José Gabriel Barrenechea Chávez: a Cuba vige sempre lo stesso modello di oppressione

“A differenza del giovane, per il cinquantenne non c’è un secondo di tempo da perdere. Rimandare ancora un attimo la realizzazione dei propri ideali e sogni di gioventù, lasciarsi sfuggire le ultime opportunità che ancora gli scorrono a portata di mano e di gambe, è semplicemente intollerabile per l’uomo che ha compiuto ieri il mezzo secolo ed è pienamente consapevole di cosa significhi aver raggiunto quell’età critica. Inoltre, a breve distanza da quel lusso giovanile, la pigrizia, la noncuranza di fronte al passare del tempo, alla vecchiaia e al lento o rapido svanire di ciò che siamo, ci perseguitano inesorabilmente”.

Così scrive José Gabriel Barrenechea Chávez, giornalista e scrittore indipendente cubano, detenuto dal novembre 2024 dopo aver partecipato a proteste pacifiche per la crisi energetica cubana nella sua città natale, Encrucijada. È considerato scrittore a rischio dal PEN international che si attiva, anche in questo caso, per far conoscere la sua situazione al resto del mondo. Cuba ha una lunga tradizione di abusi, detenzioni illimitate e senza processi, maltrattamenti su scrittori e giornalisti, dai tempi di Fidel Castro  (1959-2008) e seguenti: Ho seguito da vicino la vicenda di trenta scrittori e giornalisti incarcerati nel 2010: per loro il PEN International aveva attivato proteste e fatto circolare informazioni contro la loro detenzione senza processo e senza cure come previsto dalla giurisprudenza. La liberazione di questi dissidenti è stata facilitata dal dialogo tra il governo cubano, la Chiesa cattolica/Vaticano e il Ministero degli Affari Esteri spagnolo. Questo processo ha portato molti di loro a essere esiliati in Spagna. L’evento è stato una delle conseguenze delle trattative iniziate in seguito alle pressioni internazionali per il rispetto dei diritti umani a Cuba. Era il 2010, ma lo stesso sistema di trattare il dissenso ha continuato nel tempo.

I fatti: dopo oltre 24 ore senza elettricità a causa dell’uragano Rafael, i residenti di Encrucijada erano scesi in piazza nell’ambito di proteste più ampie a livello nazionale. Arrestato per aver presumibilmente guidato una delle almeno 14 manifestazioni in tutto il paese contro il blackout, Barrenechea è stato accusato di aver provocato “disordine pubblico”. Rischia una pena detentiva da tre a otto anni. Si dice che gli sia stato negato un avvocato indipendente e che sia stato isolato dalla sua famiglia. A sua madre è stato negato il diritto di vederlo e nel frattempo è deceduta. In sciopero della fame limitato, la sua salute è peggiorata e le cure negate.

“Dopo aver trascorso mesi in prigione, e con la speranza di avere ancora molto tempo da passare in prigione solo per aver partecipato a una manifestazione pacifica e apolitica, nessuno può chiedermi di provare qualcosa di positivo per un sistema politico, istituzioni e una leadership che sono in ultima analisi responsabili di questo inferno a cui si è ridotta la mia vita”, ha dichiarato Barrenechea al quotidiano indipendente CubaNet in un’intervista dal carcere. “Per me è chiaro che un sistema politico incapace di tollerare il dissenso pacifico e le richieste provenienti dalle strade, quando i canali stabiliti non hanno funzionato, non è giusto né rappresenta un ampio consenso sociale e, in realtà, non è nemmeno forte.  La mia partecipazione personale a quella protesta pacifica e apolitica è consistita nell’essere lì, senza sbattere pentole e padelle, e nel cercare di mantenere quel carattere pacifico e apolitico”.

Rispondendo alle domande ha aggiunto: “Non sono favorevole a un ‘cambio di regime’ violento. Come dimostrano le mie dichiarazioni e pubblicazioni, ho sempre investito tutto in un’evoluzione dell’attuale sistema politico e in un riavvicinamento tra Cuba e gli Stati Uniti”.

(Le fonti includono PEN InternationalLatinoamérica 21 , CubaNet e Translating Cuba)

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