Apprezzare la ricchezza delle differenze per sentirsi, senza pregiudizi, “popolo veneto”

Le incertezze sul futuro rischiano di minare, nei nuovi abitanti, lo sviluppo di un sentimento di appartenenza. Che però è una strada necessaria e possibile

Bel nome, bel titolo di giornale, il popolo veneto certamente per Sebastiano Schiavon era chiaro chi fosse: erano i contadini, i lavoratori poveri, i diseredati in favore dei quali voleva spendere il suo impegno sindacale e politico senza risparmio di forze, fino alla consumazione fisica.

Ma oggi, nel tempo della sovrabbondanza di informazioni online la confusione è tanta, quale contenuto possiamo dare a questa espressione?

Basta vivere in Veneto per essere Veneti? A quale popolo appartengono quelle estese famiglie dai cognomi comuni nei nostri paesi (magari in via di spopolamento), famiglie che parlano altre lingue ma si trovano più a loro agio col dialetto nostrano e lo parlano meglio dei residenti. Sono tanti, oltre oceano, nelle Americhe, fino in Australia, milioni e milioni, dieci volte la popolazione in Italia. Hanno sviluppato ragnatele di radici in altre terre, hanno lavorato contribuendo al progresso di altri paesi, vi hanno cresciuto figli e nipoti. Sono diventati stranieri?… Rimangono Veneti nel profondo come i residenti, che non si sono spostati.

Ma la terra di origine è cambiata! Ora in questa terra si sono insediati molti nuovi abitanti.

Qual è la lingua che accomuna ora gli abitanti del Veneto? Forse l’inglese?

I numeri delle statistiche, più o meno rigorosi, parlano di un 10 per cento di stranieri, percentuale tra le più alte fra le regioni italiane. Hanno permessi di soggiorno, nuova cittadinanza, protezione come rifugiati… Sono arrivati in anni recenti ma anche più lontani, le statiche non riconoscono più gli integrati di vecchia data. Provengono da paesi vicini ma anche molto distanti: Romania, Ungheria, Albania… Marocco, Tunisia, Nigeria, Sudan… Cina, Filippine… I più fortunati possono frequentare comunità del paese d’origine dove riconoscersi. In casi sporadici nascono famiglie miste. Eppure, inevitabilmente, resta un grande bacino di spaesamento, riempito, forse, negli adulti, dal lavoro e dalla speranza di ricongiungimento alla patria. Qualcosa dei loro guadagni torna spesso ai parenti rimasti là. Per noi sono una risorsa, lavorando versano il dovuto all’erario e non è poco.

I giovani, gli adolescenti, le seconde generazioni invece non vedono fondamenti chiari, reti relazionali accoglienti, prospettive di auto-realizzazione su cui costruire un proprio sensato progetto di vita. C’è più sofferenza e frustrazione di quanto si possa immaginare nei giovani in cerca di integrazione. Anche a scuola, nei vari gradi, con la buona volontà di tutti, gli stranieri, per lo più, si fermano dopo l’obbligo e i risultati rimangono inferiori agli studenti locali.

Bisogna sviluppare un forte sentimento di appartenenza per intrecciare le proprie aspirazioni con le comunità dove si vive, riconoscersi reciprocamente e abbandonare senza rimpianti il pregiudizio in ogni sua subdola forma.

Questo nostro Veneto saprà apprezzare la ricchezza delle differenze, lasciarsi trasformare, diventare un popolo nuovo come richiedono gli intrecci di uomini diversi che stanno avvenendo?

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