Il riuso dei luoghi dello spirito: alcuni esempi a Padova

Una riflessione urbanistica che è anche proposta culturale

Seconda e ultima parte (la precedente è stata pubblicata a novembre)

Anche se non tantissime, le situazioni a Padova di chiese ed edifici di culto, di proprietà sia pubblica che religiosa, in procinto di cambiare destinazione d’uso, non sono mancati negli ultimi decenni e non mancano. Basti ricordare qui la Chiesa di Sant’Agnese in via Dante (antico cardo romano della città), anticamente “Parrocchia di S.Agnese”, aggregata successivamente alla Parrocchia di S.Nicolo’, successivamente alla seconda guerra mondiale sconsacrata, e successivamente sede di una carrozzeria/meccanico, recentemente acquisita da una Fondazione culturale e trasformata in un luogo di esposizione artistica: si tratta di un edificio che aveva intrapreso un percorso di grave degrado, ma che grazie al mecenatismo artistico e culturale, ha ritrovato un proprio significato – seppure laico – nel tessuto urbanistico e culturale cittadino.

Vi sono altre chiese che attualmente rientrano nel patrimonio pubblico: la chiesa del Castello Carrarese, ex sede del carcere circondariale di Padova, anch’essa sconsacrata e rientrata nel patrimonio del Comune di Padova in seguito al trasferimento del complesso del Castello Carrarese alla città, che nel progetto di ristrutturazione del Castello rivestirà il ruolo di auditorium-sala convegni per le attività museali e culturali insediate nel complesso.

Chiesa del Collegio Antonianum di Padova

Vi è un’altra chiesa, di proprietà dell’Amministrazione Comunale di Padova, che fa parte del complesso Collegio Antonianum, trasferita al Comune a titolo di pagamento degli oneri di ristrutturazione e cambio destinazione d’uso, attualmente chiusa: si tratta della chiesa del Collegio, che rappresenta una eredità indimenticabile per generazioni intere di veneti e padovani, studenti presso l’Università di Padova. La chiesa potrebbe essere adibita a funzioni di natura sociale e culturale, ed è in fase di predisposizione un apposito progetto per un nuovo impiego che rispetti l’originaria destinazione al servizio della comunità studentesca collegata al Collegio Antonianum dei Padri Gesuiti, una presenza nella società padovana che risale al XV secolo. È auspicabile che presto il progetto possa vedere la luce, per potere restituire una importante testimonianza della storia universitaria e religiosa padovana ad una destinazione utile agli studenti e alla città.

Gli esempi raccolti in questo articolo rappresentano solo una minima parte del patrimonio storico di edifici religiosi della città di Padova e della Diocesi. E’ anzi, auspicabile che venga promosso e realizzato un censimento della enorme quantità di edifici e strutture, monasteri, chiese, cappelle oggi abbandonate o non adeguatamente mantenute o aperte al pubblico. L’auspicio piu’ sincero è che, in seguito al dibattito aperto da questo intervento, professionalità e soggetti ben piu’ importanti possano apportare un contributo determinante alla costruzione di questo elenco di chiese, cappelle e monasteri, e che per tutte queste strutture, che hanno svolto un ruolo centralissimo nel tessuto sociale cittadino, possa esservi un futuro ruolo – anche diverso – che mantenga il potere di referenza, spiritualità e legame con la città.

Si pensi, ad esempio, alla chiesa dei Servi in via Roma, restituita al ruolo religioso dopo cent’anni di servitù militare, alla chiesa di San Gaetano, collegata al Centro Culturale, un tempo tribunale della città.

