Ma chi parla di guerra sa quello che dice?

Il rischio di un conflitto mondiale e la leggerezza incosciente con cui troppi ne discutono

Non so se fra i lettori del Popolo Veneto ci sia ancora qualcuno in grado di ricordare personalmente – non attraverso una informazione indiretta – quel momento terribile del 1956, quando la rivolta ungherese e la conseguente invasione dell’Ungheria da parte della Russia sovietica affacciò la minaccia di una terza guerra mondiale.

Allora, nonostante i disperati appelli dell’Ungheria al mondo libero, sulle indiscutibili ragioni morali e ideali prevalse un calcolo pratico, si tollerò che gli eroici ragazzi ungheresi che affrontavano i carri armati con le bombe molotov fossero schiacciati dai carri armati – i quali peraltro si fermarono a Budapest nella condivisa consapevolezza di quello che sarebbe stata, con le nuove armi da poco sperimentate in Giappone, una nuova guerra. Questa considerazione fermò l’avanzata sovietica e impedì l’intervento delle democrazie occidentali: contro giustizia, ma secondo un comune istinto di conservazione.      

Sembrò ai più giovani e idealisti un vile compromesso con la coscienza, una indegna violazione dei più sacrosanti principi: ma come sarebbe uscito il mondo – se mai ne fosse uscito? – da una guerra atomica? Una vergogna, certo, non difendere la libertà degli ungheresi: ma che nome si sarebbe potuto dare a quello che era successo a Hiroshima?  Cose di settant’anni fa, che ormai – tanta nuova acqua è passata sotto i ponti – si troverebbero soltanto nei libri di storia, se, dopo gli anni oscuri della pandemia, ormai da altri tre le parole “terza guerra mondiale” e “armi nucleari” non tornassero ad affacciarsi sempre più spesso e non come minaccia superata del passato e deprecabile ad ogni costo, ma come eventualità futura da prendere in realistica considerazione.    

Ma sanno quello che dicono?  Perché è vero che ormai una “guerra mondiale a pezzetti” serpeggia da un continente all’altro per tanti motivi così intrecciati fra loro nella globalizzazione e connessione planetaria, che nessuno, per quanto apparentemente estraneo, può sentirsi al riparo dalle conseguenze. Tuttavia è un po’ come quando una stoffa comincia a strapparsi qua e là: si cerca di ricucire gli strappi, di metterci qualche toppa e, così rafforzata la veste, si continua a portarla. Mentre invece, dopo una guerra veramente mondiale, dove le grandi potenze si affrontassero con le armi che l’inarrestabile progresso della scienza mette a disposizione, non si troverebbe più né la veste né chi la portava. Per questo torno a chiedere: ma sanno quello che dicono?

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