Il carattere del “Veneto imperituro”

Il film di Pietro Germi, Signore e Signori, già sessant’anni fa offrì un caustico ritratto della nostra regione

Una conversazione fra due amiche al bar. “Voglio fare un matrimonio all’americana”. “Sì, ma sei di San Vito di Leguzzano”. Risposta bellissima e sensata, scrive Francesco Chiamulera: è il Veneto imperituro che sdrammatizza nella piccola dimensione quotidiana ogni fanfara, che ripristina la scala delle ambizioni senza umiliarle troppo, che infine riconduce tutto al tavolo dell’aperitivo, camera di compensazione di ogni fatica e nevrosi. Questo è il Veneto di sempre – celebrato in un film di Pietro Germi che fece scalpore, Signore e Signori del 1966 – quel Veneto dove lo scrittore Virgilio Scapin, autore de Il bastone a calice (finalista al premio Campiello), a chi gli faceva notare che certe cose non si fanno, se si è dipendenti della Banca Cattolica, “e sottolineo cattolica”, rispondeva “me ne frego e sottolineo me ne frego”. Questa idea accomodante veneta che i problemi, i cambiamenti, le sorprese, le perturbazioni, puoi sempre scansarli lasciandoli fuori dalla porta, oppure li puoi affrontare con ridanciana disinvoltura, come ha fatto il padre di Luigi Meneghello, quello di Libera nos a Malo, che aveva deciso di partecipare alla marcia su Roma, ma alla fine si fermò a Isola Vicentina, quattro chilometri da Malo.

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