Il ritorno di un Internato Militare dal campo di concentramento di Wietzendorf
La vicenda di Gino Daniele, uno dei 600.000 IMI italiani
Il sorteggio [si allude ai tempi di rientro in Italia, dopo la liberazione dall’internamento] non deve essere stato favorevole per Gino. Infatti solo il 3 settembre 1945, a mezzo ferrovia, arriverà a Pescantina. Dal paese veronese in corriera, finalmente, raggiunge Padova. Ha fine così il lungo viaggio iniziato 33 mesi prima.
Si può immaginare con quale ansia lui desideri abbracciare l’amata moglie Lia, con la quale ha condiviso tutto attraverso centinaia di lettere, e soprattutto Marisa, lasciata a nove mesi e che ora troverà già una signorinella di tre anni e mezzo.
Ma la burocrazia ha il sopravvento. Infatti prima di riabbracciare i familiari dovrà recarsi al Distretto militare di Padova per denunciare il suo rientro dalla prigionia. Qui gli concedono una licenza di rimpatrio di 60 giorni e gli corrispondono, ai sensi della bozza stampa del Ministero della Guerra “Norme finanziarie e contabili per la liquidazione delle competenze spettanti ai prigionieri di guerra del Regio Esercito”, un assegno di lire 17.006. Inoltre gli viene ordinato di preparare una relazione dell’attività svolta per il periodo dall’8 settembre 1943 al 3 settembre 1945, che Gino consegnerà al Distretto il 9 dello stesso mese, relazione che qui riportiamo:
“Il sottoscritto Tenente Daniele Gino faceva parte alla data dell’8 settembre 1943 del 479° Battaglione Costiero (Dip. 58° Reggimento Fanteria) dislocato in Grecia (Attica meridionale) quale comandante di plotone della 4^ Compagnia che occupava il caposaldo costiero di Skala-Oropos. Comandante di Compagnia era il Capitano Francesco Bosio, mentre il Battaglione era comandato dal Ten.Col. Rino Landi e dipendeva tatticamente dal comando Attica Meridionale, comandato dal generale Moretto.Con l’annuncio telefonico della proclamazione dell’armistizio, il sottoscritto riceveva l’ordine di recarsi a caposaldo e di portarsi col plotone a Bogati dov’era il Comando di Compagnia e quindi a Kolargos, dove s’era trasferito il Battaglione. RaggiunseKolargos alle ore 15 del giorno 11 settembre. In tale giorno giungeva pure l’ordine categorico di versare le armi alle autorità militari tedesche, che avrebbero dovuto rilasciare regolare ricevuta e che avevano assicurato sul loro onore il rientro in Patria del Battaglione, come del resto di tutte le altre truppe italiane dislocate nel settore. I tedeschi non svolsero alcuna azione offensiva, presentandosi soltanto verso la sera del giorno 11/9 per il servizio di piantonamento alle armi. La mattina del 12 il Battaglione si recava per via ordinaria ad Atene distante pochi chilometri, dove saliva sulla tradotta che giunse a Muhlberg in data 27 settembre. Da quella data il sottoscritto rimaneva sempre nei campi di concentramento tedeschi di Muhlberg, Beniaminov (Polonia), Sandbostel (XB) e Wietzendorf (Oflag 83). Da quest’ultimo campo veniva inviato obbligatoriamente al lavoro in data 6.2.945 (come risulta dalla copia allegata della dichiarazione del Comando italiano di detto campo) nonostante le decise proteste presentate, in qualità di sterratore nella zona di Ebstorf (Hannover) dove veniva liberato da truppe alleate in data 13.4.945.
Fa presente che durante tutto il periodo della prigionia ha resistito ad ogni forma di esortazione e di minaccia intesa ad ottenere la sua adesione alla SS Tedesche, alla Repubblica Sociale Italiana ed al lavoro, che giunto sul luogo del lavoro, con altri compagni, si rifiutava di lavorare obbligando la polizia criminale tedesca ad intervenire, che ha sempre rifiutato ogni pagamento da parte delle autorità tedesche del campo e di quelle del luogo di lavoro. Il mantenimento della famiglia è stato possibile soltanto grazie al pagamento da parte del Distretto militare di Padova della metà dello stipendio che il sottoscritto godeva sotto le armi.
In fede. Tenente Gino Daniele
Pd, lì 9.9.45″
Una volta spento l’entusiasmo del ritorno, non bisogna dimenticare la difficoltà di inserimento nella vita civile, il senso di smarrimento di fronte alla realtà da affrontare avvertiti da lui, dal cognato Nino, da Guelfi e da altri compagni di sventura. Spesso di trovavano insieme a piangere gli amici morti nei campi di concentramento con un senso quasi di colpa per essere sopravvissuti e, soprattutto, con la sensazione di non essere compresi nel loro sacrificio di IMI, compiuto in nome della fedeltà al giuramento di soldati. Una pagina di storia allora, e per lungo tempo anche successivamente, non considerata, ritenuta anzi un tradimento.
Un’esperienza comunque che ha segnato Gino Daniele per tutta la vita, trascorsa tra luci dei profondi affetti familiari, e della sincera amicizia, e ombre di oscuri ricordi, confortato però dalla sua attività nel mondo scolastico a lui caro e soprattutto dalla presenza, accanto e sempre, di Lia. Una segreta malinconia lo ha però accompagnato per tutto il suo cammino vissuto nell’attenzione, nella premura per chi era in difficoltà, nella fiducia per l’incontro umano, nell’amore per le piccole cose, con la natura fonte unica di felicità, illuminato da una profonda fede e guidato sempre da un’etica stella.