Una mostra e un catalogo per riscoprire l’arte e l’umanità di Gianpaolo Capovilla

Proget Edizioni, in occasione dell’omonima mostra nella Libreria Moderna di Carlo Scarabello ad Abano Terme (fino al 30 aprile), ha recentemente pubblicato il libro-catalogo Gli occhi di Paolo, a cura di Roberta Coletti e Alessia Zanon, dedicato all’opera pittorica e alla figura di Gianpaolo Capovilla, pittore, attore e regista padovano nato nel 1945. Formatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, ottiene il successo nazionale e internazionale nel 1968 con il film Tabula rasa, presentato alla Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. L’anno successivo, recita nel film Partner di Bernardo Bertolucci e nella miniserie televisiva Atti degli Apostoli di Roberto Rossellini. Compie numerosi viaggi in Europa e, nel 1975, inizia a dipingere nella sua casa natale di Bagnoli di Sopra. Con l’entrata in vigore della Legge Basaglia, nel 1979, viene ricoverato nalla casa di cura Parco dei Tigli di Teolo, sui Colli Euganei. Muore nel 1997, travolto da un’auto mentre era sulla sua bicicletta.

Come ha scritto nel volume Roberto Callegari, presidente dell’Associazione Culturale Paolo Capovilla, “la scelta del ritratto come tema della mostra e la qualità delle opere esposte ci restituiscono un bellissimo e prezioso ritratto dello stesso autore come profondo indagatore dell’animo umano. Paolo, pur nel suo profondo disagio esistenziale, è riuscito a non cadere nella trappola della fuga dal mondo e proprio nella forma del ritratto ha manifestato la sua passione, nella sua attenzione all’altro, al soggetto del quadro che di volta in volta si apprestava a dipingere, capace di entrare in una relazione profonda col committente e con l’amico”.

Questa, nel libro, la testimonianza di Paolo Pavan: “Di lui ricordo l’aspetto di frate francescano, con la faccia di un Cristo crocifisso. I colori ad olio per le sue tele che sporcavano i suoi vestiti, le sue mani e, financo, la sua barba. La sua reticenza a parlare della sua amata ‘straniera’. Le conversazioni tra l’impegnato e il faceto che si instauravano con i Compagni, allora così ci si chiamava tra noi di quelle generazioni perdute tra ’68 e ’77, seduti all’Osteria della Grotta Azzurra o nelle Piazze, padroni di un futuro che non è mai giunto. Lo ricordo delirante vagare per la città gridando tutta la sua rabbia all’ordinario e al benpensismo. Le sue bestemmie, contro un Dio in cui aveva fede. Le sue provocazioni, come quando in piena notte d’estate, durante una lunga passeggiata in via XX settembre e ragionando sulla toponomastica, mi chiese di cantare Fratelli d’Italia. Stetti al gioco, premettendo che, se l’avessi cantata, altrettanto avrebbe dovuto fare lui cantando con me Bella Ciao. Finitala di cantare a squarciagola, fu impossibile fargli cantare Bella Ciao, che feci da solo. Volle comunque imparare il testo di Addio Lugano bella. Ricordo quando mi chiese di dargli i rudimenti della tecnica della Prospettiva, che per qualche tempo fece ingresso nella sua Pittura, non con molto successo e, fortunatamente, che dismise in breve tempo, tanto era lontana da suo mondo sognante e di colori. Quando chiedeva a tutti i conoscenti che incontrava le mille lire, che regolarmente si trasformavano per l’anacoreta alcolico in un subitaneo bicchiere di vino. Ricordo quanto ebbe ad insistere per farmi il ritratto, dicendomi che mi vedeva come un Don Chisciotte e che non gli permisi di fare, visto che, allora, manco mi facevo fotografare. Spesso ho sentito descrivere la sua pittura come naïf. Credo sia un errore madornale: con il senno di poi, mi pare che la sua pittura abbia a che fare con il magico, lo stesso immortalato nelle opere di Chagall, l’onirico che c’era in Paolo e che lui ricercava negli altri”.

Alessia Zanon, storica dell’Arte, così si esprime: “Nel caso di Paolo, per poter davvero ammirare un’opera e riconoscerne la reale ‘bellezza’ (concetto pur sempre molto soggettivo), l’esercizio a cui tutti noi dovremmo sottoporci è quello di osservare la sua arte con gli occhi di un bambino. Uno sguardo puro, privo di pregiudizi e di conoscenza della storia che può esserci dietro all’esecuzione di un’opera. Un’osservazione fine a sé stessa o, meglio, finalizzata a lasciarsi travolgere da ciò che il dipinto ci comunica direttamente. (…) Sono ‘gli occhi di Paolo’, i suoi occhi, il suo sguardo, ciò che dà inizio e vita ai soggetti che egli dipinge con immensa amorevolezza (…) Sembra quasi che Paolo volesse lasciare un po’ di sé stesso in ogni soggetto. Ed è con un potente e libero uso del colore, azzarderei a dire espressionista, che egli illumina i suoi occhi: occhi azzurri, verdi, marroni, color nocciola. Li costruisce con pennellate che ricordano un linguaggio post-cubista, fatto di segni ampi e intensi, andando a creare personaggi che rimandano a qualcosa di mitico nella loro interezza. È evidente agli occhi di tutti, per rimanere sul tema degli occhi, la grande padronanza tecnica e compositiva di Paolo, che emerge soprattutto in certi ritratti eseguiti su tele strette o con poco spazio di azione. È sorprendente come ciascun soggetto sembri creare un dialogo intenso con il suo osservatore, proprio attraverso gli occhi: si tratta quasi sempre di occhi grandi, a tratti malinconici, ma il più delle volte vivi, lucenti, espressivi, penetranti. Ed è in virtù del dialogo osservatore-ritratto e del dialogo ritratto-artista che automaticamente all’osservatore pare di entrare in contatto diretto con gli occhi di Paolo. Si crea così un legame unico, intimo, introspettivo tra noi e Paolo che comunica direttamente attraverso le sue opere, permettendoci di arrivare a conoscere anche questo suo lato, quello più sensibile, quello più propriamente artistico. In questo “crocevia di umanità” [che è la Libreria Moderna di Paolo Scarabello] si inseriscono perfettamente le opere di Paolo. Qui i dipinti prendono letteralmente vita: entrando in libreria si ha la percezione di essere osservati da una moltitudine di occhi, gli occhi di Paolo per l’appunto, quasi fossimo noi l’opera da ammirare. Si crea dunque un’energia particolare, uno scambio di sguardi, un vero e proprio dialogo da cui è difficile sottrarsi, in un clima di storia e di vita come quello della Libreria Moderna, andando a chiudere, così, un cerchio magico fatto di letteratura, di arte e soprattutto di persone”.

