Ilhan Sami Comak, trent’anni di ingiusta detenzione

Era un ragazzo, è diventato un uomo dentro una cella delle carceri turche. Ora è un affermato poeta, ma la sua vicenda non è ancora chiusa

È entrato in prigione nel 1994, quando era studente di geografia all’Università di Istanbul, è stato torturato per 19 giorni, fino a quando firmò una falsa confessione: colpevole di  aver messo a fuoco la foresta sopra la città nel nome del PKK (Partito dei lavoratori Kurdi, fuorilegge in Turchia). Prima liberato della falsa accusa e poi, nel 2000, ritenuto colpevole di separatismo e condannato all’ergastolo (36 anni): è così che si fanno i processi in Turchia, cambiando le accuse e tenendo sempre aperte le istanze e, quindi, incerti i destini degli accusati. E questo nonostante un pronunciamento della Corte Europea dei diritti umani, che accusava la Turchia di aver violato il diritto di Ilhan Sami Comak ad un processo equo.

Il 22 agosto 2024 era il giorno della fine pena, in vista dell’accesso alla libertà vigilata, e Comak aveva dichiarato di volersi dedicare alla letteratura e alla poesia. Grande attesa anche da parte del PEN International e di tutti quei delegati che negli anni l’hanno sostenuto, hanno fatto conoscere il suo caso e gli hanno consentito di partecipare a concorsi letterari. È ormai un poeta conosciuto anche fuori del suo paese e variamente premiato.

La giuria, che doveva votare la sua libertà vigilata, con l’aggiunta di un nuovo membro ha deciso che il detenuto non aveva mostrato abbastanza rimorso per il crimine di separatismo, tenuto conto delle quattro o cinque volte che aveva fatto rumore indebitamente o proclamato uno slogan politico in trent’anni di carcere. Tutto è rimandato di tre mesi e poi chissà se non troveranno ancora qualche altra vaga accusa o motivo per ritardare la liberazione.

In questo caso il centro PEN Norvegia ha scelto di farsi parte diligente, attivando un gruppo di altri centri per far conoscere questo caso attraverso i media, costruendo una campagna diretta alla popolazione e agli ambasciatori turchi nel mondo, partecipando alle sedute del processo: tutto questo per richiamare l’attenzione sul caso e dimostrare che Comak è osservato e sostenuto. Da tutto il mondo manderemo cartoline a Ilhan per fargli sentire che non è solo, che è parte di una famiglia mondiale: dovremo scrivere in turco altrimenti butteranno le cartoline, perché nel carcere non sanno l’inglese.

Ilhan Sami Comak è entrato in prigione da giovane e è diventato adulto entro spazi ristretti e senza libertà. È ora che diventi padrone della sua vita. Come esprime in una sua poesia:

Portami via da questa palude,

dell’abisso ho visto così tanto,

assorto a fissarlo per lungo tempo, com’ero.

Quel vuoto è solo ripetizione.

È ora che io dica… sono un uccello bagnato dalla pioggia,

è ora di respirare l’odore della terra, riempirmi di quel profumo, crescere ancora.

Conoscimi per il mio amore, non per la mia solitudine.

Comprendimi per quello che desidero, non per quello che ho perso,

per la mia fanciullezza di ieri e non per l’uomo di oggi.

Ti vado cercando.

Da “Freedom” di Ilhan Sami Comak

Tradotto da Chiara Macconi dall’inglese di Caroline Stockford

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