Il tema della redenzione e l’importanza del Concilio di Nicea, diciassette secoli dopo

Nella località turca si recherà, prossimamente, il pontefice Leone XIV

Diciassette secoli fa, nel maggio del 325, l’imperatore Costantino convocò a Nicea, in Bitinia, “nell’angolo nord-occidentale dell’odierna Turchia”, il primo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica. Il Concilio è una riunione di vescovi per affrontare una o più questioni di carattere dottrinale o pratico – e già ce n’erano stati non pochi. Ma il Concilio ecumenico, cioè universale, riunisce i vescovi di tutto il mondo – in questo caso tutti i vescovi del mondo mediterraneo-romano, che per la prima volta pronunciano una “definizione” dogmatica di fondamentale portata riguardo alla persona del Figlio. Intorno ad essa si era da molto tempo accesa una violenta polemica fra le irriducibili posizioni di Ario, secondo il quale il Figlio è homoios, cioè simile al Padre in quanto sua creatura, e di Atanasio, secondo il quale il Figlio è generato, non creato, e perciò homoousios, consustantialis, della stessa sostanza del Padre.                                                                   

Queste ultime sono le parole che da cento generazioni siamo abituati a ripetere, come verità scontata, col Credo. Ma allora fu uno scontro tremendo, il cui risultato avrebbe inciso su tutto il senso della Redenzione che costituisce la “pietra angolare” del cristianesimo. Perché non il sacrificio di un mediatore, ma soltanto il sacrificio a se stesso di Dio fatto Uomo poteva riscattare il peccato col quale l’uomo aveva perso il suo “essere a immagine di Dio”. Peccato che non era stato tanto un’offesa a Dio (che avrebbe potuto perdonarla senz’altro) quanto la privazione di una realtà che solo Dio avrebbe potuto ricostituire col suo sacrificio di Uomo: “l’immagine di Dio, una entità reale, era parte integrante della concreta creazione nella grazia. Una volta perduta bisognava che fosse ricostituita per mezzo di una nuova creazione in un uomo che fosse Dio” (R. Barr, p.90-1).

Del resto è Gesù stesso che spesso afferma di essere una cosa sola col Padre nei Vangeli, specialmente in quello di Giovanni: Ora, o Padre, glorificami tu presso di te nella gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse (17, 5). In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio (14, 20) Perché le cose che il Padre fa anche il Figlio le fa ugualmente (5,19) e così via.                                         

Si potrebbe aggiungere che l’interpretazione ariana di Gesù come una figura “di mezzo”, creatura superiore alle altre, ma pur sempre creatura inferiore al Creatore, precorre quella riduzione profetica, eroica o magistrale di Lui, che da Maometto, attraverso la cultura “laica” degli ultimi secoli, è arrivata a contagiare con notevole successo anche il nostro.                                                                         

Il Concilio di Nicea stabilì dunque un punto fermo fondamentale ed essenziale per l’edificio della Redenzione cristiana: non a caso Leone XIV andrà, prossimamente, proprio a Nicea.

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