Una Padova altra: ricordo della Libreria Draghi
(Seconda e ultima parte dell’intervista a Pietro Randi, realizzata nel 2006. La prima parte è stata pubblicata a marzo)
I frequentatori e i visitatori di questo tempio della cultura e anche dell’arte erano erano pure illustri?
I visitatori erano personaggi quali Goffredo Parise, Diego Valeri, Stanislao Ceschi, Umberto Campa gnolo, Giorgio Peri, Ettore Lo Gatto, Arturo Cronia, Cesare Crescente, Peggy Guggenheim, Salvator Gotta, Giovanni Comisso, Aldo Palazzeschi e tra i più recenti Indro Montanelli, Livio Caputo, Saverio Strati e molti altri. Da non dimenticare Giovanni Spadolini che, trovandosi a Padova, non trascurava la visita alla Draghi “all’ombra di Manara Valgimigli”, come lasciò testimonianza nel prezioso quaderno il primo dicembre 1990. Tutti questi erano visitatori attratti dalla galleria “La Chiocciola” e frequentatori della storica Libreria, punto di riferimento nella cultura di Padova.
Un episodio a lei caro di questa atmosfera così accesa, oggi quasi impensabile?
Un giorno di fine gennaio 1978 telefonai al professor Ezio Franceschini invitandolo in libreria per il primo febbraio successivo, una ricorrenza anche a lui cara, che desideravo proprio con lui onorare. Franceschini accettò con grande disponibilità e nel quaderno delle testimonianze così scrisse: “Nel giorno centenario della nascita del mio maestro Concetto Marchesi, 1 Febbraio 1978”. Documento questo della grande stima esistente tra due personalità diametralmente opposte nella ideologia politica, ma vicine sempre nella lotta di liberazione dal fascismo, unite dalla comune fede nella cultura e dal rigoroso studio della civiltà classica.
“All’ombra di Manara Valgimigli” scriveva Spadolini nel 1990 nel famoso quaderno, alludendo alla Draghi. Può raccontarci di Valgimigli quale suo assiduo frequentatore?
Di Manara Valgimigli, ospite quotidiano della Libreria, conservo la bellissima dedica nel suo “Uomini e scrittori del mio tempo”, Sansoni, 1965: “All’amico giovane Pietro il più vecchio amico Manara 17 giugno 1965”. Non potevo desiderare di più dal grande Maestro, erede ideale del Carducci, che mi onorava della sua continua presenza. Quando la pesantezza del passo non gli permetteva di salire al primo piano della libreria a confidarsi con la Lea, sedeva su una poltrona a fianco del mio tavolo di lavoro al piano terra e conversava a lungo con me. Quanti ricordi, purtroppo non affidati allo scritto!
Tra gli scaffali densi di libri chi incontrava ancora Valgimigli?
Frequenti erano gli incontri in Libreria tra il Maestro e Marino Moretti, testimonianza anche questa di un’amicizia antica rinsaldata durante il soggiorno ravennate di Valgimigli alla direzione della Biblioteca Classense, di cui era già stato illustre responsabile il suo maestro Giosuè Carducci. E qui, alla Draghi, lo stesso Valgimigli incontrava Bacchelli. Un giorno, quest’ultimo era in ritardo all’appuntamento concordato per il tardo pomeriggio: stavano per suonare le venti, la libreria era già chiusa e Valgimigli attendeva l’ospite nella sua consueta poltrona. Quando la possente figura di Bacchelli apparve sullo sfondo della strada già buia e si presentò bussando violentemente al di là della porta di cristallo, Valgimigli esplose in un fragoroso “Bacchellone…!”, giocando scherzosamente sulla robusta taglia dell’ospite. E fu ancora una volta grande festa per l’amicizia.
Lei rivisita momenti veramente unici vissuti nel suo bel salotto culturale tra amici e libri, quasi una casa comune per chi credeva negli stessi valori. Mi pare ci sia una testimonianza di Concetto Marchesi su questo luogo di incontri felici e discreti.
