24 marzo 1944: Aldo Finzi e l’eccidio delle Fosse Ardeatine

Fascista della prima ora, dopo il 1938 manifestò la propria contrarietà alle leggi razziali e all’entrata in guerra. Fu arrestato mentre collaborava con le forze partigiane e pagò con la sua vita la presa di distanza dal regime

Il 26 aprile 1921, alla Commissione elettorale di Padova per le elezioni politiche, si presentano tra gli altri Aldo Finzi di Badia Polesine per la lista Unione nazionale e Giacomo Matteotti di Rovigo per quella di Falce e Martello. Si saranno incontrati? Forse allora erano anche amici, essendo entrambi polesani. Ma una volta eletti in Parlamento le loro vite si divideranno. Il 2024 è l’anno anniversario della loro morte, per ambedue tragica. Paolo Giaretta ha raccontato del centenario di Matteotti. Io invece, per l’ottantesimo anniversario del massacro delle Fosse Ardeatine, scriverò di Finzi.

Il 23 marzo 1944, un gruppo di partigiani colloca una bomba ad alto potenziale in un carrettino per la spazzatura urbana e lo fa esplodere al passaggio dell’11a Compagnia del 3° battaglione del Polizeiregiment Bozen. Rimangono uccisi 33 soldati tedeschi. Immediatamente scatta la feroce rappresaglia: devono essere uccisi 10 italiani per ogni soldato morto. Il comando tedesco raccoglie il numero dei condannati a morte anche tra i prigionieri di via Tasso e di Regina Coeli. E proprio in via Tasso è rinchiuso Finzi, in quanto arrestato nel febbraio del 1944 a Palestrina, dove risiede, per collaborazione con le bande partigiane della zona di Velletri. Il 24 marzo è nella lista di Kappler tra i detenuti a disposizione dell’Aussen-Kommando. Alle 5.30 del mattino di quel giorno d’inizio primavera, Finzi e gli altri 334 sventurati vengono caricati su camion militari e portati in via Ardeatina, per essere uccisi con un colpo di pistola alla nuca.

Questa la tragica contabilità delle vittime, tutte di sesso maschile e tra i 15 e i 74 anni di età, come indicato nel volume Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine di Avagliano e Palmieri: 153 a disposizione dell’Aussen-Kommando, 23 a disposizione del Tribunale militare tedesco in attesa di giudizio, 3 già condannati a morte in attesa di esecuzione, 16 condannati a pene detentive, 76 ebrei, 40 fermati per motivi politici, 10 fermati per motivi di Pubblica Sicurezza, 10 arrestati nei pressi di via Rasella il 23 marzo, 3 non identificati.

Veneto di Legnago, di religione ebraica, Finzi risiede a Badia Polesine, dove suo padre è proprietario di un’industria molitoria. Di carattere ribelle, giovanissimo si dedica al giornalismo sportivo, successivamente è attratto dal motociclismo e infine consegue anche il brevetto di pilota di aerei. Appena ventiduenne, nel 1913, intraprende l’attività politica e viene eletto nel Consiglio comunale di Badia. Scoppiata la Grande Guerra si arruola volontario e, promosso tenente per meriti di guerra, entra a far parte della squadriglia “La Serenissima”, con la quale effettua nell’agosto del 1918 il celebre volo su Vienna partendo dal campo di aviazione di San Pelagio. Comanda la squadriglia di dodici aerei Gabriele D’Annunzio, di cui diventerà amico. Viene insignito di una medaglia d’argento, due di bronzo e due croci di guerra.

Nel 1919 si laurea in giurisprudenza all’università di Ferrara e si trasferisce a Milano, dove aderisce ai primi Fasci di combattimento e conosce Benito Mussolini, che comincia ad apprezzarlo. Legato al “Gruppo Oberdan”, è tra i più duri oppositori del patto di pacificazione tra fascisti e socialisti. Nel 1921 viene eletto alla Camera dei deputati nella lista Unione Nazionale, come accennato all’inizio, per il collegio Padova-Rovigo. Il suo esordio parlamentare è macchiato da un grave atto di violenza: con altri eletti del suo gruppo, trascina fuori da Montecitorio un deputato comunista e nell’agosto del 1922 con Cesare Rossi, alla testa delle squadre fasciste, occupa a Milano il Palazzo Marino, sede municipale.

È tra gli organizzatori della marcia su Roma, incaricato di prendere contatti con i direttori dei principali quotidiani milanesi allo scopo di indurli a sostenere l’iniziativa. A fine ottobre 1922, Finzi si trova nella sede di ll Popolo d’Italia con Mussolini, allorché questi viene informato che il re è intenzionato ad offrire ai fascisti quattro ministeri in un governo presieduto da Antonio Salandra. Di fronte agli indugi di Mussolini, Finzi cerca di convincerlo che non esisteva altra soluzione se non la richiesta dell’incarico di presidente del Consiglio. Il giorno successivo Finzi accompagna Mussolini a Roma, per ricevere tale incarico dalre Vittorio Emanuele III. Un impegno e una devozione verso il capo che gli valgono la nomina a sottosegretario all’Interno.

Finzi è all’apice politico. Le cariche si accumulano. Non è solo membro del Gran Consiglio del Fascismo, ma anche commissario per l’Aeronautica e presidente del Coni. Un’ascesa personale e politica che si interrompe però bruscamente quando gli squadristi Albino Volpi, Amerigo Dumini, Augusto Malacria, Giuseppe Viola e Amleto Poveromo rapiscono e uccidono il deputato socialista Giacomo Matteotti. Il paese ha un moto di ribellione. Mussolini è a un passo dal baratro. Ha bisogno di sacrificare qualcuno, innocente o colpevole che sia. La scelta ricade su alcuni dei suoi più stretti collaboratori come Cesare Rossi e, soprattutto, il sottosegretario Aldo Finzi, che deve dimettersi da ogni incarico. Finzi esterna la sua estraneità alla vicenda Matteotti, ma viene posto ai margini della vita pubblica. Si dedica allora all’agricoltura e alla coltivazione del tabacco nella zona delle sue proprietà di Palestrina. Nel 1928 non viene ricandidato alla Camera, ma la rottura con il regime non è immediata. Questa comincia a manifestarsi dieci anni dopo: Finzi è contrario alle leggi razziali del 1938, lui stesso era nato ebreo prima di convertirsi al cattolicesimo durante gli anni Venti, sposando una Clementi. Così come sarà contrario all’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista. È il punto di rottura definitivo.

Per alcune sue dichiarazioni pacifiste Finzi viene inviato al confino in luoghi sperduti come l’isola di Ustica, in seguito alle isole Tremiti e a Larciano, in Toscana, finché nel novembre 1942 è infine espulso dal Partito Nazionale Fascista. Dopo l’8 settembre 1943 appoggia le formazioni partigiane, trasmettendo informazioni sui movimenti delle truppe tedesche, il cui comando si insedia nella sua villa di Palestrina. Un’attività clandestina rischiosa che verrà scoperta. Via Tasso è l’ultima tappa di un lungo viaggio che ha condotto Aldo Finzi, ottant’anni fa, da Legnago alle Fosse Ardeatine: un destino tragico che contiene, tuttavia, il suo riscatto umano di fronte alla Storia.

Per approfondire la vicenda di Aldo Finzi si possono consultare i volumi Aldo Finzi. Il fascista ucciso alle Fosse Ardeatine di Domizia Carafoli e Gustavo Bocchini Padiglione (Mursia Editore, Milano, 2004) e Le ali spezzate. Aldo Finzi tra politica e passione di Francesco Tardivello (Edizioni Antilia, Treviso, 2005).

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