Quando non si poteva essere cattolici e comunisti: il “Decretum” di Pio XII

Il delicato e poetico ricordo della figura di un padre che non rinunciò ai propri ideali, sapendo di trovarsi nel giusto, e della sofferenza che ne seguì

Buso, ricordi antichi. La casa degli antichi. Entrando dalla strada nella corte non la notavi, la casa, le passavi a fianco e pareva solo un muro. Era un altro il fascino che ti prendeva subito, la barchessa imponente, gli archi del porticato, i giochi della luce, le grandi finestre al piano alto: sembrava nobile, fatta di sempre.

Ai suoi piedi le aie, la battitura del grano, la festa, i ritmi, l’allegria, la pula dappertutto nell’aria e nel respiro, la gioia d’essere lì.

Poi nella quiete il lungo viale dei pioppi, che amo ancora in ogni pioppo che incontro, e da un rametto di pioppo una raganella, il piccolo cuore pulsante nella mia mano.

E nella mia mano il solletico delle froge curiose del cavallo, mentre le labbra prendevano lo zuccherino che offrivo. E il cavallo tra le stanghe leggere del calesse, dove mio padre stava, grande, e mi guardava.

Una breve scalinata in pietra, il portone che si apre adagio, è pesante, poi un salone grande, spoglio, in penombra; in fondo un portone uguale si apre su un piccolo giardino.

Sulla parete di sinistra non la vedi subito, è una cappella minuscola, qualche fiore, un altarino minimo, un grande quadro di Santa Teresa d’Avila. È lì da un paio di secoli, a testimonianza di un’antica pietas carmelitana di cui nulla sapevo un tempo, ma che per altre vie ha avuto grande voce nello svolgersi della mia vita.

Ancora i secoli nella pietra delle scale, i gradini consumati nel mezzo dal lungo salire e scendere di tanti passi.

In cima un salone uguale, ma luminoso, e vestito con sobria bellezza. Era la mia gioia delle sere d’estate, quando dalle finestre spalancate irrompeva felice il volo sorprendente, bizzarro e imprevedibile, morbido muto e improvviso, il volo adolescente dei pipistrelli neri.

Fuori, la vita scorreva con dinamiche inquiete, la guerra era finita ma covava nelle incertezze nuove, si accendevano i colori delle fedi, a Roma la fede rossa faceva paura.

Il primo luglio del 1949 veniva pubblicato un esplosivo Decretum del Sant’Uffizio, destinato a sconvolgere le certezze e le innocenze di milioni di fedeli e di pensatori laici.

DECRETUM

È stato chiesto a questa Suprema Sacra Congregazione:

1 – se sia lecito iscriversi al partito comunista o sostenerlo;

2 – se sia lecito stampare, divulgare o leggere libri, riviste, giornali o volantini che appoggino la dottrina o l’opera dei comunisti, o scrivere per essi;

3 – se possano essere ammessi ai Sacramenti i cristiani che consapevolmente e liberamente hanno compiuto quanto scritto nei numeri 1 e 2;

4 – se i cristiani che professano la dottrina materialista e anticristiana, soprattutto coloro che la difendono e la propagano, incorrano ipso facto nella scomunica riservata alla Sede Apostolica, in quanto apostati della fede cattolica.

Gli Eminentissimi e Reverendissimi Padri preposti alla tutela della fede e della morale, avuto il voto dei Consultori, nella riunione plenaria del 28 giugno 1949 risposero decretando:

1 – negativo: infatti il comunismo è materialista e anticristiano; i capi comunisti, sebbene a volte sostengano a parole di non essere contrari alla Religione, di fatto sia nella dottrina sia nelle azioni si dimostrano ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo;

2 – negativo: è proibito dal diritto stesso (cfr. canone 1399 n.1) del codice di Diritto Canonico);

3 – negativo: secondo i normali principi di negare i Sacramenti a coloro che non siano ben disposti;

4 – Affermativo.

Il giorno 30 dello stesso mese ed anno il Papa Pio XII, nella consueta udienza all’Assessore del Sant’Uffizio, ha approvato la decisione dei Padri e ha ordinato di promulgarla nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.

Per maggiore chiarezza i manifestini affissi nelle parrocchie specificavano che comunisti e collaboratori erano scomunicati e apostati.

Io avevo 11 anni, non potevo avere allora la misura del terremoto che seguì l’uscita, totalmente impreparata e improvvida, del decreto di scomunica (terremoto che indusse il Sant’Uffizio, poco più di un mese dopo – 11 agosto 1949 – alla dichiarazione che il matrimonio non era da considerarsi fra i Sacramenti che non potevano essere somministrati). Ho vissuto un evento epocale come una ferita privata, una piaga mia, perché quello che sapevo del comunismo era mio padre, il bene che faceva, il rispetto che tutti gli tributavano e che lui non negava a nessuno, il mio papà era gli occhi con cui mi ha detto “Se sei cristiana, siilo fino in fondo”.

E anche se quel “fondo” spinge ovviamente a ricerche più vaste di una semplice adesione alla Chiesa, pure io la volevo per me quell’adesione; ma non potevo non vedere che quella Chiesa, che non era interessata a capire i suoi figli, che negava ai suoi figli la libertà di pensiero a cui il Padre ci ha creati, quella non poteva essere la mia Chiesa.

Ho sofferto l’ingiustizia che si caricava sulle spalle degli innocenti, (“materialisti e anticristiani” i contadini tutti iscritti al partito, che davano i loro risparmi alla Madonna pellegrina?), ho amato la serenità di mio padre nel dire che il Vangelo e il comunismo sono parenti stretti. Non avevo ancora conseguenze personali dirette di quei divieti: li ho pagati qualche anno più tardi.

1958, mi sposo fra poco. Il pensiero che mio padre sarà presente è una gioia grande, desiderata, vasta. Ma mi arriva una sua lettera. Vorrebbe, ma non ci sarà, la scomunica non gli permette di entrare in chiesa. La sua coscienza sa d’essere innocente dei “delitti” di cui è accusato, perché l’accusa di comunismo lo onora, e il sospetto d’essere materialista e nemico di Dio non lo può neppure sfiorare. Non si riconosce come figlio di quella Chiesa di Roma, e la scomunica potrebbe essergli indifferente: ma io mi inchino alla dignità con cui si sottopone a una sanzione ingiusta per rispetto verso l’istituzione che l’ha emessa, avallando così il suo diritto di emetterla. Questa rinuncia, senza appello, è una ferita che porteremo insieme. Va bene così.

A settant’anni dal Decretum, nel 2019 vengono desecretati i documenti che lo riguardano. Capisco qualcosa di più sul perché di quella fretta di uscire senza preparare il terreno, senza far parte del problema neppure i sacerdoti che dovevano risolverlo sul campo: non era solo paura, era panico. Sta scritto, fra le tante cose, che era stata valutata come realistica la possibilità che i comunisti italiani prendessero le armi contro il Vaticano, e in caso di successo facessero dello Stato Vaticano una enclave comunista nel cuore dell’Italia.

Si può sbagliare. E si può assolvere.

E la Storia, che ha tempi più lunghi e più pazienza di noi, ha preso errori ed ingiustizie e ne ha fatto luce per il futuro; il vento caldo di Papa Giovanni ha sciolto l’algida maternità della Madre Chiesa di un tempo e, pur con i limiti e i rischi legati alla natura umana, ha liberato per noi un sentiero verso le braccia aperte di Dio.

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