Nel corso del 2021-2022, una antica istituzione musicale padovana, la Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto, fondata nel 1966, ha commissionato allo Studio dell’Architetto Ivan Iobstraibizer, la realizzazione di una approfondita analisi su alcune strutture pubbliche abbandonate che potevano servire da “casa dell’Orchestra” in attesa che l’Amministrazione Comunale decidesse il da farsi per la ristrutturazione e l’ampliamento dell’Auditorium cittadino. Come è noto, l’aula magna del Conservatorio Cesare Pollini, conosciuta anche come Auditorium Pollini, è relativamente moderna (risale infatti alla fine degli anni ’70), ma richiede una approfondita ristrutturazione. La città da tempo attende un Auditorium, sollecitato per molti anni dal M.o Claudio Scimone, fondatore dei Solisti Veneti e dell’Orchestra da Camera di Padova (successivamente diventata Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto). Vari sindaci succedutisi hanno dato vita a progetti anche ambiziosi, tra cui l’auditorium di Piazza Rabin, il grande auditorium progettato da Kada su Piazzale Boschetti, il Centro Congressi in Fiera, destinato anche alla funzione di Auditorium poi abbandonata in fase d’appalto per i costi, e il progetto dell’Auditorium all’interno dell’Esattoria di Palazzo Foscarini di Banca Intesa, presso Piazza Eremitani. Tutti questi progetti sono tramontati a causa di costi elevati e delle difficoltà collegate alla loro realizzazione. Nell’ultimo anno, grazie ad un impegno assunto dal Sindaco di Padova Sergio Giordani e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è stato approntato ed è al via un progetto razionale centrato sullo sdoppiamento delle strutture, attraverso l’acquisto del Teatro Multisala Pio X di proprietà della Curia padovana, selezionato con un bando pubblico, e la sua ristrutturazione e trasformazione in un Auditorium da 600 posti, idoneo ad ospitare concerti soprattutto per la sua funzione teatrale, che comprende un palcoscenico da 150-180 mq. con boccascena di 12 metri. Conseguentemente all’acquisto e alla ristrutturazione del Teatro MPX, l’Amministrazione comunale ha comunicato che procederà alla ristrutturazione completa dell’Auditorium Pollini (palcoscenico, camerini, spogliatoi massa artistica, ascensore, bagni, foyer, sala), in modo da ottenere entro il 2028 la disponibilità di due auditorium idonei ad ospitare l’offerta musicale padovana, che, grazie all’internazionalità del Conservatorio e alla sua dimensione, e alla forza del movimento musicale padovano, potrà proseguire il proprio “discorso culturale” in una dimensione finalmente regionale e nazionale, anche ospitando altre orchestre.

Il lavoro svolto dall’architetto Iobstraibizer, condotto con la collaborazione delle strutture amministrative dell’Orchestra di Padova e del Veneto, ha condotto alla realizzazione di un importante volume, dove vengono esaminate nel dettaglio alcune antiche strutture abbandonate, potenzialmente in grado di dare casa alla sala prove dell’Orchestra di Padova e del Veneto, che è una Istituzione Concertistico Orchestrale (orchestra stabile) riconosciuta dal Ministero della Cultura e occupa il quarto posto tra le 12 I.C.O. presenti in Italia.
Su commissione dell’Orchestra, il gruppo di lavoro ha preso in esame le seguenti strutture:

  • Il Cinema Excelsior in Vicolo Santa Margherita, di proprietà della Parrocchia di San Francesco;
  • L’Oratorio di Santa Maria delle Grazie, in Via Alberto Cavalletto (Prato della Valle) a Padova, chiesa originariamente di proprietà della Pia Opera Orfanotrofi Riuniti di Via Configliachi, successivamente passato alla SPES, una Pia Opera di Assistenza e Beneficenza (organismo di diritto pubblico) di Padova.
  • la chiesa e le strutture esterne del Castello di Padova, per decenni carcere circondariale di Padova, oggi proprietà del Comune di Padova e in fase di ristrutturazione come polo culturale e museale.
  • L’area del Parco Prandina, con l’ipotesi di realizzare, nella fase di ristrutturazione e riorganizzazione della vecchia caserma, un “Auditorium nel Parco”, esperienza comune a molte città europee.

Tutti i contributi qui elencati sono raccolti e commentati in modo ragionato nel volume “Contrappunti per la Città”, consultabile online ed edito dall’Associazione “Specola delle Idee” nel 2022 da Ethosjob. Tale rilevantissimo contributo al “parco progettuale” della città merita uno spazio significativo nell’opinione pubblica padovana, e una approfondita valutazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche, in quanto indaga con progetti concreti, fattibili ed economicamente convenienti, le modalità per rivalutare e utilizzare parti importanti della città, che – come strutture religiose e pertinenze – hanno rappresentato importanti funzioni urbane e punti di riferimento sociali nel passato.