È vero: a tempi più lontani (era il 1950) risalgono le parole scritte da Concetto Marchesi a testimoniare i cento anni di vita della Draghi. “Da 26 anni conosco e frequento quel luogo (la Libreria Draghi), più di un quarto di secolo: grande spazio dell’esistenza mortale. Ma nei miei ritorni a Padova – la città diletta – dove non ho più la mia vecchia casa né la mia vecchia scuola, ho una cosa che è ancora mia e non invecchia: è quella bottega di libraio dove la mia vita di studioso, di maestro, di amico continua come sempre” (Roma 20 dicembre 1949).
Di tempi più vicini, quali persone ed episodi desidera ricordare?
I maestri più recenti, quelli della mia scuola superiore: Lino Lazzarini, Andrea Moschetti. Con quest’ultimo ho continuato, fino alla sua scomparsa, a colloquiare su filosofia e musica nei nostri occasionali incontri nella Galleria attigua alla Libreria. In particolare ricordo un simpatico episodio di cui fu protagonista Andrea Moschetti. Nell’ora di filosofia al Tito Livio, il professore mi pose un quesito che mi mise in difficoltà. Per togliermi d’imbarazzo, sollecitando il mio impegno nella musica, girò così la domanda: “Il largo di Veracini (guardacaso era sul mio leggio) di che cosa è composto?”. Ovvia la mia risposta: “Di note”. E di idee era formato il complesso pensiero del filosofo in questione.
Di Diego Valeri, uomo e poeta, ha qualche particolare da raccontare?
Anche Diego Valeri, che non era stato mio docente, entrava spesso da noi, conversava con amici e clienti con quella sua cordialità e umanità di cui era prodigo. Mio rammarico è che i suoi testi, tutti presenti alla Draghi durante la sua vita, ora siano scomparsi anche dai cataloghi editoriali. Sic transit gloria mundi.
Mario Richter, che ricopre la cattedra di Diego Valeri e tra l’altro è prefatore di due mie raccolte, frequenta la Draghi?
Mario Richter, nome molto conosciuto nell’ambiente accademico padovano come continuatore del culto della letteratura francese sulla scia di Diego Valeri, frequenta la Libreria come tanti altri colleghi universitari.
Pensa che sia possibile ricostruire ora lo stile di vita da lei vissuto nel suo osservatorio culturale?
No. Questa età non può ritornare né per me né per quanti sono al tramonto della vita, se non altro per il ritmo frenetico d’oggi che crea rapporti rapidi e superficiali. E per altri motivi che lascio individuare agli esperti. La società è ormai troppo mutata: in meglio o in peggio? Ai posteri il giudizio. Io spero in meglio per i miei figli e ancor più per i nipoti ormai numerosi che appartengono ad un mondo che non è più mio.
Di altri più vicini a noi, forse non poeti ma maestri di sapienza, incontrati nel mio percorso universitario quali Folena, Sartori, Sambin, Seneca, Branca, Ferrarino, Cronia ha qualche annotazione nel suo prezioso quaderno?
