Trilussa ci spiega l’origine della guerra
Una ninna nanna in dialetto romano per denunciare la follia
“Ninna nanna della guerra” è una canzone scritta dal famoso poeta romano Trilussa nell’ottobre del 1914, all’inizio della prima guerra mondiale. E’ una poesia cantabile scritta in dialetto, diventata famosa e diffusa soprattutto nelle linee dei pacifisti e dei socialisti di Torino. Viene citata anche da Antonio Gramsci e pubblicizzata da Palmiro Togliatti che ne fa la storia e ne illustra la diffusione a partire dal 1917.
Non la riportiamo integralmente anche per riferimenti a personaggi del tempo di cui oggi si è perduta la memoria. Cosa scrive Trilussa? Quali sono le origini e le motivazioni che spingono gli uomini a uccidersi fra di loro? Il poeta invita il bambino a dormire: “Ninna nanna, pija sonno / ché se dormi nun vedrai / tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno / fra le spade e li fucili de li popoli civili”. Il primo concetto è che la guerra è causa dei più atroci delitti e delle infamie di questa terra “Ninna nanna, tu nun senti / li sospiri e li lamenti / de la gente che se scanna / per un matto che commanna; / che se scanna e che s’ammazza / a vantaggio de la razza / o a vantaggio d’una fede / per un Dio che nun se vede, / ma che serve da riparo / ar Sovrano macellaro”. La seconda strofe dichiara la follia della guerra che manda al massacro poveri soldati che ubbidiscono agli ordini di un comandante o di un dittatore o di un “sovrano macellaio”, che pensa solo a fare i suoi interessi per la propria ambizione.
La guerra per Trilussa trova sempre la sua motivazione in ragioni di interesse economico: “Fa la ninna, cocco bello, / finché dura sto macello: / fa la ninna, ché domani / rivedremo li sovrani / che se scambieno la stima / boni amichi come prima”. I sovrani non provano il minimo pentimento per i soldati che mandano al macello, tanto sono ciechi nei loro sogni di gloria e di potenza. “E riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso, / ce faranno un ber discorso / su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!». I potenti si spartiscono il bottino, si arricchiscono e chi paga è il solito Pantalone, che fa rima con “coijone”.