Proprio in questo volume trova spazio un progetto per il riutilizzo di una chiesa dismessa, l’Oratorio di Santa Maria delle Grazie in via Alberto Cavalletto – angolo via Configliachi, nelle immediate vicinanze del Prato della Valle. Tale struttura, sottoposta a vincolo architettonico ai sensi della Legge 01 giugno 1939, n. 1089 con Declaratoria del 11/07/1966), era originariamente proprietà dei Padri Domenicani presenti a Padova. Passata poi agli Orfanotrofi Riuniti, veniva trasferita alla Pia Opera di Assistenza e Beneficenza SPES di Padova in esito ad un intervento speculativo residenziale realizzato sull’area negli anni ’70. Alla fine degli anni ’90 del secolo precedente il tetto veniva ristrutturato, perchè in pericolo di crollo, con un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Tuttavia, dopo un periodo di impiego da parte del Teatro Popolare di Ricerca (TPR) – Centro Universitario Teatrale (CUT), la chiesa veniva chiusa e rimaneva inutilizzata, impiegata solo come magazzino di restauro.

Prospetti del progetto di ristrutturazione dell’Oratorio Santa Maria delle Grazie a Padova – Via Cavalletto, Padova, 2022 – OPV Orchestra-arch. Iobstraibizer

La struttura, la cui completa ristrutturazione in una sala prove per 60 musicisti e 40 spettatori, utilizzabile anche come luogo di incontro collettivo per il quartiere Consulta 4A, comprendente i quartieri Città Giardino – S. Osvaldo – S. Rita – Madonna Pellegrina e per la Consulta 1 – Centro Storico, è stata completamente definita con la Soprintendenza alle Belle Arti del Veneto e con il Comune di Padova, necessità esclusivamente del finanziamento dell’intervento, che ammonta a non oltre 400.000 euro. Oggi è inutilizzata, abbandonata ormai da oltre vent’anni, ma sconsacrata da oltre 40, conserva un insieme di altari (cinque), un organo dell’800, e una struttura architettonica che risale al ‘700. Il progetto proposto dall’Orchestra di Padova e del Veneto mantiene la destinazione urbanistica dell’immobile prevista dal Piano della città: “area di interesse generale” in virtù dell’art. 71 comma 1 del decreto legislativo n. 117/17.

Piante della ristrutturazione dell’Oratorio Santa Maria delle Grazie a Padova, Via Cavalletto, 2022 – OPV Orchestra – arch. Iobstraibizer

Questo progetto di intervento rappresenta il modello di riferimento per ogni progetto di ristrutturazione di edifici di natura religiosa che si propongano la finalità di mutare la destinazione d’uso in strutture di interesse sociale e culturale non speculativo, mantenendo la funzione di riferimento e centralità nella comunità e nel tessuto sociale, esattamente come auspicano le già citate Linee Guida per la dismissione e il riuso ecclesiale delle Chiese e degli edifici religiosi, predisposte e approvate dal Pontificio Consiglio della Cultura.

Progetto del matroneo dell’Oratorio di Santa Maria delle Grazie a Padova, OPV 2022

Almeno altre due chiese padovane, care al sistema musicale, presentano caratteristiche analoghe all’Oratorio di Santa Maria delle Grazie, e meriterebbero particolare attenzione, e sono la Chiesa di Santa Caterina, un edificio religioso di origine medievale che si affaccia sulla strada di Santa Caterina, ora Via Cesare Battisti a Padova. Fu parrocchiale e chiesa delle Monache Agostiniane, poi dipendente dalla Parrocchia di Santa Sofia, ed è ora rettoria indipendente. Nella chiesa furono battezzati i figli di Galileo Galilei. Al suo interno riposano le spoglie del celebre compositore e violinista Giuseppe Tartini e dell’abate Giuseppe Olivi, naturalista chioggiotto.

Alla chiesa di Tartini si aggiunge, poi, la chiesa di San Luca Evangelista in via XX settembre a Padova, dove fu battezzato nel 1655 l’inventore del pianoforte Bartolomeo Cristofori. La chiesa, di proprietà privata, è a croce greca (unico esempio attuale a Padova) con due cappelle laterali costruite nel 1834 ai lati del presbiterio. Nel 1174, nel luogo dove si trovava un antica chiesa dedicata ai Dodici Apostoli e demolita qualche tempo prima per far spazio alle mura cittadine, il Beato Crescenzio de’ Camposampiero fece costruire una nuova cappella, a ridosso delle mura, utilizzando, per il suo arredo interno quanto di bello e prezioso si poté recuperare dalla demolita chiesa. La chiesa è attualmente chiusa, ma potrebbe essere validamente utilizzata, anche come destinazione turistica, per la memoria di Bartolomeo Cristofori.

