I Carmina Burana, occasione di memoria e di riflessione sulla bellezza [video]
Il ricordo, tra amicizie e affetti, di una esibizione dell’orchestra giovanile del liceo Tito Livio
a G.
Uno strano fortunato caso mi riporta fra le mani, dopo tempo, il video dell’orchestra giovanile del Liceo Tito Livio, di Padova, cui partecipa mia nipote Giulia. Ascolto e vedo: non sono con voi, ma sono dentro a voi, alle parole, alla musica trascinante dei Carmina Burana. Li riconosco: “O fortuna, vigoroso segno di speranza e di fiducia nella fecondità creativa della vita, oltre la paura e la rassegnazione”. Mi associo a questo commento di Antonella Cesari perché tale inno alla fortuna è un inno al futuro in cui voglio credere, anche se ora vedo intorno molto nero. Con lo sguardo ti cerco Giulia, fra tutti i tuoi compagni entusiasti in questa corale e appassionata esperienza che, intimamente, vi accomuna in parole, moti e musica, in un’atmosfera d’indicibile calore. Ti vedo Giulia, in fondo, un po’ nascosta, al pianoforte con l’abituale mascherina di allora.
Le note, il ritmo accelerato sollecitano pure i ricordi che emergono a cascata, come un fiume che attraversa il tempo e ribagna le anse del passato. Siamo ad Adria, la cui orchestra immensa ci offre questi struggenti ed illuminanti Carmina Burana che mi appresto ad ascoltare “nuda”, per avere un approccio personale più autentico con l’ignoto. Una rivelazione. L’occasione magica di assistere al concerto ci è donata da Alberto Macchini, figlio di Luciano e Rosa, nostri amici. Lui, maestro di timpano e percussione al Conservatorio di Adria e del Veneto, più volte incontrato anche a Padova ai mitici concerti del giovedì, eseguiti al Teatro Verdi o al Conservatorio Pollini, proprio dall’orchestra patavina. Appuntamenti sempre di grande spessore per la presenza di Solisti e di Direttori d’orchestra di fama internazionale, come Claudio Scimone che, con il suo ensemble, “I Solisti Veneti”, si è dimostrato interprete raffinato della musica barocca ed altro.
Dicevo di Luciano e Rosa, più grandi di noi, in qualche modo amici della famiglia. La Rosa conosceva anche lo zio Toni, il violinista: chissà se sarà stata innamorata di lui, come tante, di lui che oltre alla musica, amava molto anche le donne. Luciano, invece, era proprio una scoperta, rivelatasi ad un incontro di poesia. Alrichiamo del mio cognome, pronunciato dal Presidente, lui, seduto nella fila dietro a me, mi tocca una spalla, chiedendomi: “Ma tu, sei la figlia di Gino?” Io lo guardo stupita e rispondo affermativamente. Al che nasce tra noi un dialogo intenso, da cui ritrovo una parte di mio padre, vissuta nei Campi Imici, mentre aggiustava le suole delle scarpe dei compagni internati, le mostrine militari degli ufficiali, per ricuperare in tutti un certo decoro e per non lasciarsi andare alla depressione. “Sempre disponibile, mi sottolinea Luciano, un cuore grande che non so dimenticare”. In questo desiderio di rivivere, Luciano si confessa nella sua altra situazione, più fortunata perché, suonando il pianoforte, era spesso ospite dei tedeschi, appassionati di musica. E così ad ogni incontro, notizie nuove, altri tasselli per questa pagina di storia oscura.
Tanti e tanti incontri avvenivano ad Adria, caratterizzati da abituali riti: cena al bar, con toast immensi e bevanda relativa, quattro chiacchiere rilassanti e poi l’esperienza, sempre irripetibile, dei concerti perché l’orchestra di Adria è prestigiosa come quelle degli altri conservatori veneti. Anche se Rosa e Luciano ormai non ci sono più, noi siamo molto legati nel ricordo a questi momenti d’intimità, seguiti dalla musica trascinante dei famosi Carmina Burana. Ad essi, finalmente, mi sono avvicinata con maggior conoscenza, dopo averne vissuto insieme agli amici le mie prime emozioni che si ripropongono ora, davanti al video del Tito Livio, accendendo in me un grande fuoco, una passione indicibile, un senso immenso d’amore che coinvolge parole e note, oltre l’umano.
Ora risento tutto questo passare nelle tue mani, Giulia, da cui accolgo questa Fortuna, con un ringraziamento alla vita, all’esserci ancora, con un incoraggiamento ad andare avanti dopo due anni di clausura e di manette al nostro libero andare.
Oltre a questa mia personale vicenda, rimane il valore acclamato, a tutti i livelli, di questi Carmina Burana, cantata scenica di Carl Orff, ormai parte di un immaginario comune per la loro affascinante forma compositiva, destinata a stupire e ad appassionare pubblico ed esecutori. Nello specifico, i Carmina Burana sono una “cantata scenica, per solo coro ed orchestra con il sottotitolo Canzoni profane da cantarsi da cantori e dal coro, accompagnati da strumenti”. Orff, infatti, utilizzò dei testi medievali, tratti dalla raccolta di BenediKtbeuren, suddividendo poi il lavoro in un prologo e tre parti, con “o fortuna” quale incipit e invocazione finale; opera apprezzata dallo stesso Richard Strauss che ne ammira la purezza stilistica, il linguaggio naturale…
Per concludere, viene in aiuto una frase di Hans Mayer: “La musica di Orff, offre meno all’orecchio della musica d’opera tradizionale e in cambio coinvolge tutti i sensi; non è solo musica, ma è anche danza; non solo melodia, ma anche timbro; non solo canto, ma anche scena e teatro ‒ è musica nel senso di musa che unisce tutte le arti come originariamente concepita dagli antichi greci”.
Non aggiungerei altro, perché Orff si è occupato in maniera eccelsa della parola, in tutte le sue declinazioni, e ha saputo creare un’opera unica e irripetibile, amalgama di stili, di culture, di esperienze e di conoscenze diverse, ben arrangiate che esulano dal contingente, espandendosi in un’aurea d’eternità.