L’ultimo ricordo al Santo di un vecchio cronista

Un omaggio, nell’ottavo anniversario della sua improvvisa scomparsa, a padre Enzo Poiana, alpino e frate minore conventuale, già rettore della Basilica padovana

Il 13 giugno 2022 finiva il mio rapporto “professionale” con Sant’Antonio di Padova. Sottolineo professionale, cioè di cronista che in un quarantennio, per il Gazzettino, aveva seguito gli eventi di fede, di devozione, di cultura riguardanti il santuario padovano, i frati minori conventuali, le liturgie, i convegni, eccetera.

E ancora, sottolineo professionale, perché il rapporto di devozione personale non era certamente concluso; sarebbe proseguito nel tempo. Se prima era, per così dire, duplice, da quella data diventava “singolo”.

Frate Antonio, come incominciai a definirlo sulla pagina del giornale, per evitare ripetizioni (il Santo, il Taumaturgo, eccetera) che stonano, ce l’ho quotidianamente nel cuore, e a lui, grande intercessore, mi rivolgo nella preghiera, conservando quel fascino che la sua figura e la sua opera suscitarono in me in anni lontani, al punto da farmi indagare, per così dire, i motivi, le ragioni di una devozione diffusa a livello universale, incominciando, proprio in un lontano 13 giugno, sua festa liturgica, una consuetudine che arrivò fino a quel giorno del 2022 di cui ho detto.

Fare la cronaca della grande giornata antoniana con la mia presenza in basilica, nei chiostri e sul piazzale dall’inizio alla fine voleva dire essere sul posto già prima dell’apertura delle porte del tempio per intervistare i primi pellegrini arrivati: da dove, come, perché… E poi, a più riprese, sentire questo e/o quello: le donne eritree emigrate in Italia, avvolte nei bianchi mantelli d’organza, i polacchi, numerosi nonostante la “cortina di ferro”, e sempre più dopo l’elezione al papato di Karol Wojtyla, le decine di migliaia di italiani, provenienti anche a piedi da località (naturalmente) non lontane da Padova, compiendo un cammino penitenziale notturno per essere pronti all’ingresso della basilica e partecipare alla prima messa.

Se questa consuetudine di sveglia prima dell’alba per fare pochi passi dalla mia abitazione padovana, vicina al Santo, ed essere pronto all’incontro coi primi pellegrini, non mi costava nulla, essa divenne problematica quando, sposato, mi trasferii nel paese natale di mia moglie Lucia, Cusignana di Giavera del Montello, in provincia di Treviso. Io non guido l’auto (non l’ho mai guidata, non ho mai conseguito la patente!). E il 13 giugno, giorno feriale, mia moglie era sempre a scuola.

Fino a quando il rettore padre Enzo Poiana, carissimo e indimenticabile amico, fu in vita, mi ospitava la notte precedente o nella Casa del Pellegrino, o in convento, o, ancora (e fu l’ultima volta in quell’angosciante 2016 in cui lo colse improvvisamente la morte), in uno dei minialloggi di proprietà del Santo.

Ma poi? Non volevo certamente interrompere una consuetudine di vecchio cronista che deve arrivare sul posto prima degli altri… della concorrenza. Dunque, sveglia alle ore 3, e partenza in auto con mia moglie che mi lasciava davanti alla basilica per ripartire immediatamente ed essere puntualissima alle riunioni scolastiche del plesso di Volpago del Montello dove insegnava Religione.

Nel tardo pomeriggio, eccola di nuovo a Padova, magari con la nipotina Flaminia, per la processione, quindi, concluso il mio lavoro in redazione, ce ne tornavamo a casa.

Se non che… Con il passare del tempo, le mie condizioni di salute non mi permettevano più certe fatiche (chiamasi decadenza senile, almeno nel mio caso!), per cui fu deciso con il capo servizio della redazione del Gazzettino che io sarei stato sempre all’alba al Santo, occupandomi delle presenze e delle liturgie della mattinata, con il pontificale del vescovo di Padova alle 11 e nel pomeriggio sarebbe stato impegnato un altro collega.

Questo, fino al 13 giugno 2022, dunque. Quell’alba fu particolarmente coinvolgente, per quello che dirò, ma mi pesò moltissimo. Dopo la prima messa, già alle 7 ero stanco, sfinito, non mi reggevo. I dolori articolari dei quali soffro dal 2011, uniti ad uno stato di prostrazione, mi fecero accasciare su una panca nel Chiostro della Magnolia. Riuscii dopo un po’ a raggiungere la caffetteria del convento dove i frati fanno colazione e grazie a padre Giancarlo Zamengo potei riacquistare un po’ di tono sorbendo una tazza di caffè.

