Cent’anni dall’assassinio di Giacomo Matteotti

Nel 1924 il fascismo assassinò il deputato dissidente. Ad un secolo di distanza, la sorte di Aleksej Naval’nyj in Russia dimostra che i metodi dei dittatori non sono cambiati

100 anni fa, il 10 giugno del 1924, Giacomo Matteotti, parlamentare socialista rodigino, viene rapito a Roma e assassinato da cinque sgherri del capo del governo Benito Mussolini. Il cadavere viene rinvenuto mal sepolto e decomposto due mesi dopo, il 16 agosto.

Quale la imperdonabile colpa di Matteotti, per la dittatura fascista? Il suo coraggio, la sua dirittura morale, la sua determinazione nel rappresentare gli interessi del popolo, forte di un lavoro senza sosta nelle terre del suo polesine, di uno studio approfondito dei documenti governativi, grande organizzatore e grande oratore, capace di suscitare consenso, partecipazione, mobilitazione.

Ed è un discorso parlamentare a decretarne la decisione dell’assassinio, uno dei 106 discorsi parlamentari tenuti in Aula, a conferma della dedizione al lavoro parlamentare.

È il discorso del 30 maggio del 1924. L’argomento potrebbe essere di routine, riguarda la convalida di un certo numero di eletti. Matteotti coglie l’occasione. Continuamente interrotto, minacciato e insultato dai fascisti ricostruisce un insieme di fatti che dimostrano che il Parlamento non è stato eletto con libere elezioni ma attraverso soprusi, violenze, brogli elettorali. È questo che il fascismo non può accettare, la dimostrazione puntuale della illegittimità del mandato elettorale. Matteotti elenca tutte le intimidazioni: minacce sul lavoro e sulla incolumità fisica per chi si candida, impossibilità di tenere i comizi, sottrazione delle schede elettorali utilizzate per esprimere voti falsi, assenza di rappresentanti di lista ai seggi per poter controllare la regolarità del voto, distruzione delle firme raccolte per la presentazione dei candidati, distruzione del materiale di propaganda con minaccia alle tipografie disponibili alla stampa.

Matteotti concluse quel memorabile discorso con queste parole: “Voi dichiarate ogni giorno di voler ristabilire l’autorità dello Stato. Fatelo se siete ancora in tempo, altrimenti voi sì rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione”. Gli insulti e le minacce che comparivano sulla stampa fascista (“volgare mistificatore”, “spregevolissimo ruffiano”, “notissimo vigliacco” fino alle esplicite minacce di Farinacci, che interrompe Matteotti con “faremo sul serio quello che non abbiamo fatto”) non bastano più per ridurre al silenzio il coraggioso oppositore. Matteotti ne è consapevole. Dice ai vicini di banco: “E adesso preparate il mio discorso funebre”. Per ridurlo al silenzio occorre assassinarlo. Mussolini, dopo mesi di ipocrite prese di distanza, dovette alla fine assumere la responsabilità morale dell’omicidio, con un impudente discorso alla Camera: “Se il fascismo è stata una associazione a delinquere io sono il capo di questa associazione a delinquere”. Perfino il grande Benedetto Croce gli confermò, nonostante tutto, la fiducia: tuttavia, nel maggio del 1925, fu l’estensore di un manifesto degli intellettuali antifascisti.

100 anni dopo, il 16 febbraio 2024, viene assassinato il dissidente Aleksej Naval’nyj, per volere del despota russo Vladimir Putin. Poco importa se in seguito alle durissime privazioni, alla esposizione al gelo, se avvelenato come tanti altri oppositori. La storia ritorna. I dittatori non accettano il dissenso. La rivolta delle coscienze morali è il più grande pericolo per loro.

Ci sono tanti elementi comuni. Naval’nyj denuncia le irregolarità delle elezioni, gli arricchimenti illeciti della nomenclatura putiniana (Matteotti stava preparando un discorso documentato sulle malversazioni dei capi fascisti); la moglie Velia a lungo scongiura Mussolini di dirle la verità e avere restituite le spoglie, come la madre e la moglie di Naval’nyj, e centinaia di corone e di mazzi di fiori vengono posti sotto la casa di Matteotti a Roma, nonostante la repressione poliziesca, mentre una folla di contadini e operai ne accoglie le spoglie mortali a Fratta Polesine (la moglie volle, infatti, che fosse sepolto nella terra per cui tanto si era speso). Sono le immagini che abbiamo visto per i funerali di Naval’nyj, con migliaia di moscoviti in piazza per onorarne la memoria, nonostante arresti e repressioni.

Il destino di Giacomo Matteotti si incrocia con quello di un altro polesano, Aldo Finzi, uno degli aviatori che accompagnarono D’Annunzio nel volo su Vienna del 1918. Aderente fin da subito al nascente fascismo, è sottosegretario agli interni al tempo del delitto Matteotti. Per tentare di allontanare le responsabilità da Mussolini, viene costretto a dimettersi. Minaccia di pubblicare un memoriale, è riammesso nelle file del fascismo, tuttavia ne diventa fortemente critico: non condivide l’alleanza con i tedeschi e le leggi razziali. La sua parabola si conclude tragicamente: prende contatto con gli ambienti della Resistenza, viene arrestato dalla Gestapo ed è uno dei 335 civili e militari trucidati alle Fosse Ardeatine.

Singolare coincidenza: le dittature si basano anche sul sangue degli oppositori. Non dimentichiamolo mai.

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