Storia di merletti e di corredi
C’era una volta una famiglia numerosa, con tre figlie femmine, che viveva nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, tra varie difficoltà ma con grande desiderio di rinascita. Le ragazze, in particolare, respiravano l’atmosfera della giovinezza pensando, tra le pagine dei libri, anche a trovarsi un moroso e a formarsi, un giorno, un loro nido di affetti. E così, quale prima operazione, i genitori d’accordo volevano eliminare qualsiasi sortilegio, come quello degli oleandri, che potesse allontanare dalla dimora, secondo antiche dicerie, i pretendenti. Con crudeltà, verso il mondo vegetale, strappavano e facevano falò di turgide piante fiorite a vivaci colori. Sono dicerie, certo, quelle degli untori, ma era un modo per tenere il terreno attorno alla casa libero, aperto all’ingresso di eventuali ammiratori. La mamma intanto provvedeva un po’ alla volta, visti i tempi economicamente ardui del periodo postbellico, ai corredi. Raccoglieva in una sua cassapanca stoffe per lenzuola, tovaglie, asciugamani acquistati in liquidazioni, o altre offerte speciali, alla Casa del tessuto di Colombo, sempre con parsimonia, per costruire il patrimonio domestico per le figlie. Le zie poi, e le amiche più care, contribuivano ad arricchirlo con regali di Natale o compleanni, doni sempre mirati: era proprio un’impresa di famiglia. Cosa impossibile da realizzarsi, in un solo momento, nella vicinanza di un’eventuale nozze! Le lenzuola e le tovaglie subivano un ulteriore processo: venivano ricamate da mani esperte e così rese gentili nel loro tessuto alla moda, cotone o misto lino. Anche la mamma ne era protagonista e, nelle ore libere dall’insegnamento, le ricamava soprattutto a punto pieno o ad altre tecniche da lei inventate.
Pure noi sorelle, studentesse all’Università di Padova, ci impegnavamo in ripetizioni e altro per l’acquisto di qualcosa di particolare, come può essere una tovaglia di bisso con inserti di pizzo. Ed è il mio caso. Tanto grande era il desiderio di possederla, per me così preziosa, che mi sono informata da gente della campagna veneta dedita al ricamo. Ottenuti alcuni indirizzi nella zona di Saonara, mi sono recata in una vecchia casa di campagna per incontrare un’esperta in materia. Rivedo questa antica dimora con il portico, l’aia davanti e la immensa cucina. Entrandovi, un grande stupore nel vedere tante donne chine sul tombolo a realizzare con il fusello merletti come a Burano, con armonia di movimenti e intenti. Mi sembrava un quadro di Giovanni Fattori, una scena teatrale fissata così senza tempo. Visione che mi ha proprio incantata, riflesso di comportamenti di allora, quando la donna si portava il lavoro a casa: non era concepito che si impegnasse in attività extra moenia, se non eventualmente al lavoro dei campi. Il fatto però rivelava una società che “conviveva in forme di lavoro sempre più informali, prive di contratto, in nero, un’economia che talvolta viene definita ‘dei lavoretti’ per la saltuarietà e flessibilità”. Una concezione sociale che dura a lungo e che dovrà subire diversi interventi per riconoscere il lavoro femminile, anche se svolto tra le pareti domestiche. Ma lasciando ad altri queste diatribe, ritorno volentieri alle artiste riunite nella grande cucina e acquisto con entusiasmo inserti di pizzo, ora incastonati nella mia tovaglia di bisso. Espressioni artistiche di un raffinato artigianato, di una cultura, viva a Venezia ancora dal 1400: ora onorano questa mia tovaglia che ho usato nei battesimi, nelle comunioni dei miei nipoti, nelle solennità della famiglia e così la vita, in qualche modo, si fa arte.
Bisogna definire i merletti dei manufatti di bellezza. Tanto apprezzati quelli di Burano, ma anche di altri luoghi fin dall’antichità: perfino nelle tombe etrusche sembra si siano trovati resti di fuselli, indice che questo tipo di lavoro era eseguito e apprezzato da epoche remote. E così, nella Venezia dogale, quest’arte era diffusa dai commercianti locali, tanto che i merletti erano conosciuti ed amati dalle “famiglie bene” europee di allora. Arrivavano quindi molte ordinazioni: specchio della situazione di Venezia che con le sue isole dedite all’arte, Burano e Murano, dominava nel mondo del Bello divulgato ovunque.
Come tutto, anche il merletto conosce i suoi momenti di crisi, che rende difficile la vita di Burano. Quest’arte però viene rivitalizzata grazie all’intelligenza di un gruppo di donne nobili, anche europee (come la principessa di Sassonia, la regina Margherita e la contessa Bismarck) che, dopo la seconda metà dell’800, l’hanno ripotenziata. Hanno cioè ripreso da un’anziana ricamatrice i segreti dell’arte diffondendoli, grazie alla sua presenza, tra le giovani buranelle, creando una vera e propria scuola di ricamo. Quindi un’arte che è anche stile di vita e memoria storica, dimostrazione di sacrificio ed inventiva.
La tradizione del ricamo non finiva qui, in quanto lo si realizzava anche all’uncinetto. La mia nonna Pina era esperta in copriletti a stelle, poi unite pazientemente a mano, segno affettuoso e ricordo per i matrimoni delle nipoti. Uno, il mio, brilla ancora con il suo candore sul mio letto, opera di una pazienza certosina che solo una nonna per amore può avere.
Va sottolineato che la famosa tovaglia era di tela di bisso, tessuto raro e ormai introvabile. La sua origine infatti risale al mondo segreto marino: una sorta di seta naturale ottenuta dai filamenti secreti da una specie di molluschi bivalvi marini (pinna nobilis), endemica del Mediterraneo e volgarmente nota come nacchera o penna, la cui lavorazione è stata sviluppata esclusivamente nell’area mediterranea, in particolare in Sardegna e Puglia. Da questa, grazie ai passaggi operati da artigiani qualificati, si ricavavano tessuti eccezionali, già usati nell’antichità per vesti di personaggi indicanti uno status symbol o per piccoli oggetti di particolare valore, come risulta dai reperti archeologici rinvenuti in varie parti d’Europa suscitando grande interesse negli studiosi dell’industria tessile: se ne ha testimonianza sin dall’antichità. Raccolto e lavorato da noi fino alla metà del ’900, è oggi quasi inesistente a seguito di un insieme di leggi, anche europee, a protezione e tutela di questa specie, in via di estinzione a causa di una pesca non controllata. Ora, per tessuti molto leggeri tipo la mia tovaglia, si usano cotone o lino adatti al ricamo. Così, mi piace pensare che la fibra della mia preziosa tovaglia sia proprio ideata dal mare, lavorata dall’uomo con un’antica tradizione, in sintonia con gli intarsi a fusello della mitica isola di Burano. Questo legame me la rende ancora più cara. Affascinante storia che dà al rito dei corredi una dimensione inattesa, con sapore d’antico lavoro umano nel mondo dell’arte e della bellezza.
Ecco l’atmosfera nelle case, con presenza di figlie, palpitava attorno a questo affascinante, coinvolgente corredo, che dal nulla veniva realizzato con la costanza e l’entusiasmo di chi aveva attraversato la guerra e viveva anche in questo la rinascita.