Provvisorie conclusioni

Questo excursus su alcune interessanti chiese e pertinenze religiose padovane ha come obbiettivo quello di aprire un dibattito concettuale sulle modalità con cui progettare, pensare e decidere la destinazione di risorse pubbliche e private (disponibili anche attraverso progetti di mecenatismo o crowdfunding) rivolte al reimpiego di queste strutture, abbandonate, inutilizzate o sottoutilizzate per motivazioni diverse, ma sempre a scapito della centralità e della vita comunitaria cittadina. Si cercano spazi nuovi, spesso con conseguenze e risultati insoddisfacenti per l’inaccessibilità e la marginalità delle aree e dei fabbricati disponibili, mentre con uno sforzo collettivo sarebbe possibile dare vita a progetti di recupero che porterebbero grande valore ai fabbricati circostanti e all’intera struttura sociale cittadina, mettendo a disposizione spazi utilizzabili per attività di relazione, culturali, spirituali e – come abbiamo visto – in qualche caso il ritorno alla funzione religiosa e spirituale originaria, in forma rinnovata e vitale.

[Intervento di Ivan Iobstraibizer] 

Il recupero del patrimonio edilizio sacro così inteso, impone a noi tutti di riconoscere l’importanza dell’architettura della città per far fronte alle attuali tendenze semplicistiche, che parlano di qualità dell’architettura in termini abusati di ecologia, di sicurezza, di prestazioni energetiche, di benessere affidato alle soluzioni impiantistiche, di pubblico solo
perché partecipato il processo che la illustra. Direzioni che invece, potrebbero essere solide e certe se intraprese per un cammino più articolato e complesso. Tale confusione annulla la realtà dell’architettura e della sua possibile modificazione, a causa del continuo sovrascrivere dovuto al vuoto lasciato dall’incapacità di aggiornare un’impostazione metodologica e programmata.
Nel nostro agire quotidiano è tempo di pensare l’architettura “sacra” riportandola alla vita e alle relazioni ricordando che l’uomo non è un uomo di un paese o di una città ma è l’uomo di un luogo preciso, definito. E che non vi è trasformazione urbana che non significhi anche trasformazione della vita dei suoi abitanti e dei suoi amministratori. La prospettiva gnostica di de-territorializzare i corpi insita nell’ideologia dominante tecnico-scientifica, può essere corretta dalla tradizione di “saper fare comunità” dell’edilizia sacra che ha formato e caratterizzato i tessuti urbani delle nostre città nel tempo e nello spazio. Un tempo “liturgico”, discontinuo, costantemente “deciso”, un tempo ri-tagliato, non indifferente e
omogeneo. Uno spazio capace di meravigliosa polifunzionalità del monastero, molto più avanti delle cose che facciamo oggi; esso era ospedale, albergo, luogo di culto, stazione, posta, mercato, scuola, università, tutt’insieme.
Tali sono i vantaggi, che offrono gli edifici “religiosi”, in un vero progetto di riqualificazione delle città contro la tendenza mercantilistica di clinicizzare tutto: la clinica per le opere d’arte, quella per gli studenti, l’altra per i malati, per i patiti d’opera che vanno a teatro.
Tutto è rigido, e proprio in un territorio in cui non c’è più alcun luogo! Al bisogno di dare valenze simboliche alla città, il politico amministratore risponde con auditori, ospedali, studentati, restauri privati di edifici pubblici, secondo consuetudine! E soffrendo il già costruito, “le permanenze”, che occupa spazio per le strade, i suoi parcheggi e i suoi nuovi contenitori. Dentro i quali non esiste più persona né comunità tra persone. Al più vi risiederanno “comitati” di interesse, a difesa di interessi assolutamente privati! Un luogo assume valore simbolico, all’opposto, quando esiste tra le persone un ethos comune, o,
per quanto debole, una forma di religio civilis.
Non saper cogliere l’opportunità concreta del patrimonio del costruito “sacro”, induce a conseguenze irreversibili: il primo rischio è convogliare le ingenti risorse messe a disposizione (fondi privati, regionali, europei diretti e indiretti, PNRR…), nel vortice di un bulimico neo colonialismo che indisturbato, traccia le strade dei dogmatismi delle forme a priori dissociate da ogni relazione. Esalta un’estetica fondata su rinnovati punti di vista del gusto, della scomposizione speculativa di parti di città con voluto inganno, ricorrendo a colorati addobbi e improponibili foreste o peggio, a scipiti quanto innovativi slogan che tanto colpiscono l’immaginario dell’incolta provincia: smart city, green city, next city, soft city,
