Violenza sessuale e recidiva: il dibattito sulla “castrazione chimica”
Una soluzione invocata da alcuni, ma spesso equivocata e non praticabile con le attuali norme
I delitti di violenza sessuale hanno una comune problematica: la recidiva. La recidiva è una circostanza aggravante – con aumento della pena fino a un/terzo – prevista dal Codice penale (art. 99 c.p.). Essa concerne l’ipotesi in cui una persona, dopo essere stata condannata con sentenza definitiva per un reato, commette un nuovo reato. È applicata dal Giudice soltanto qualora lo ritenga opportuno, ovvero in via facoltativa.
L’impulso sessuale – sostanzialmente per ragioni naturali – ricade nell’ipotesi della recidiva.
Per contrastare questa tendenza, il nostro ordinamento ha previsto due principali rimedi.
Il primo è l’aumento di pena obbligatorio per la recidiva afferente i casi di reati sessuali e tale aumento non può essere inferiore a un/terzo.
Il secondo è previsto dalla legge sull’Ordinamento penitenziario (Legge354/1975), ove all’art. 4-bis, comma 1-quater, è statuito che i benefici in sede di esecuzione della pena (affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà) sono concessi solo sulla base dei risultati conseguenti all’osservazione scientifica sulla personalità del reo che devono durare per almeno un anno.
Altresì, il comma 1-quinquies, prevede che, se il reato è stato commesso in danno di una persona minorenne, i benefici sono concessi soltanto dopo la partecipazione del reo a un programma di riabilitazione.
Ultimamente, sulla scorta dei recenti accadimenti di cronaca, si è riacceso il dibattito sulla castrazione chimica.
Prima di iniziare ad approfondire il tema, è necessario chiarire cosa s’intende per castrazione chimica. È un trattamento medico farmacologico assunto ogni tre mesi (per iniezioni o compresse) che riduce il testosterone con antiandrogeni od ormoni. C’è dunque una riduzione del desiderio sessuale e una limitata capacità di avere erezioni. Trattasi di farmaci già usati per la cura di alcuni tumori o per il cambio di sesso. Il farmaco ha effetto dopo circa sei mesi dalla sua prima assunzione, mentre l’organismo sessuale riprende la sua piena funzionalità dopo circa sei mesi dall’interruzione.
Nulla a che vedere, perciò, con quello che noi intendiamo comunemente con il termine “castrazione”.
Viene proposta proprio per contrastare l’alto rischio di recidiva connesso ai reati sessuali.
In Italia la castrazione chimica non è prevista, nemmeno per i reati sessuali più gravi come la pedofilia e lo stupro. Tuttavia, nulla vieta che possa essere adottata dal reo su base volontaria, come condotta riparativa conseguente il reato, ma non si registrano casi in cui ciò sia avvenuto.
La castrazione chimica è stata però adottata (anche da molti anni) in vari paesi democratici del mondo, quali, a mero titolo esemplificativo, diversi Stati degli Usa (in alcuni è obbligatoria, in altri è necessaria per ottenere la libertà vigilata), Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Svezia, Israele, Russia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Polonia.
Quanti contrastano questa misura portano varie argomentazioni: l’abbassamento della libido ridurrebbe la recidiva, ma non la escluderebbe; è necessario anche un supporto psicologico; sussistono problematiche inerenti ai diritti umani in quanto, intervenendo sul corpo, potrebbe affacciarsi la fattispecie di tortura o trattamento degradante; rilevano effetti collaterali, come la perdita di massa muscolare, l’osteoporosi, l’abbassamento di fertilità, problemi cardiovascolari.
L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel 2013 si è dichiarata contraria.
Il 20 aprile 2025 alcuni Senatori della Lega hanno depositato una proposta legislativa che è volta a superare questi scogli e che prevede la castrazione chimica esclusivamente su base volontaria, necessariamente accompagnata da un percorso psicologico e comunque valutata caso per caso dal Giudice.
La proposta di legge, inoltre, abbandona l’equivoco termine “castrazione”, sostituendolo con il più consono “trattamento farmacologico di blocco androgenico totale a carico dei condannati per delitti di violenza sessuale”.