Alle 12,45 Lucia era in piazzale Pontecorvo e mi riportò a casa, dove scrissi il servizio, l’ultimo. Avevo realizzato, coscientemente, che era giunto il tempo di deporre penna e bloc-notes, e lo feci.

Da quel 13 giungo 2022, al Santo torno di quando in quando per le mie devozioni e se non vado il giorno della festa liturgica, comunque in quella settimana una visita la compio.

Per tornare poi al ricordo “finale” cui ho accennato, uno fra i tanti, ma particolarmente toccante (ne riferirò qualche altro), eccolo.

Contrariamente al passato, con molti pellegrini in attesa davanti al portone della basilica, in quel buio fenduto soltanto dalle luci degli alti lampioni della piazza e delle lampadine dei banchi di vendita delle “coronare” in allestimento, mi si presentarono soltanto due persone. Antonietta, 88 anni, da Milazzo (Messina) costretta su una carrozzina, accompagnata dal figlio Giuseppe, operaio quarantottenne, era arrivata in treno la sera precedente e dopo la cena in un locale attiguo alla piazza, erano stati lì, tutta la notte, a vegliare, a pregare per la guarigione… Erano un po’ assonnati, in attesa dell’apertura delle porte della basilica, ma parlammo: di fede, del “Santo dei miracoli”, e che sarebbero ripartiti sempre in treno, dopo la prima mesa. Erano da poco passate le 4… Quelle due figure, madre e figlio, che avevano compiuto un lungo e non certo comodo viaggio, ferme sul piazzale in attesa, sono rimaste indelebili, quasi scolpite materialmente, nella mia memoria… L’ultimo ricordo della mia presenza “professionale” al Santo: quel 13 giugno, appunto.

Se devo infine citare qualche altro ricordo legato alla grande festa antoniana, ecco, le omelie concise e profonde di due delegati pontifici, Giovanni Tonucci e Fabio Dal Cin, e una di un Presule che dopo aver citato Sant’Antonio all’inizio, procedette per un quarto d’ora senza mai (sic!) nominare Dio, Gesù Cristo, il bene delle anime!…

Naturalmente, ci sono altre figure, altri momenti, legati a quell’ambiente, alla realtà antoniana di Padova che mi sono rimasti impressi nella mente e nel cuore: il mitico sacrista fra’ Luciano Forese, uomo di poche parole, di senso organizzativo non comune, di profonda pietà, al quale feci visita nei giorni dell’agonia nell’ospedale di Montebelluna testimoniandogli affetto e stima; fra’ Claudio Gottardello, “storico” allestitore dell’artistico presepe; l’imponente guardia pontificia Giovanni Turato, che aveva prestato servizio nella nunziatura di Parigi ai tempi di Angelo Giuseppe Roncalli; padre Pio Capponi, musicista dall’inconfondibile accento romanesco; il quasi centenario padre Giuseppe Ungaro apostolo della carità; nonché, ovviamente, l’amatissimo rettore, frate e alpino Enzo Poiana, appunto, fulminato da infarto la mattina del 16 agosto 2016 sulla spiaggia della casa estiva dei frati in quel di Bibione. Resta, col suo amabile e aperto sorriso, con un carattere forte, con una sincerità vivissima, con un amore di Dio e del prossimo, insomma, un esempio straordinario di fede adamantina e di retto agire, quel retto agire che a volte latita negli ambienti clericali, dove si predica bene e si razzola… male!!!

È stata, la sua, una delle presenze più significative nella mia ormai lunga vita, legata al Santo e all’ambiente degli Alpini, oltre che alla “mia” terra di Romagna (con annessi e connessi, per così dire, dal prete scrittore Francesco Fuschini a Marino Moretti, a Walter Della Monica, alla “signora Lalla”, a Palino Mazzucca, ai cari sacerdoti Giuseppe Brasini, Giovanni Buzzoni, Giovanni Zanella, al preside Vincieri, nonché agli ultimi innamorati della mia città: Franco Gabici e Alfredo Cottignoli), alla Bassa guareschiana con Alberto e Carlotta, al “mio direttore” Giuseppe Longo, al monastero benedettino di Praglia, alla Fraternità San Pio X, a Giuseppe Prezzolini, al mondo della Voce e degli scrittori cattolici fiorentini.

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