Lei mi rammenta grandi nomi di un mondo scomparso. Le loro personalità però continuano ancora a vivere nella mia memoria e attraverso le loro opere presenti negli scaffali della Libreria, anche se ormai in numero sempre più esiguo. Con alcuni, in particolare con Franco Sartori, c’è stato qualcosa di più. Il colloquio infatti era frequente, sfiorava vari temi non solo della cultura e della bibliografia, ma anche familiari. Su mia richiesta accettò di tenere una relazione sull’importanza del libro nell’antichità, in occasione di un convegno internazionale di librai da me organizzato a Padova nel 1967. Intense erano anche le conversazioni su problemi di famiglia tra noi accomunati dall’età che avanzava. Fu lui a propormi il passaggio dal “lei” reverenziale al confidenziale “tu”: fu l’inizio di un parlare più sciolto. Di Vittore Branca ricordo che organizzò alla Cini un convegno sul libro, presieduto da Giovanni Spadolini. Io ne fui relatore su mandato del presidente dell’Associazione Nazionale Librai e ricevetti segni di stima da parte del Presidente Spadolini e dello stesso Branca. Di Arturo Cronia possiedo una bella fotografia con dedica a mio padre, testimonianza affettiva della sua frequentazione alla Draghi. E questa foto è, insieme a tante altre, documento anche visivo di quel tempo nel mio attuale “pensatoio” al terzo piano su via Cavour. Degli altri docenti da lei nominati con affetto, rimane costante l’ombra del passaggio alla Draghi anche se non testimoniato nello scritto. Aggiungo io un pensiero su Giuseppe Fiocco, per le sue frequenti visite alla libreria e alla “saletta degli incontri” nell’interrato dove si svolsero per lunghi anni conferenze e presentazioni. Qui Fiocco coinvolgeva e affascinava i presenti con la sua parola di studioso e critico d’arte e con argute e scintillanti affermazioni, che cadevano sugli astanti come “sassi nel pollaio”.
Per quanto riguarda l’oggi, quali categorie di persone frequentano la Libreria Draghi?
Come in qualsiasi attività, anche alla Draghi il frequentatore è diventato ormai anonimo. Non ci sono più barriere tra le varie categorie: si acquista il libro e via. Si salva, se mi è concesso il termine, una percentuale esigua di frequentatori con i quali si instaura un colloquio per la richiesta di un libro particolare o di difficile reperimento, con relativa individuazione nella bibliografia imbrigliata ormai nei dati informatici e la promessa di una ricerca più minuziosa nella bibliografia cartacea. Operazione quest’ultima troppo spesso infruttuosa, per la sempre più scarsa attenzione degli editori alle esigenze della cultura.
Quali i programmi in questo rinnovato ambiente di via Santa Lucia, così caldo e morbido?
Il mondo si sta rapidamente rinnovando, non ho ancora capito se nel bene o nel male come ho già precedentemente sottolineato. Anche i segnali che riceviamo sono estremamente contrastanti: basta aprire un quotidiano. Di questo clima risente anche la Libreria: nuovo ambiente, nuovo look, nuova luce, anche nuova conduzione interamente affidata ai miei figli. Al tutto danno garanzia la continuità dell’insegna, la Draghi, e la proprietà esclusiva alla famiglia dei Randi. Considerazioni per me rassicuranti nel momento in cui dalla scena della città scompaiono volti, insegne, attività che costituivano il più ricco patrimonio della tradizione urbana, via via sostituite dall’anonimato dilagante per opera di grandi imprese che stanno aggredendo Padova con l’unico obiettivo del profitto.
Comprendo ora, alla fine del nostro incontro, il senso di quella sua affermazione: “Finalmente una giornata di vera cultura a Padova”. Lì, nell’Aula Magna, per alcune ore ha respirato un po’ di quell’aria culturale in cui viveva abitualmente nella sua libreria-osservatorio da cui ha percepito, per più di sessant’anni, i battiti culturali patavini. E capisco quindi la motivazione per cui a lei è stato recentemente conferito il Sigillo della città. Non voglio intrattenerla oltre, ma come conclusione mi può offrire qualche particolare su quel suo libro scritto a quattro mani con Cristiano Amedei e pubblicato dalla sua stessa libreria nel 2001, dal titolo Cinque secoli di libri, tipografi, editori, librai a Padova dal Quattrocento al Novecento?
Il tema proposto dall’Amedei, libraio in Padova, fu accolto con entusiasmo da noi tutti. Ne nacque una simpatica collaborazione che diede il suo risultato costruttivo creando un tassello nella storia libraria padovana.
Grazie per questo tempo che mi ha gentilmente dedicato, e per quest’ultimo tassello che rende più prezioso il nostro colloquio. Colloquio davvero illuminante sulla vitalità culturale della Libreria Draghi così cara al nostro vissuto ed indimenticabile per i momenti da lei evocati.