I D’Agostini, piccola storia di una famiglia veneta da Arina di Lamon ad Abano

I ricordi tramandati dai nonni tra fine Ottocento e la Grande guerra

La nostra famiglia proviene, sia da parte di padre che di madre, da Arina di Lamon (ad-Rina e illac-Mons contrapposto a cis-Mons, Cismon del Grappa, nelle due diramazioni della via Claudia Augusta; ma questa etimologia, per me evidente, non viene riportata nelle guide del luogo), un paese di pastori ed emigranti ora in buona parte spopolato.

Per noi i cento anni della storia italiana vanno dal 1850 al 1950, con l’evento centrale della Grande Guerra, cento anni che i nostri genitori e nonni ci hanno descritto dal loro punto di osservazione in modo così particolareggiato da farceli quasi rivivere: la vita dei pastori sempre uguale da secoli, le emigrazioni dopo la rivoluzione dei trasporti, la guerra con l’arruolamento delle classi 1899 e 1900, l’invasione del Feltrino, l’an de la fam raccontato anche da Francesco Jori, la spagnola, fino alla seconda guerra mondiale.

Il cognome di nostra madre, Campigotto, è tra i firmatari della Regola di Lamon del 1300, mentre per quanto riguarda quello di nostro padre, D’Agostini, riteniamo risalga ai tempi della Lega di Cambrai (1508) quando gli Stati europei si coalizzarono contro Venezia e ai Chiappini di Arina, a ridosso del confine, la Repubblica piazzò dei soldati bergamaschi (Chiappini è un cognome comune nel Bergamasco) in funzione antiimperiale. Successivamente la borgata si popolò di gente forse proveniente dalla Valsugana.

Ai tempi dei nostri nonni ai Chiappini vivevano circa quaranta famiglie, quasi tutte D’Agostini. Il confine fra Veneto e Trentino è un confine storico. Prima della Grande Guerra delimitava il Regno d’Italia e l’Impero Austro-Ungarico. Tuttavia, nel ricordo dei nostri nonni, era abbastanza permeabile tanto che permetteva una certa attività di contrabbando, come racconta anche Paolo Monelli in Le scarpe al sole.

Antonio Campigotto Spigarol, nostro bisnono materno, negli anni ’70/80 dell’Ottocento lavorò in una distilleria di New York (allora prosperavano, il proibizionismo arrivò quarant’anni dopo).

Giovanni Campigotto, nostro nonno, dopo aver fatto il pastore con la moglie Cecilia, all’inizio del secolo scorso attraversò sei volte l’oceano, dapprima lavorando nelle linee ferroviarie canadesi e poi, dopo che era sceso a Cartura nel 1908 dove aveva acquistato un podere, una cesura (da caesura, il ritaglio nella centuriazione romana dove il bosco veniva tagliato per dar luogo alla coltivazione), dal 1914 al 1920 lavorò alla costruzione di Port Nelson, nella Baia di Hudson, dove il freddo era terribile. Port Nelson ora è abbandonato, ma in internet ho trovato una foto di allora dove si intravedono le baracche di cui parlava nostro nonno, dentro le quali veniva acceso un braciere per tutta la lunghezza alimentato, di volta in volta, da un albero intero. Nel 1914 aveva portato con sé il figlio Luigi, classe 1900, e gli aveva trovato un lavoro a New York, ma nel 1917 lo fece ritornare a casa per paura che prendesse una cattiva strada. Luigi tornò a casa giusto in tempo per essere arruolato, ma non venne mandato al fronte.

Quando eravamo ragazzi leggevamo avidamente i libri di Jack London: l’epoca e l’ambiente erano gli stessi di nostro nonno.

Ai Chiappini è nato nostro padre, nel 1899, e così nonni e bisnonni D’Agostini fino a Battista, nato nel 1801. Ci siamo sempre ripromessi di andare a consultare i registri parrocchiali (nostro cugino Antonio Campigotto l’ha fatto, per il suo ramo, ed è riuscito a risalire fin quasi alla loro istituzione dopo il Concilio di Trento), ma il problema sono le omonimie non sempre specificate dal soprannome. Noi eravamo gli Sgara.

