Se il domani appare sempre più indecifrabile

Un’incertezza che pesa su tutti, giovani e adulti

“Perfino il futuro una volta era meglio”, è stato scritto. Sembrerebbe una battuta e probabilmente voleva esserlo, avendone il tono, e del resto l’autore – il tedesco Karl Valentin (1882-1948) – disponeva anche di un’arguzia comica: ma è comunque una battuta, come spesso accade, che rivela implicazioni profonde. Prendeva causticamente di mira, certo, chi già un secolo fa usava, magari per indole o insoddisfazione, lamentarsi di tutto: ma, traslata all’oggi, assume contorni tutt’altro che banali.

Ad uno sguardo onesto, oggettivo, non è vero che oggi il mondo sia un luogo peggiore di quanto non fosse cinquanta, o cent’anni, o vari secoli addietro. Mediamente – anche se sappiamo bene quante spaventose disuguaglianze possano essere occultate dall’avverbio “mediamente” – salute, istruzione, alimentazione, diritti, informazione, spostamenti sono in miglioramento, talora netto.

Può essere motivo di discussione la perdita di determinati valori, ma si tratta qui di un criterio in parte soggettivo e, peraltro, anch’esso da soppesare: alcuni si saranno ridotti, persino dissolti, ma altre sensibilità sono senz’altro nate. C’è meno solidarietà, meno rispetto, meno senso della famiglia e della comunità? Può essere, anzi probabilmente così è, ma si rischia comunque di compiere l’errore di attribuire valori sperimentati nel proprio ambiente, nel proprio tempo, ad un mondo che nella sua interezza non li praticava, in realtà, come noi ricordiamo. Mentre sono apparse sensibilità, attenzioni, motivazioni nuove, che non necessariamente o per nulla caratterizzavano le precedenti epoche.

Allora, cos’è davvero cambiato? Assai più del presente è, appunto, cambiato il futuro. Che, in teoria, dovrebbe mantenere la sua peculiarità di territorio del tutto inesplorato, pertanto misterioso, ma interamente da scrivere, con uno spazio di potenzialità da affrontare con entusiasmo, libertà, fiducia, creatività. Invece, quali che siano le cause (e sono molte), oggi il futuro è talmente incerto, talmente poco affascinante (almeno per chi opera e lavora in ambiti ordinari), talmente insondabile da venir percepito, più che come obiettivo, come una ventura ineluttabile e imponderabile. Il termine “come non ci fosse un domani”, tra le giovani generazioni, è in voga da decenni, ma se un tempo alludeva soprattutto ad una vitalità rivolta al “tutto e subito”, anche a rischio di bruciarsi in una fame esuberante, oggi esprime invece un’idea desolata: che un domani, forse, davvero non c’è e, se c’è, non è più possibile farvi affidamento. La frivolezza imperante (che talora appare autentica stupidità), la ricerca di una visibilità e notorietà effimere e immediate, la superficialità ostentata ne sono dirette conseguenze alle quali continuamente assistiamo. È facile dileggiarle o deprecarle ma, forse, è anche giusto coglierne il tentativo di autodifesa rispetto alla voragine di un futuro che non si sa più se sia orizzonte o baratro e nel quale tutto – lavoro, socialità, relazioni, ambiente, tecnologia – sarà diverso, diversissimo, da come si poteva presumerlo fino a pochissimi anni fa, così come promette di plasmarlo il diffondersi fulmineo, e onnipervasivo, dell’intelligenza artificiale.

Lo smarrimento vale per tutti, non soltanto per le nuove generazioni. Stiamo assistendo, proprio in queste settimane, ad uno stravolgimento epocale del mondo nel quale ci eravamo, fin troppo passivamente, adagiati. Il rivolgimento degli equilibri tra i grandi blocchi mondiali costringe l’Europa, qualunque cosa essa sia o sia stata finora, ad assumere decisioni non con la pigrizia pachidermica dei decenni, ma sotto l’urgenza dei mesi se non delle settimane. Il che potrebbe essere cosa buona, laddove scuota finalmente da inerzie e immobilismi, ma parimenti risultare pessima, spingendo a decisioni dalle conseguenze non adeguatamente valutate. Abbiamo una nostra idea, ovviamente, e ci riserviamo di esprimerla compiutamente in una prossima occasione. Ma a colpire, comunque la si pensi, sono gli assunti portati a sostegno delle diverse teorie, i cui sostenitori si dividono senza ricalcare le tradizionali appartenenze ideologiche. I due schieramenti, favorevoli o contrari alle proposte dell’Unione Europea, presentano ciascuno argomentazioni sensate, pur dovute a visioni di fondo profondamente diverse. Questa contrapposizione, che muove appunto da giustificazioni ciascuna a suo modo motivata, porta soltanto ad un profluvio reciproco e inarrestabile d’insulti, accuse, intolleranze, centuplicato dall’effetto di grancassa offerto dagli odierni canali di comunicazione. Ad aggravare il tutto, una semplice considerazione: s’arrivasse pure ad una sintesi, si trovasse un modo per conciliare civilmente le opposte valutazioni, non servirebbe a nulla, se non ad uno scenario meno ammorbato. Non servirebbe a nulla perché le decisioni, alla fine, saranno in pochi a prenderle, in pochissimi: quelli che hanno il potere e l’autorità di farlo, anche in spregio al parere di moltissimi. Decisioni, peraltro, già quasi certamente prese.

Siamo insomma, di fronte a questo futuro che “una volta era meglio”, già ben oltre il celeberrimo assunto di Eugenio Montale, quei due versi “Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” che restano, forse, i più rappresentativi in assoluto del clima e pensiero novecentesco e scritti, peraltro, nella stessa epoca in cui viveva il Karl Valentin da cui siamo partiti. Del resto il Novecento è finito da tempo, con i suoi infiniti orrori, e voglia il cielo che il Duemila, che forse inizia veramente adesso, non ne suggerisca di nuovi. Lo stesso Valentin, del resto, aveva in serbo un’altra battuta: “Tutto è già stato detto, ma non da tutti”. Ambigua quel tanto che basta per suggerire scenari tanto d’omologazione quanto di speranza ed è a quest’ultima, guardando ai “non tutti”, che vogliamo rivolgere il nostro sentimento di fiducia.

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