Ricordando Carlotta Guareschi, figlia del grande scrittore, nel decennale della sua scomparsa

Anche la terza pagina del “Corrierino delle famiglie” si è infine staccata e, leggera come una piuma, ha raggiunto in Paradiso le altre due. Il mese prossimo saranno dieci anni che Carlotta Guareschi, figlia del grande scrittore, è serenamente passata dalla vita alla Vita.

La famosa Pasionaria (impertinente, originale, indimenticabile personaggio del “Corrierino delle famiglie”, appunto) raggiungeva così Giovannino e Margherita (al secolo Ennia Pallini), gli amatissimi genitori protagonisti a loro volta di quelle cronache domestiche, lasciando solo il fratello Albertino, pure amatissimo.

Carlotta era nata il 13 novembre 1943, quando il padre era già nei lager nazisti, internato militare (per avere mantenuto fede al giuramento fatto al “suo Re”) dopo l’8 settembre. Già fra i reticolati di Polonia e di Germania, nelle pagine che scriveva per poi leggere nelle baracche e tenere alto il morale dei commilitoni, appare la “signorina Carlotta”, o “Carlottina”, descritta con accenti gioiosi, delicati, originali. Poi, rientrato dalla prigionia, Guareschi ebbe modo di ispirarsi a lei, ad Alberto e alla moglie per le sue cronache familiari, fra quotidianità e fantasia, fra umorismo e sentimento.

Carlotta, felicemente sposata con tre figli, e poi felicemente nonna più volte, rimase sempre legatissima alla memoria dei genitori e insieme al fratello Alberto aveva promosso iniziative per tenere viva l’opera paterna. La ristampa di libri, il realizzarne di nuovi con pagine mai raccolte in volume quando Giovannino era in vita, la costituzione del Club dei 23 in Roncole Verdi, la partecipazione generosa a incontri, convegni, organizzati in Italia e all’estero, ai quali veniva invitata, hanno scandito la sua vita: in nome e per amore del babbo.

Colpivano in lei, come del resto nel fratello Alberto, la semplicità, la cordialità nei rapporti umani, la serietà nella condotta di vita, l’affetto coltivato e manifestato sia per la famiglia, sia nei confronti degli amici, nonché la fede: una fede profonda, intimamente vissuta, come può testimoniare chi le è stato vicino, per anni, a incominciare dal marito Giovanni Annoni, dai figli Michele (Michelone), Elena, Camilla e naturalmente da Albertino, a suo tempo “vittima” delle battute, se non degli scherzi di quella sorellina senza peli sulla lingua, spavalda e acuta, che al posto di io metteva me, come si legge nei dialoghi del “Corrierino”, ad ogni inizio di dialogo…

Ma una pagina particolarmente delicata, affettuosa, con tocchi di poesia, è quella che Giovannino scrisse nel lager di Beniaminowo nel 1944, pensando a quella bimba nata nella Bassa, lui lontanissimo, fra i reticolati, che immaginava così:

“Io penso al giorno in cui uscirò da casa mia conducendo un Albertino quasi nuovo per la mano e recando in braccio una nuovissima signorina. Ci penso spesso, ma è un giorno distante milleduecento chilometri di mondo in guerra e mi par quasi impossibile arrivarci. E allora mi chiedo: ti vedrò signorina Carlotta? E se non potessi? Non importa, signorina Carlotta. Non importa perché – nonostante il mio vecchio professore di fisica abbia tentato di confondermi le idee – io conosco perfettamente la faccenda delle parole. Le parole nascono ma non muoiono. Non muore niente, a questo mondo. Le parole nascono, e poi essendo più leggere dell’aria, salgono in su e arrivano fino al punto in cui il cielo finisce e comincia l’eternità. E lì ristanno.  Come se si liberassero in una stanza cento palloncini: arrivati al soffitto si fermerebbero. Così le parole nel cielo. Lassù ci sono tutte le parole del mondo: dal grido minaccioso di Caino, all’ultimo discorso di Farinacci, dalla cantilena dello straccivendolo, al canto dell’innamorato. Verba volant. Le parole volano, non si volatizzano. Questo è importante, signorina Carlotta: perché, se il buon Dio mi metterà le alucce sulle spalle prima che io ti veda, andrò a sedermi sulla stella che sta proprio sopra la tua casa e, mano a mano che saliranno al cielo le tue paroline corte corte come semibiscrome, io le coglierò al volo e le rinchiuderò tutte dentro un sacchetto di seta. E, ogni tanto, ne trarrò fuori un pizzico e le scuoterò come un mazzetto di campanellini e mi divertirò a sentirle tintinnare.Così: do, re, mi, fa, sol, la, sì…”.

Ma ci fu anche una canzone per Carlotta scritta dal padre, e messa in musica dall’amico e compagno di sventura, pure lui internato militare italiano, Arturo Coppola. Una dolce musica, musica dell’anima, della fede, e poi nelle parole sulla Signorina Carlotta che si leggono nel postumo “Ritorno alla base”; musica gioiosa e di speranza, nel grigiore del lager nazista, anno 1944, nelle note di Coppola. Le ricordano i vecchi lettori di Guareschi, parole e musica, e noi con loro.

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