L’ultima lettera di Luigi Pierobon, partigiano cattolico
Un toccante documento a testimonianza di un profondo ideale civile e di vita
Il 17 agosto del 1944 moriva fucilato a Padova il partigiano cattolico Luigi Pierobon, nome di battaglia “Dante”, studente universitario presso la Facoltà di Lettere. Aveva solo ventidue anni. Al momento dell’esecuzione teneva nella mano il rosario di sua madre. Venti minuti prima aveva scritto le sue ultime righe indirizzate alla famiglia su un cartoncino che gli dette il confessore, cartoncino intestato al vescovo di Treviso. Questo il testo, essenziale e toccante: “A mamma e papà nell’ultimo momento un bacio caro, tanto caro. Ho appena fatto la SS Comunione. Muoio tranquillo. Il Signore mi accolga fra i suoi in cielo. È l’unico augurio e più bello che mi faccio. Pregate per me. Saluto tutti i fratelli: Paolo, Giorgio, Fernanda, Giovanni, Alberto, Giuliana, Sandra. Lo zio Giovanni, tutti gli zii e zie. Un bacio a tutti. Il padre qui presente, che mi assiste, vi dirà i miei ultimi desideri. Un bacio caro. Luigi Pierobon”.
Gli ultimi desideri ai quali si allude nel biglietto erano: l’orologio al fratello Alberto, le 5000 lire che aveva in carità ai poveri, la corona del rosario alla mamma, essere sepolto a Cittadella con una semplice croce bianca.
Ragazzo straordinario Luigi Pierobon, nato a Ca’ Onorai, frazione del comune di Cittadella (PD) il 12 aprile 1922, che al Liviano di Padova aveva trovato i suoi maestri. In una lettera indirizzata alla famiglia, datata 8 giugno ’43, scritta quando era sotto la naia a Pisa, ricordava infatti “quanto era bello leggere e sentir leggere poesia da Marchesi e da Valgimigli”. Voleva laurearsi in Antichità romane con la prof. Paola Zancan, alla quale nell’autunno del ’43 confessò la decisione di farsi partigiano. È proprio la prof. Zancan a tracciarne un breve profilo in un ricordo datato Natale 1945: “era mite e gentile quanto era prode e determinato. Aveva un suo intimo e geloso gusto di purità, che non l’abbandonava mai in mezzo alle stesse violenze della guerriglia e fra le disparate compagnie imposte dalla sorte. Velava di veneta gentilezza ogni sua audacia e sapeva combattere senza odiare. Non c’era un disegno politico nella sua mente, ma una infinita devozione alla Patria e all’Italia. Non a caso scelse come suo nome di partigiano il nome di Dante. Il suo aspetto conservava una casta freschezza di fanciullo (…). C’era veramente in lui il riflesso d’una grazia, che non si poteva non percepire”.
Sulla colonna che sostiene il suo busto in bronzo al Liviano si leggono queste parole: “Luigi Pierobon, studente, milite di Cristo, Martire d’Italia”.
Luigi Pierobon di fronte al plotone di esecuzione con fierezza chiese la fucilazione al petto, rifiutandosi di essere bendato e ai compagni di sventura diede l’ultimo incitamento gridando: “Si muore per l’Italia!”.
Tra Recoaro e Valdagno, teatro delle sue azioni partigiane, tutti lo conoscevano come Dante, perché il suo vero nome nessuno lo sapeva, e per tutti era un santo, uno che sapeva che il male si vince con il bene, che è bestemmia chiamare giustizia la rappresaglia, che è delitto reprimere la colpa con la colpa. Per sé e per i suoi uomini aveva fissato come precetto di azione che non si versasse sangue senza una impellente necessità, che non si obbedisse a vendetta, che si evitasse il danno delle popolazioni.
(Nell’immagine in basso: scultura in bronzo di Luigi Pierobon, realizzata da Carlo Mandelli, conservata presso il Palazzo Liviano a Padova)