Si fa presto a chiamarla “Bassa Padovana”

Un territorio vasto, complesso e ricco di peculiarità

Si fa presto a dire “Bassa Padovana” ma proviamo ad analizzarla da vicino partendo dai numeri e da alcune considerazioni generali.

Innanzitutto l’estensione territoriale pari a 917,5 kmq, un territorio vasto dal Montagnanese al Conselvano, all’interno del quale risiedono 187469 cittadini suddivisi in 44 comuni (dati ricavati dal documento programmatico dell’IPA Bassa Padovana realizzato da “Novia” e approvato il 5/12/2023). Questi i numeri enunciati in maniera asettica che possono dire tutto o niente, per comprenderli forse sarebbe il caso di paragonarli con altri, magari riferiti alla Provincia di Padova nella sua interezza. Facendo questa operazione si scoprirebbe che la Bassa Padovana rispetto al 2014 ha perso quasi 7mila abitanti, ha un tasso di crescita demografico inferiore rispetto alla media provinciale, ma soprattutto, se i comuni all’interno della Provincia sono un centinaio e, quindi quelli della bassa ne rappresentano numericamente (44) quasi la metà, a livello di popolazione i 187 mila abitanti costituiscono il 20% di tutta la popolazione provinciale. Si può quindi sintetizzare dicendo che la Bassa Padovana ha pochi abitanti e molto divisi rispetto al resto della Provincia. Utilizzo volutamente il metro della Provincia perché i confini provinciali sono i medesimi del collegio elettorale alle regionali e, si sa, in politica i numeri contano.

Tale inferiorità numerica potrebbe essere parzialmente controbilanciata se almeno questi pochi fossero il più possibile coesi e quindi necessariamente in un modello di sviluppo, che non è più basato sullo slogan “piccolo è bello”, diventano quanto mai utili i processi di fusione per creare entità comunali capaci di erogare maggiori servizi ai cittadini e avere un assetto istituzionale adeguato ad affrontare le sfide del futuro. Anche perché i tre esempi realizzati negli anni ovvero Due Carrare, Borgo Veneto e Santa Caterina d’Este (citati in ordine di costituzione) testimoniano la bontà delle operazioni. Vi è poi in questo territorio un ulteriore esempio di “mettere insieme” ovvero il famoso ospedale di Schiavonia nato dalla fusione di quattro precedenti nosocomi. La struttura è sicuramente all’avanguardia e le potenzialità non mancano ma la riduzione dei posti letto iniziali, la carenza di una rete viaria adeguata, almeno per quanto riguarda il montagnanese, e soprattutto la trasformazione in Covid Hospital durante la pandemia, e le modalità e le spiegazioni fornite gridano ancora vendetta visto che su 5 ospedali della Provincia si è sacrificato quello con un territorio più difficile da raggiungere, stanno a significare che non è sufficiente la parola “fusione”, è il “come si fa la fusione” che fa la differenza e nello specifico l’ospedale di Schiavonia invece di essere impoverito bisognerebbe realmente trasformarlo nel fiore all’occhiello della Bassa Padovana.

A questo proposito, vista anche la citata problematicità viaria, diventa fondamentale la realizzazione completa della SR10 al momento interrotta a Carceri. È di fine febbraio infatti la posa della prima pietra per la ripresa dei lavori, la speranza è che non sia troppo tardi per lo sviluppo della zona e che i tempi di realizzazione non seguano le lungaggini del passato.

Sicuramente parlando di Bassa Padovana sono molti i temi che potrebbero emergere ma in questa sede ne vorrei affrontare un altro che sempre più spesso sta coinvolgendo la mia attività di Sindaco, ovvero l’invecchiamento della popolazione con le conseguenti ricadute sociali.

L’indice di vecchiaia, ovvero il numero di anziani presenti in una popolazione ogni cento giovani, nella Bassa Padovana è maggiore rispetto alla media provinciale e a quella regionale e per di più risulta anche in crescita. Una popolazione quindi che invecchia e che necessita di strutture adeguate, il guaio è che al momento abbiamo carenza di posti letto nelle case di riposo e i costi per l’inserimento in tali strutture si aggirano mediamente intorno ai 2000 euro mensili, quando si entra in convenzione, e sui 3000 euro a libero mercato, cifre molto spesso non sostenibili con la sola pensione dell’anziano e bisognose per la copertura del supporto familiare o dell’istituzione comunale, i cui bilanci sono sempre risicati. Diventa quindi fondamentale pensare e sviluppare una nuova idea di invecchiamento attivo, cercare il più possibile di puntare su soluzioni di cohousing e perché no di “casa di riposo diffusa” dove rimanendo, ove possibile, nelle proprie abitazioni è l’assistenza che raggiunge il paziente e non viceversa. Speriamo che il nascente ATS (Ambito Territoriale Sociale) sia portatore di innovazione in questa tematica.

Come per l’aspetto politico-istituzionale anche nel sociale, quindi, un rilancio della Bassa Padovana può passare solo attraverso la volontà di sperimentare nuove formule che non si limitino a sterili piagnistei o sensi d’inferiorità, ma percorrendo nuove strade, possano valorizzare le particolarità di questo territorio, d’altronde come diceva san Francesco “cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.

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