Rocca Pietore, il “diario” di un sindaco

Il racconto di 15 anni di esperienza amministrativa

Sono sempre stato un tipo curioso, sin da bambino. Attratto da tutto ciò che mi circondava.

Aver avuto la fortuna di nascere in un luogo stupendo, dove i ritmi di vita, negli anni ’60 e ’70, erano ancora spesso molto simili a quelli dell’antico passato, dove le mucche venivano condotte negli alpeggi in estate, dove gli anziani lavoravano ancora con ritmi ancestrali, a tratti spaccandosi la schiena ma anche poi con lunghi mesi di quasi assoluto riposo, riuscendo a stare seduti, per ore, su panchine improvvisate, poste sotto le aie dei vecchi fienili, dove i ragazzini avevano come parco giochi intere distese di prati e di boschi per poter scorrazzare liberi e felici, inconsapevoli di un mondo “meno pulito” che si stava sempre più prepotentemente facendo strada.

La mia famiglia, da decenni, gestiva un locale ai piedi della Marmolada, dove io trascorrevo le estati, giocando, il più delle volte solo con la mia fervida fantasia o in compagnia di amici immaginari, con i quali non litigavo mai.

Negli altri periodi dell’anno, frequentando la scuola, rimanevo in paese con la nonna paterna, che mi faceva da seconda mamma, a poca distanza dalla casa dei nonni materni.

La minuscola scuola del villaggio, la spensieratezza, la purezza di noi piccoli veri montanari e poi, gli adulti: chi gestiva attività turistiche, sorte nel frattempo con la costruzione dei primi impianti di risalita, chi faceva il muratore, qualcuno il maestro di sci, altri i lavori più disparati, chi gestiva gelaterie all’estero, con i loro ritorni in paese d’inverno, vissuti come autentiche occasioni di festa.

Questa la cornice della mia infanzia.

Ma erano gli anziani ad incuriosirmi ancor più, ancorati tenacemente al passato e dediti alle mucche che mungevano a mano, in stalle simili a quelle medievali; il latte che appena munto produceva la panna, così ambita da noi bambini, l’odore dell’erba appena tagliata, le spericolate arrampicate su rocce a strapiombo, gli sci da discesa o da fondo che sin da piccolissimi imparavamo ad usare con destrezza e che ci davano una marcia in più nei confronti dei nostri coetanei della pianura, i quali poi, in gara, spesso ci surclassavano nell’utilizzo di questi attrezzi. Una delle prime lezioni di modestia che ho imparato: mai essere troppo sicuri delle proprie capacità!

Sugli sci, comunque, noi rimanevano gli originali. Come i wafers tirolesi. E questo ci inorgogliva.

A scuola avevo buone capacità di apprendimento, ma la mia caratteristica è sempre stata quella di assorbire, con passione e velocemente, solo le nozioni che mi interessavano, circostanza questa che mi ha reso un pessimo studente, molto vivace e poco attento. Condizione che mi ha procurato non pochi problemi, sia alle scuole medie che alle superiori, abbandonate con infamia e con mia grande gioia, prima della maturità, la quale, a dire il vero, non mi è mai mancata e non ho mai rimpianto.

Sono sostanzialmente un esempio vivente di come si possa andare avanti nella vita anche senza un altisonante titolo di studio in tasca, requisito invece quasi sempre richiesto in questa sbandata società moderna, fuori binario e fuori controllo. Questo rimane logicamente un mio personale parere.

Essere spesso controcorrente è un mio difetto. O un pregio. Dipende da che parte si osservi la cosa.

Ho scoperto che potrei scrivere molto sulla mia infanzia e ciò significa che ho ancora buona memoria e che ricordare quegli anni mi piace più di quanto immaginassi. Mi tornano però anche alla mente volti, figure, mestieri, amici che non ci sono più, e questo indubbiamente mi rattrista e mi fa capire che sono un uomo maturo. C’era un anziano, una volta, il quale diceva che quando vai al cimitero a trovare i morti e li conosci più dei vivi, che stanno fortunatamente ancora fuori, significa che sei vecchio.

E io, di quelli che stanno in cimitero, ne conosco, purtroppo, davvero già parecchi…

Ma il motivo per cui mi sono seduto davanti al mio vecchio e lentissimo computer portatile a scrivere, non è per parlare della mia infanzia o della mia vita in generale, bensì quello di fissare i miei ultimi 15 anni, vissuti intensamente nel ruolo di Sindaco di un territorio che amo da sempre.

Questo mio racconto trova ambientazione principale nel territorio del Comune di Rocca Pietore,

posto giusto al centro delle Dolomiti, nell’alta Provincia di Belluno e quindi nella parte più settentrionale della Regione Veneto e confina direttamente anche con il Trentino Alto Adige.

Il territorio è particolarmente ampio, con quasi 75 chilometri quadrati per circa 25 chilometri di lunghezza.

Si passa da una quota appena inferiore ai 900 metri della frazione di Le Pale, nella parte meridionale del Comune, per raggiungere i 3342 metri della Punta Penia, cima della Marmolada e punto più alto del Veneto, con un dislivello territoriale che penso sia un record regionale.

Rocca Pietore conta ben una trentina di frazioni sparse, distanti fra loro anche quasi 20 chilometri, con una rete di strade comunali che sfiora gli 80 chilometri.

Dal momento in cui ho iniziato a raccogliere i ricordi della mia vita da Sindaco sono sgorgati fiumi di parole, spesso confuse, disordinate. Da tantissimo tempo non scrivevo nulla, guarda caso in coincidenza proprio con il periodo amministrativo, e questo dato è sufficientemente rappresentativo dell’impegno profuso nel ruolo, spesso tralasciando le mie attività private.   

In passato mi sono dedicato con passione alla scrittura, convinto che fissare sulla carta storie, aneddoti, idee e opinioni, sia estremamente importante per scongiurarne l’oblio.

Ho ripreso a scrivere certo che un’esperienza di vita così profonda debba essere trasmessa quale diretta testimonianza, utile per comprendere molte sfumature dell’attività amministrativa, spesso denigrata, criticata e il più delle volte disconosciuta.

Gli accadimenti di cui il mio Comune, negli anni, è stato teatro, rappresentano perlopiù una “consueta ordinarietà” per tutti i municipi ma, in qualche caso, al contrario, il territorio è stato protagonista di vicende sicuramente eccezionali.

Gli aneddoti e le storie riportate in queste pagine sono tutti frutto della mia memoria, motivo per cui posso aver dimenticato qualcosa, essermi a tratti leggermente confuso o aver sbagliato qualche data, ma rimangono comunque un omaggio all’affascinante storia di Rocca Pietore e a tutti coloro che con me se ne sono presi cura in questi anni.

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