Ricordi del paese natale: l’asilo benedettino a San Biagio di Teolo
Essendo nata, cresciuta, invecchiata nello stesso posto da tanto tempo mi chiedo come i luoghi e le comunità influiscano sulla formazione delle persone.
L’asilo benedettino a San Biagio di Teolo raccoglieva bimbi da tutto il territorio comunale di pianura. Mi sembrava che i bimbi di Feriole, San Benedetto, Tramonte fossero degli extraterrestri, credo di non aver mai realmente familiarizzato con alcuno. Il mio paese era dove c’erano i bimbi miei vicini di casa che incontravo alla “bottega” o nelle scorribande sul monte e nel cortile dei nonni.
Alla scuola elementare si arrivava a piedi, chi dal piano e chi dal colle adiacente. La classe è diventata il mio gruppo sociale. Sapevo che c’era il vicino di casa, il figlio del farmacista, del mugnaio, quello che aveva le mucche, quello che tagliava il bosco e quello che risuolava le scarpe. C’era la maestra che apparteneva ad una famiglia importante com’era giusto che fosse. Si correva all’infinito giocando interminabili partite. Son passati gli anni e quelle prime immagini di società sono rimaste in fondo, svalutate come superate ed ingenue ma sempre attive, base originaria di ogni altra sofisticata evoluzione culturale e sociale. Se qualche vecchietto ora mi saluta, e stentiamo a riconoscerci, risale a quel mondo un legame mai spento.
La mia scuola era oggetto di racconti in famiglia. Mio padre ricordava il suo corso di disegno, quasi una scuola professionale, mio nonno ricordava i tedeschi acquartierati lì e i banchi accatastati nel cortile della ricreazione nell’attesa che le aule riprendessero a vivere come sempre. Dopo è sorto l’edificio nuovo, prima palestra di vita per generazioni che si sono susseguite numerose in paese: gli scolari di Treponti, una scuola, un paese.
La gente di città cresce diversamente, i compagni di classe sono selezionati, la contiguità nel territorio non è più un criterio di appartenenza, nemmeno all’interno di un condominio. Sono i quartieri la prima comunità aggregante? Non di norma. La città è troppo grande, il tuo occasionale vicino viene da lontano, ti rimane comunque estraneo, i rapporti sono liquidi, scorrono via senza lasciare tracce significative. La città è ricca di stimoli, di opportunità, di proposte culturali avanzate, scuole con la palestra, la mensa, i laboratori di informatica, scuole con sezioni numerose perchè sono tanti in città. Ci sono le scuole privilegiate per le èlites e quelle della periferia popolare. Ci sono anche dei parchi dove puoi fare la fila per salire sull’altalena. In città è faticoso trovarsi uno spazio. Come crescono i bimbi in città, oltre la famiglia quale altra comunità li integra?
I comuni dispersi nel territorio devono rincorrere gli stili di vita cittadini, aggregare in grandi edifici scolastici, moderni ed efficienti un gran numero di bimbi e ragazzi? Al paese confluiscono frazioni lontane, abitazioni sparse, occorre un gran dispendio di tempo ed energia per riunire tutti, ogni giorno nello stesso posto: un carico pesante che si aggiunge sulle famiglie.
I tempi cambiano, bisogna capire la modernità, riorganizzare la distribuzione degli edifici scolastici, chiudere ed abbattere quello che ha avuto una lunga continuità storica, andare verso il grande, il funzionale, il tecnologico.
Mettendo sulla bilancia pregi e rischi delle trasformazioni in corso, secondo me, non si raggiunge l’equilibrio. Rimpiango la scuola della mia infanzia, la stessa dei miei figli e nipoti e mi auguro che sopravvivano sentimenti di appartenenza e comprensione umana rimasti nelle piccole comunità, pur attraverso le alterne vicende del tempo, col ricordo di luoghi, fatti e figure significative.