city life, intelligence city…
Il secondo rischio è la sistematica privatizzazione della città per comparti con l’inevitabile negazione del principio in atto che invece, ha lo scopo di includere, di riportare le persone a abitare la città anche perseguendo i criteri di sussistenza, solidarietà e accoglienza che tanto hanno caratterizzato Padova nell’anno del Volontariato! La città è pure un luogo simbolico capace di rappresentare ideali civili con i loro doveri morali; senza ideali civili non vi è discorso politico e neppure architettura della città nel senso più nobile e più politico di questo termine.
Diseguaglianze spaziali e ingiustizie sociali sono i temi del racconto urbanistico che segnerà il futuro “rigenerativo” delle città, da sempre immaginate come lo spazio delle integrazioni sociali e culturali per eccellenza. Porre asetticamente fede alla mera politica della “rigenerazione urbana” senza la critica consapevolezza che come tutte le politiche, richiede un’ideologia e una retorica, significa non attrezzarsi per far fronte alle contraddizioni dell’omologante ideologia del mercato e dell’opprimente retorica della sicurezza. Constatazione che suggerisce agli attori interessati, di considerare la città come una fondamentale risorsa non fosse altro per la grande quantità di capitale umano che vi si trova, distribuito su un largo spettro di competenze, e a proporre di conseguenza, un grande piano di attrezzature pubbliche, di recupero dei quartieri più degradati, di innovativi incentivi per “riabitare la città”.
Il recupero del patrimonio edilizio sacro ci invita all’adozione di politiche che non si affidino a opere grandi, spettacolari e omologanti, ma intervengano in modo diffuso per tutelare il luogo e garantire porosità, permeabilità ed accessibilità alla natura e alle persone: a tutti indistintamente! Potrà essere utile inoltre, ribadire quanto dall’architettura sia possibile giungere a una rinnovata visione globale della città, consapevoli che l’architettura della città è la forma della sua individualità strettamente connessa alla memoria. Unica vera forza in grado di rinnovare il senso di appartenenza di una comunità al luogo che abita.
Permanenze e modificazione impongono di ritornare a progettare inseguendo quel necessario frammento di utopia della realtà capace di trasformare in una direzione praticabile per la collettività il quotidiano diversamente organizzato. È del presente che ci dobbiamo occupare, è l’oggi che va rivelato e cambiato attraverso l’immaginazione concreta, non intesa come via di fuga (creatività) o sublime inutilità ma come quell’utopia che ha pressappoco lo stesso significato di possibilità (Robert Musil) necessaria.
Chi, invece, si limita ostinatamente a parlare del futuro malleabile e tecnologicamente controllabile promettendo articolate infrastrutture, grandi opere, sicuro e incondizionato benessere, città pulite e green-sorridenti, apre in noi il sospetto che in questo discorso ideologia, retorica e virtuosismo si avvicinino pericolosamente per costruire insieme una falsa coscienza celatamente conservatrice, reazionaria e speculativa. 

[Conclusione articolo]

È auspicabile che l’Amministrazione Comunale, la Diocesi di Padova, i vari enti proprietari di tali strutture, tra cui l’Agenzia del Demanio, il Demanio militare, le congregazioni religiose, riflettessero sulla possibilità di rivalutare tali strutture, recuperando magari, attraverso l’attribuzione di una funzione di carattere sociale, fabbricati che tendono a deperire e crollare, e rappresentano veri e propri “buchi” urbani, spesso preda di attenzioni da parte di attività degradate, quando non criminali. Infine, il processo in atto di transizione energetica, unitamente agli obbiettivi di conservazione artistica supportati dal Ministero della Cultura attraverso la Soprintendenza, prescrivono per questi fabbricati e queste opere interventi di ristrutturazione, isolamento, miglioramento energetico che risultano indispensabili per una loro fruizione moderna ed economicamente sostenibile.

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