambiente e la natura. Concepiva e praticava il potere politico, prima di ritirarsi a vita privata, come servizio “per la felicità di tutti”, aborriva ogni forma di spreco, predicava una sobrietà – non povertà, della quale chiariva di non fare “alcuna apologia”, ma sobrietà – che è l’esatto opposto del consumo compulsivo cui ci educa, e verso cui ci spinge, il sistema dell’economia. Un altro Francesco dei nostri tempi, così ammirato per le sue idee così ignorato nei fatti, nelle scelte, nelle decisioni. Diceva, tra le altre cose, che la libertà serve a pensare diversamente, perché per essere tutti d’accordo non è necessaria: la speranza, più che mai urgente, è che questa libertà trovi ogni possibile strada per non soltanto invocare, ma proclamare la pace.
