Il futuro dell’Europa e il disincanto degli elettori
Un voto europeo di eccezionale rilievo, ma il pericolo concreto è l’astensione. Sembra del tutto perduto il desiderio di partecipazione di un tempo
L’imminente voto europeo di inizio giugno è, se guardiamo al contesto in cui si svolge, un appuntamento di eccezionale rilievo per il futuro del continente e quindi anche nostro, tra guerre in corso, modificazioni strategiche della geopolitica, crisi delle democrazie occidentali, rischio del prevalere di regimi autocratici sullo scenario mondiale. Eppure stiamo assistendo ad una campagna elettorale piuttosto fiacca, in cui sembrano mancare parole capaci di affascinare l’opinione pubblica e comunque sembra che i leader dei partiti guardino prevalentemente nel cortile di casa, con la volontà di usare i risultati elettorali delle europee ai fini degli equilibri interni.
Il rischio è evidente: che non muovendo passioni, parlando solo alle proprie tifoserie, vi sia purtroppo una larga astensione dal voto. Già alle politiche del 2022 solo il 63,69% degli elettori avevano deposto la scheda dell’urna, all’ultimo turno delle elezioni regionali, pur in un contesto competitivo ancora più bassa è stata l’affluenza, il 52,19 in Abruzzo e il 49,81 in Basilicata. Il rischio è che quella percentuale scenda ancora.
Tra qualche giorno festeggeremo il 2 giugno, il settantottesimo anniversario della Repubblica. In quel giorno del 1946 gli italiani e le italiane furono chiamati a decidere del proprio futuro: scegliere la forma istituzionale tra monarchia e repubblica, eleggere un’Assemblea Costituente per un pieno ritorno alla vita democratica, darsi nuove regole di convivenza civile e politica, perché non ritornassero le dittature.
Era un paese che portava ancora evidenti le ferite fisiche e morali della guerra. L’Italia che va al voto è una società intrisa insieme di sofferenze e di speranze. La comunicazione affidata a pochi mezzi: c’è la radio, ci sono quotidiani che devono accontentarsi di poche pagine per il perdurante razionamento della carta. Eppure quel giorno uscirono di casa per deporre la propria scheda nelle urne 24 milioni 946 mila 878 cittadine e cittadini. L’89,08% degli aventi diritto. Sentivano il dovere di decidere del proprio futuro. Molti, quelli nati dopo il 1904, non avevano mai potuto votare liberamente. Ed era la prima volta per le donne.
È un paragone impietoso, quello tra questa voglia di partecipazioni degli italiani di allora e la stanchezza della vita democratica che si registra oggi. Possiamo andare ancora indietro nel tempo ricordando la figura di Sebastiano Schiavon e il periodo a cui si richiama il nostro Popolo Veneto. Allora quotidiano di battaglia politica dei cattolici.
Sebastiano Schiavon dopo un lungo apprendistato fatto di battaglie sociali a favore dei lavoratori ed in particolare dei contadini nel 1913 si candida nel collegio di Cittadella-Camposampiero per essere eletto alla Camera dei Deputati. La nuova legge elettorale del 1912 aveva ampliato il diritto di voto, prima limitato per censo. L’elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione. Il corpo elettorale passò da 3.300.000 a 8.443.205, di cui 2.500.000 analfabeti, pari al 23,2% della popolazione. Ci fu anche allora la proposta di estendere il voto alle donne, ma la Camera la respinse con 209 contrari, 48 a favore e 6 astenuti!
Forte di questo allargamento del diritto di voto ai ceti popolari la candidatura ha successo e Schiavon risulta essere il più giovane deputato di quella legislatura. Schiavon si presenta agli elettori non con qualche facile slogan ma con un articolato documento, un opuscolo di 16 pagine che diffonde tra gli elettori. Oggi lo chiameremmo un patto elettorale. Schiavon ricorda che ha vissuto lunghi anni di lavoro in mezzo al popolo e la fiducia che chiede può essere ben fondata: “La lunga e benefica attività religioso – sociale che abbiamo insieme esplicata in nome della giustizia e della carità cristiana, senza nascondere mai il nostro pensiero e le nostre aspirazioni per il raggiungimento della vera pace sociale, i continui cordiali rapporti intercorsi tra voi e chi avete voluto da parecchio tempo designare quale candidato, mentre hanno dato modo a tutti di conoscerci anche nella intimità della vita religiosa, intellettuale e materiale, mi potrebbero dispensare da rivolgervi oggi quella parola che tante volte in tempi recenti e lontani avete da me sentita. Mi limiterò perciò a raggiungere in brevi tratti quello che già conoscete, colla assicurazione da parte mia che se per il libero suffragio avrò l’onore di rappresentarvi nell’alto consesso terrò fede alla parola data e regolerò tutta la mia modesta ma sincera opera al vero bene religioso e materiale del Collegio”. Gran parte del documento elettorale è dedicato ai problemi sociali, in particolare alle condizioni degli operai e dei contadini, alla necessità di sostenere quelle iniziative come il credito cooperativo, le cooperative di produzione e consumo che possono sviluppare la piccola proprietà contadina e il benessere della popolazione.
Un altro mondo naturalmente, però dobbiamo riflettere su questi aspetti. La lontananza ormai della metà degli elettori dal dovere costituzionale del voto è dovuto a tanti aspetti. Uno non minore è la troppo frequente lontananza tra eletti ed elettori, pur in una società così ricca di strumenti di informazione. La difficoltà dell’elettore nel conoscere i propri candidati e giudicarli sulla base dei concreti comportamenti. Lo spirito di Sebastiano Schiavon servirebbe anche oggi…