Roberta Coletti, presidente dell’Associazione Culturale Altra Lettura, annota: “Paolo Capovilla ha vissuto e prodotto opere d’arte non solo a Bagnoli dove è nato, ma anche a Roma, in Belgio, Svizzera, Francia, Iugoslavia, Parigi. Il nostro intento è di promuovere questo suo nomadismo intellettuale qui ad Abano Terme, città amata e frequentata da persone di tutto il pianeta. Paolo Capovilla non è situabile in un luogo, non è un artista che possa avere un posto immobile, ciascun elemento, basta ammirare i suoi quadri, è in viaggio, poiché le cose nel nomadismo intellettuale non restano uguali. (…) Guardando i volti ritratti si può azzardare che ciascun dipinto inizi proprio dagli occhi, l’anima del volto, la nostra parte più intima e segreta. Lo sguardo, per sua natura, si sottrae alla visibilità, è intangibile, intoccabile, di una stranianza impadroneggiabile. Ma Paolo Capovilla fa obiezione a questo, perché in questi occhi c’è una profondità dovuta alla sua creatività, libera da ogni schema e regola, che gli è propria, fino a, pennellata su pennellata, fondere insieme lo sguardo e l’occhio. Sovrapposizione che avvertiamo come spiraglio per andare oltre al ritratto e portare con noi qualcosa che è in un infinito di colore. Un’asimmetria, un che di perturbante, con un cromatismo ardito avvolge interiorità rivelate in forme, che a volte, alludono alla geometria. Chi guarda chi? Il ritratto non è riducibile alla semplice visione, rivela e lascia immaginare il romanzo di una vita. Il volto ci appare come un luogo narrativo che si distingue tra migliaia di altri volti, e ciascun quadro, una volta appeso, diventa parte del contesto e nella scena è ormai un vero amico! Come ha detto lo scrittore statunitense Julien Green, Un volto intravisto è come il riepilogo di uno splendido romanzo, di cui uno scrittore di talento, nel tempo di uno sguardo, ci consegna l’essenziale”.

Loris Roncon, Assessore alla Cultura del Comune di Bagnoli di Sopra, ricorda così l’uomo e l’artista: “Paolo come ogni giorno era all’interno del bar di famiglia e con un teleobiettivo osservava i clienti seduti al banco, avvicinandosi al loro viso sempre di più come volesse fare uno zoom. Dopo continui richiami, inascoltati, mi si avvicinò e prendendomi per un braccio mi disse: ‘Vieni, andiamo alle giostre e vedrai come il modo cambia’. E cosi in una splendida mattina di ottobre, nel giorno della sagra del paese, girai fra giostre osservando la gente attraverso l’obiettivo con Paolo che mi stava dando, senza che me ne rendessi conto, una lezione di regia, ma anche di pittura: ‘Gli occhi, gli occhi devi inquadrare’. Era vero, tutto cambiava e riuscivo con i suoi consigli a cogliere le espressioni e lo stato d’animo di quel momento del soggetto inquadrato. Gli stessi occhi e quelle espressioni che poi ho trovato e troviamo nei personaggi e nei volti dei suoi quadri. Ma Paolo mi ha insegnato anche a conoscere gli autori francesi con le poesie che citava a memoria in lingua, o a sentire i suoi rimproveri perché non leggevo e non conoscevo le poesie di Alberto Arbasino. Mi ha insegnato a capire, come diceva Mozart, che la musica non è nelle note ma fra le note, lui che non conosceva la musica ma girava il paese suonando un’armonica. Ecco questo era Paolo, un artista che riusciva a trasformare i suoi tormenti, i dolori che la vita gli ha riservato, in opere come i suoi quadri, testimoni, ora non solo della sua sofferenza, ma della sua grande personalità e capacità artistica”.

L’ULTIMA ORA Poesia di Paolo Capovilla

Non ho fretta.
Aspetterò che maturi
questa vana vena di poesia.
Ma per me sarà tardi
quando agli altri
aprirò la mia via:
per me io non sarò più.
Ma se voleste udire
ciò che un’anima grande
in giovinezza vive,
adesso venite.
Ho parole dolcissime
(vaghe, è vero, inconsistenti)

ma vivissime.
Vedreste i miei occhi
d’oro, lagrimosi semplicemente

e le mie elevate mani,
bianche e non corrose.
Troppo tardi verrete:
quando ho fecondato
anni delirii vanità.

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