La riscoperta del silenzio contro i rumori e le parole inutili che pervadono la nostra quotidianità

Quanto è il tempo che la società consente oggi al silenzio? E quali silenzi sentiamo mancare, e di quanta libertà di silenzio sappiamo di avere bisogno per sopravvivere “vivi?”

Siamo entrati da tempo nell’epoca del rumore crescente, ma non ce ne siamo accorti subito. È iniziata con i primi elettrodomestici, che tanto sollievo portavano alla nostra fatica, da farci sentire il loro rumore petulante quasi come una festa. Poi tutto ha cominciato a dover essere elettrico, dallo spremiagrumi allo spazzolino da denti, fino alla scopa elettrica obbligatoria perché l’aveva presa il vicino, anche se entrambi già possedevano l’aspirapolvere nuovo e l’antica scopa “zitta”.

Poi le automobili hanno riempito le strade, gli elicotteri il cielo, e dentro le auto la musica era così esasperata, da suggerire un bisogno di vincere il rumore ambientale invasivo, non controllabile, con un altro rumore personale, magari insopportabile, ma voluto.

Ma intanto cresce una ribellione indefinita, si impoverisce la parola, la solitudine si inserisce nelle maglie del vivere. Nascono le discoteche, il rumore comunitario, le belle canzoni dai ritmi ossessivi, la rivendicazione della libertà dei corpi e dei costumi; l’illusione di vivere più forte con esperienze artificiali che portano via: la fuga dal pensiero.

Ma il rumore non inquina solo chi frequenta le sale da sballo: è il nostro coinquilino invisibile, il patogeno occulto dell’ansia, dell’intolleranza, dello stress con le sue varie conseguenze (la calvizie precoce di tanti giovani?) fino alla violenza immotivata sulle strade, gli omicidi casuali, “non so perché l’ho fatto”.

Dov’è la salvezza?  Non possiamo ovviamente eliminare i rumori delle nostre attività quotidiane, ma prendere atto dei loro possibili effetti sì, possiamo. E difenderci, cercando dentro di noi almeno una piccola saltuaria armonia che interrompa il disagio, e ritrovi il privilegio antico del silenzio.

Ricordiamo tutti, nella tragedia immane della pandemia, l’oasi nuda del lockdown, la quiete che sembrava innaturale, gli animali che uscivano dai boschi e camminavano stupiti nelle strade dell’uomo senza l’uomo; il silenzio che apriva le finestre al nostro bisogno di cantare, suonare, esistere insieme. Era una fame nuova d’innocenza, la nostalgia del primo paradiso. L’abbiamo dentro ancora, diamole coraggio.

I giovani stanno già provando. Recuperare i silenzi, stanarli dove sono nascosti dal rumore, dalla fretta, dai disagi interiori: in un sorriso di saluto fra sconosciuti, nel guardare attento di un animale che fiuta qualcosa che tu non sai, nella bellezza piccola di qualunque cosa, o in quella grande di un pensiero nuovo, mentre il sole si posa per un attimo in una pozzanghera azzurra.

Noi siamo le generazioni che hanno potuto guardare tante cose, belle non belle orribili , e possiamo trovare dentro noi stessi le difese, e gli antidoti a questo mondo sbagliato, proprio perché sappiamo che è sbagliato. Ma c’è un mondo piccolo a cui dobbiamo un infinito rispetto, i nostri giovani Sapiens che conoscono solo ciò che vedono adesso, e come sempre i bambini lo trovano normale, ma hanno disagi imprecisi e domande che non sanno formulare; ed è nostro il compito, no il dovere, di mostrare loro i sentieri delle speranze, la luce delle bellezze da scoprire, la gioia della fatica, l’amore che serve per credere sempre nell’uomo. E il silenzio, la culla.

Ma “noi” chi siamo? Se per noi intendiamo chiunque, se pensiamo a qualcosa che sia alla portata di chiunque, allora c’è qualcosa di facile e bello che possiamo fare per tutti e per noi stessi: essere disponibili al sorriso, all’ascolto e all’obiettività. Perdonatemi questo piccolo sogno: se riuscissimo tutti il mondo guarirebbe…

Ma nel concreto, da dove cominciare per cambiare questo modo di vivere? Forse dai giochi per l’infanzia, che possono coinvolgere nella scoperta anche due o tre generazioni insieme – e magari i nonni si possono riconoscere in qualcosa di buono che hanno vissuto – e dalla Scuola naturalmente, con le sue enormi potenzialità e le sue complesse difficoltà a cambiare. Nel mondo dei giochi è più facile, sia perché potrebbero bastare cambiamenti modesti, sia perché è il mercato a fare le regole, e se le idee nuove fanno presa, il mercato ne fa una tendenza, una moda.

Da qualche tempo ho visto nascere e affermarsi dei giochi che stimolano intelligenza, fantasia, scambi di pensieri e facoltà non ancora esplorate. Ecco, mi piacerebbe il superamento dell’idea che ai bambini piaccia tanto il baccano, si potrebbero togliere dai giocattoli i rumori non essenziali, ammorbidire gli altri, insegnare l’uso della quiete e dell’attesa: con fantasia e leggerezza, ci sono creatori di giochi che sanno pensare come bambini. Ma prima di questo deve mettere le ali la rivoluzione culturale del silenzio. Si può.

Si può, ed è altrettanto importante e assai più difficile l’avvio di una rivoluzione nella Scuola: se ne parla da tanto tempo, si sono fatti cambiamenti e tentativi, a volte mortificati da considerazioni di carattere contingente, politico – umorale, oppure tecnico, esami non esami, settimana corta o lunga, quali materie si può evitare di studiare per la maturità…

Ma la Scuola non è fatta per la Scuola, è fatta per i ragazzi. E forse non si è approfondito abbastanza come trasformarla in un terreno di coltura in cui possano crescere le doti personali e la libertà di pensiero di tutte le giovani preziosissime vite che passano dentro la Scuola. Ci sono grandi insegnanti che sono capaci di questo, chi ne ha incontrato uno non lo dimentica mai.

Io non ho lavorato nella scuola. Le mie esperienze di insegnamento stanno in ambito sportivo, e sono state un tempo di vita molto felice. Parlo dei ragazzi per empatia, non per competenze di studio. Ma so con certezza una cosa: se a un ragazzo chiedi poco, ti darà ancora meno. Hanno bisogno di rispetto, di fiducia, di essere guardati negli occhi mentre gli si chiede di dare di più.

Abbiamo l’esempio meraviglioso del professor Vincenzo Schettino, che ha conquistato una marea di giovani parlando di fisica in televisione, e scrivendo libri di fisica che vendono centomila copie: non è l’argomento, è l’avere creduto che con allegria e rispetto i giovani si sarebbero accesi.

Credo che ci attenda una rivoluzione globale, perché è troppo forte ed evidente l’impoverimento nella società delle motivazioni, degli ideali, delle capacità di pensiero critico; e troppo ricche le potenzialità a disposizione dell’uomo, per non provare ad osare. Bisogna trovare un linguaggio nuovo, una Scuola che costruisca domande e stimoli risposte, e produca curiosità di sapere. Il problema è tanto complesso, e non si trova un punto da cui cominciare: deve nascere una consapevolezza comune, un grande bisogno di dare.

Le utopie sono come una rondine guida: volano avanti, in silenzio. A tutti noi, buon volo.

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