Alcune riflessioni sull’esilio: dalla realtà alla finzione narrativa

Il destino di non poter abitare la propria terra: una condizione che riguarda milioni di persone in tutto il pianeta

Nelle ristrette geografie europee o nella vastità dello spazio americano, l’esilio ha caratterizzato da sempre la scena artistica sia nel suo aspetto mimetico sia come tema d’invenzione. Il vuoto del presente costantemente rapportato alle illusioni del passato e all’incertezza del futuro coincide con le difficoltà che deve superare colui che è costretto ad allontanarsi fisicamente dal paese d’origine, condannato a peregrinare inseguendo sogni e rimpiangendo ordine e armonia perduti. Concetto questo che rafforza l’ipotesi di un esilio-riabilitazione spirituale, in risposta ed in opposizione alla comunità. La sfida che gli scrittori esiliati lanciano ai sistemi sociali e culturali del proprio paese è quella di recuperare l’identità, attraverso la ricostruzione dell’essere e la revisione del concetto di appartenenza. L’idiosincrasia di questa nuova posizione è caratterizzata dal riconoscimento di un luogo intra identitario, dove proporre una nuova identità culturale per evidenziare ciò che la storia e la politica hanno negato.

Oltre ai fattori economici, la repressione politica costituisce la causa prima di ogni forma d’esilio che impedisce di vivere nella propria terra. Ben lo sanno tutti coloro che hanno subito ogni tipo di angheria, di malvagità, di persecuzione, di ingiustizia, di inuguaglianza nelle diverse parti del mondo sotto regimi autoritari e dispotici, sempre più stabili. Latino America, per citare un esempio tra i più eclatanti, e in modo particolare i paesi del Cono Sur ‒ Argentina, Chile, Uruguay, senza considerare la condizione del Paraguay sotto dittatura costante ‒, sono stati stravolti da una serie infinita di golpes. Questi ultimi si sono susseguiti per tutta la decade successiva agli anni 1964 / 1966, dando vita a un esodo massiccio verso direzioni molteplici ‒ soprattutto verso il continente nord americano‒, proprio per sfuggire dalle atrocità della dittatura. Tuttavia, un numero alquanto cospicuo di persone, spinte dal desiderio di non perdere il senso dell’origine e per attenuare il dramma della separazione, si sono orientate verso l’Europa, Spagna in primis dove almeno il problema linguistico non esisteva. Altre hanno scelto l’Italia, terra di provenienza di nonni e/o genitori emigrati anni or sono. Si tratta di una sorta di ritorno a casa, in quanto viene rispolverata la memoria della loro origine, sempre coltivata e tenuta viva nel corso del tempo.

In alternativa vengono scelti paesi culturalmente avanzati, centro di movimenti intellettuali che costituiscono una forte attrazione per l’esiliato “culturale”, ovvero per colui che decide di abbandonare spontaneamente la propria patria, stimolato dalla necessità di ampliare le proprie conoscenze. Parigi è particolarmente ricca di suggestioni ed è considerata sin dagli inizi del XX secolo una sorta di paradiso terrestre per gli artisti latino-americani, e non solo, proprio per l’effervescenza di stimoli culturali che ampliano gli orizzonti della mente. Oltre alla Francia, la Svezia è ulteriore sede privilegiata perché rappresenta il modello di social democrazia cui aspirare, anche se simbolicamente essa viene associata al carcere subito durante la dittatura (Lindholm Narváez). Da qui l’instancabile denuncia degli orrori, perpetrati dallo strapotere dei militari e da ogni repressione più o meno violenta.

Eppure, in breve tempo, il vecchio continente si rivela ostile e diverso da quanto immaginato, tanto che l’esule lo rifiuta continuando in terra straniera il medesimo status vivendi del paese d’origine senza alcuna sollecitazione a ricostruirsi una vita diversa: il ricordo riattiva paesaggi perduti, crudeli avvenimenti rinnovando il dolore e la sensazione di impotenza. Tuttavia, per non essere sopraffatti da questo stato d’inerzia, gli scrittori nell’esplorare la nuova realtà che li ha accolti, si rifugiano in un mondo di fantasia alla ricerca di libertà espressiva e di possibilità di vivere senza subire estreme influenze.

Uguale atteggiamento si manifesta negli scrittori “silenziati” dalla repressione politica, ma rimasti in patria “nonostante tutto”. Nell’esilio interiore, che rifiuta il contesto locale, essi riescono a colmare l’assenza e a crearsi una dimensione senza tempo e senza spazio, dove la sensibilità e l’immaginazione possono esprimersi prive di costrizioni di sorta ed annullare la paura di vivere in un mondo assurdo ed incomprensibile. Se da un lato ciò funge da terapia dell’anima, dall’altro lato aumenta l’isolamento e l’astrazione. Esistono, pertanto, analogie tra esilio territoriale e marginalità all’interno del proprio paese natale, poiché sia la separazione, sia la reintegrazione sono valori da rifiutare o da adottare spontaneamente e non semplici categorie sociali e culturali come sottolinea Lavin (62).

Nella finzione, pertanto, accanto alle descrizioni di carattere testimoniale, dal ritmo sovente frenetico e giornalistico quasi a voler sostenere che lo spazio a disposizione è insufficiente per denunciare l’assurdità della situazione, affiora il mondo interiore dei ricordi e delle riflessioni. Vale a dire dal tempo della narrazione si entra nel luogodella descrizione, in un incrociarsi di espressioni e di parole, di dialoghi e di registri altrui che fanno emergere una voce collettiva. Riattivando la dialettica interiore / esteriore, lo scrittore ubica la propria soggettività tra le coordinate più ampie della storia e si confronta con differenti orizzonti temporali senza limitazioni verbali. Parafrasando Kant, possiamo concludere che le forme con cui il pensiero dell’esule si avvicina alla realtà oggettiva sono categorie sociali, storicamente e socialmente costanti, adattabili all’intera umanità.

Bibliografia citata

Lavin, H. (1978): Literature and exile. N.Y.: Oxford press.

Lindholm Narváez, E. (2012): La cárcel simbólica escandinava. El exilio en la narrativa de Fernando Butazzoni, Carlos Liscano y Cristina Feijóo. In B. Caballero Rodríguez & L. López Fernández (Eds.); Bowron, T. (Ed. asistente), Exilio e identidad en el mundo hispanico: reflexiones y representaciones (pp. 986-1008). Biblioteca Virtual Cervantes.

Kant, I. (1907): Critica del giudizio. Bari: Laterza.

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