L’abate vicentino Dalla Vecchia bibliotecario di Casa Leopardi
Uno sguardo sulla vita quotidiana e familiare del grande poeta di Recanati
L’abate vicentino Giovanni Battista Dalla Vecchia (1831-1903), originario di Santorso, venne ordinato sacerdote il 23 dicembre del 1854. Dopo alcuni anni trascorsi a Montecchio Precalcino, verso la fine del 1863 fu chiamato come istitutore nella famiglia Leopardi, a Recanati. Fino alla fine del 1868 fu precettore del conte Luigi, ma anche amministratore e bibliotecario. Cesserà dall’incarico, dopo alcuni mesi dalla morte nel 1869 della contessa Paolina, sorella di Giacomo, avvenuta a Pisa nel 1869.
La personalità dell’abate emerge dagli scritti della contessa Teresa Teja, seconda moglie di Carlo (la prima moglie fu la cugina Paolina Mazzagalli), fratello di Giacomo, con cui intrattiene un lungo rapporto e dalla quale riceve l’incarico di collaborare a stendere le “memorie leopardiane”, le “notes biographiques sur Leopardi et sa famille”, edite a Parigi nel 1881. Il libro del 2015 di Edoardo Ghiotto Fra Santorso e Recanati. L’abate G.B. Dalla Vecchia bibliotecario di casa Leopardi e l’articolo di Loretta Marcon del 2021 Umberto dalla Vecchia. Gli ultimi anni di Paolina Leopardi ci informano su particolari poco noti della vita dell’abate, nel frattempo divenuto “ad interim” parroco di Santa Maria di Loreto di Piane di Schio. L’abate, che definisce Palazzo Leopardi un “sepolcro dei viventi”, cerca di fare da intermediario e paciere fra Paolina, assillata dalle continue “intollerabili” richieste di denaro dei nipoti Giacomo e Luigi, figli del fratello Pierfrancesco, morto all’età di 38 anni, dei quali era tutrice. L’abate era in possesso di diversi manoscritti, opere giovanili, lettere e note autografe del grande poeta e persino di oggetti che, a suo dire, gli erano stati regalati a Paolina o da Teresa Teja con la quale intrattenne un rapporto epistolare anche dopo la sua partenza da Recanati.
Come si svolgeva la vita in casa Leopardi? Scrive l’abate che alle nove e mezzo del mattino, Paolina insieme a Carlo e Teresa assistevano alla messa e, dopo, si intratteneva fino alle undici con Teresa, quando Carlo veniva a prenderla per il pranzo. Al Dalla Vecchia era proibito di tenere contatti con i recanatesi e perfino di intrattenersi con i domestici. “Qui” nota l’abate “una visita è un avvenimento e una grande variazione nelle antiche e grette abitudini”. Paolina nutriva un vero e proprio culto verso l’amatissimo fratello Giacomo (nel 1867 si recò a Napoli per piangere sulla sua tomba) e mostrava gratitudine verso quei “pietosi” che ne onoravano la memoria, del quale però – precisa l’abate – “non parlava mai, anzi rifuggiva dal ricordarlo non so se per non rinnovare il dolore d’averlo perduto o perché non era rassicurata della di lui finale destinazione”. Per Paolina il credere – continua l’abate – era un’abitudine e un bisogno della mente, “che rifuggiva dal nullismo del fratello di cui, negli ultimi anni, essa riguardava le opere come aberrazioni”. Il Dalla Vecchia morì nell’ospedale di Schio all’età di 72 anni, il 16 maggio 1903.