All’Ufficio Estero dell’allora Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, dove l’attuale Antonio D’Agostini lavorava qualche decennio fa, arrivò una comunicazione da una Banca di San Paolo del Brasile firmata da una certa Eliana D’Agostini. Noi siamo in possesso di un documento datato 1895, e stilato dal parroco di Arina, in cui un certo D’Agostini Cintet riceve da nostro nonno Antonio D’Agostini Sgara la somma necessaria per emigrare in Brasile, dando in pegno la casa con l’intesa che, se non fosse tornato, nostro nonno ne sarebbe diventato proprietario. Non se ne è saputo più nulla e nostro nonno, quando è sceso ad Abano nel 1909, ha ceduto la casa ad un vicino, in cambio della somma a suo tempo anticipata.

Antonio D’Agostini Sgara (1873-1958), nostro nonno paterno, negli anni a cavallo tra ’800 e ‘900 fece il venditore di stampe nei Grigioni in Svizzera. Ad indirizzarlo era stato un amico tasinaz, del Tesino (oltre confine ma, come detto, era un confine aperto con una blanda con sorveglianza).

Passando in Valsugana è interessante fare una deviazione a Pieve Tesino. Vi è il museo delle stampe con documenti e foto degli ambulanti che per secoli hanno girato il mondo vendendo santi e madonne. Vicino c’è anche il Museo De Gasperi. All’esposizione delle stampe viene detto che queste erano redatte dai Remondini di Bassano, ma nostro nonno diceva che se le faceva arrivare da Neu Ulm, in Germania.

Dopo tanto peregrinare in Svizzera, e da buon arinese, il nonno nel 1909 comprò una cesura in via San Lorenzo, ad Abano. Lì nel 1943 è nato Paolo e abbiamo trascorso parte della nostra infanzia. Nostro padre, Giovanni Maria D’Agostini (Arina 1899-Abano 1989) dal 1913 al 1915 fece il fattorino presso i Faoro, arinesi che avevano aperto dei negozi ad Arosa e a Saint Moritz. I loro discendenti hanno un grande negozio anche a Vaduz nel Liechtenstein. La guerra sul fronte della Valsugana è magistralmente raccontata da Luca Girotto in La Lunga trincea.

Subito dopo il primo colpo di cannone dal Verena, il fronte si spostò in avanti di diversi chilometri fino a Borgo e nostro padre, rientrato dalla Svizzera e saputo che a Pieve Tesino assumevano sterratori civili, andò con altri arinesi a scavare trincee a Forcella Magna sui Lagorai, fino a quando la Strafexpedition non fece arretrare nuovamente il fronte.

Nel giugno del 1917, appena compiuti 18 anni, Giovanni venne chiamato alle armi e mandato a Sassuolo per I’addestramento. Successivamente, mentre il suo reggimento faceva il campo sull’Altissimo, fu testimone di un avvenimento drammatico: un suo commilitone, per aver minacciato con la baionetta un superiore, fu seduta stante processato, condannato a morte e fucilato. Giovanni nel giugno del 1918, inquadrato nel 154° reggimento fanteria, fu trasferito sul Piave, nella zona di Eraclea. Dopo la vittoria, passato alla sussistenza con base ad Abbazia in Istria, vi rimase fino al congedo nel gennaio del 1920.

Piace a noi fratelli parlare spesso del carattere indipendente degli arinesi, derivato crediamo dalla loro tradizione errabonda. La loro più grande ambizione era quella di poter acquistare un podere, un proprio podere, oppure aprire un negozio, e anche quando questo non era possibile o facevano i mestieri più umili (arrotini, spazzacamini, venditori ambulanti, operai generici…) mantenevano un certo distacco dal mondo esterno, estranei ad un’acquiescenza supina ed estranei a movimenti rivendicativi. Rimane questo carattere anche negli attuali discendenti? Forse.

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