Tina Alselmi, il coraggio delle riforme: donna e testimone di valori autentici
(Lettura di Federico Pinaffo)
L’intitolazione del nuovo ospedale sarebbe il giusto omaggio ad una protagonista della politica e società veneta
A Padova sono state raccolte oltre 16.000 firme per intitolare a Tina Anselmi il nuovo ospedale. Una struttura ancora di là da venire, ma ci si può anche portare avanti. Come ha ricordato Andrea Pennacchi in occasione della cerimonia di consegna delle firme al Sindaco di Padova, incominciamo noi a chiamarlo con questo nome, perché nel caso di Tina Anselmi intitolarle una grande struttura sanitaria è pienamente giustificato.
La riforma sanitaria che Tina Anselmi ha portato a termine è stata una vera riforma. Che ha cambiato in meglio la vita degli italiani, ha valorizzato il senso etico delle professioni sanitarie. Come tutte le riforme vere ha dovuto vincere resistenze, conservatorismi, interessi corporativi. Il politico di qualità deve saper scegliere tra gli interessi generali e quelli particolari. Non trascurare questi ultimi ma ricondurli all’interesse generale.
Tina Anselmi è stata una grande donna. Che aveva profondi valori che animavano la sua attività politica. Si laurea all’Università Cattolica poi decide di fare la sindacalista per la CISL nella categoria tessili. Una delle più disagiate, particolarmente per il lavoro femminile, addette in gran parte alla lavorazione dei bachi da seta, allora diffusissima nel Veneto. Ricordo un incontro che molti anni più tardi fece con un gruppo di giovani democristiani, in cui ci parlò delle drammatiche condizioni del lavoro femminile nelle filande negli anni del dopoguerra che poi ha ricordato anche nella sia autobiografia: “… voi non potete capire cosa fosse dover lavorare tutto il giorno con le mani piagate sempre immerse nell’acqua delle bacinelle e nessuno che ti difendesse”. Nel 1968 entra in Parlamento, nel 1976 è Ministro del lavoro, primo Ministro donna in Italia e poi Ministro della sanità. Come ministro del Lavoro introduce importanti tutele per il lavoro femminile, come Ministro della Sanità conduce in porto una riforma epocale.
E’ interessante osservare che riforme di grande valore devono il loro successo a donne e uomini politici del Veneto. Nel 1962 il Ministro padovano Luigi Gui porta all’approvazione la legge per la scuola media unica. Rimuovendo un inaccettabile strumento di diseguaglianza che discriminava i bambini fin dalle elementari, tra chi poteva accedere a livelli di studio superiori e chi doveva prendere la strada dell’avviamento professionale. Nel 1968, Presidente del Consiglio il vicentino Mariano Rumor e Ministro per le riforme il veneziano Eugenio Gatto, si approva la legge per dare attuazione alla previsione costituzionale delle Regioni, che avrebbero visto le elezioni dei Consigli Regionali nel 1970. E può essere pure interessante ricordare che Gui fu predecessore di Anselmi come Ministro della Sanità. Impostò i primi schemi della riforma sanitaria. Raccontò che non la portò a compimento perché non lo convinceva il sistema di finanziamento, che dava alle Regioni poteri di spesa senza doversi far carico delle coperture finanziarie. Era una preoccupazione fondata, come possiamo vedere oggi.
Infine Anselmi, su iniziativa di un’altra donna di carattere, Nilde Jotti, allora Presidente della Camera, fu chiamata alla Presidenza della Commissione P2. Forse la più dura prova nel suo impegno politico. Mi raccontò il dottor Di Ciommo, funzionario del Senato che di quella Commissione fu segretario, che rimase subito impressionato dalla forza morale di questa donna che sotto l’apparenza di una donna semplice e alla mano aveva un carattere d’acciaio. La giornalista Anna Vinci ha raccolto in un libro tutti gli appunti che l’Anselmi vergava ogni giorno. Ne emerge un quadro drammatico delle pressioni a cui l’Anselmi dovette resistere per non fermarsi sulla strada dell’accertamento della verità.
Termina la sua vita nelle istituzioni nel 1992. Ancora relativamente giovane, a 65 anni, senza bisogno di rottamazioni. Avrebbe potuto dare ancora molto, perché restava una persona a cui la gente comune della sua terra voleva un gran bene.
Conservo una sua bella lettera che mi scrisse dopo la mia elezione a Senatore, in cui mi ricordava la pesantezza del dovere che si assume entrando in Parlamento, mi ricordava che il Parlamento è il luogo dove si difende la libertà che è il dono più grande che abbiamo e che non si deve mai perdere il contatto con le persone che si rappresentano. Non guardare agli onori ma ai doveri.
Una donna forte, dal tratto gentile, a cui era impossibile non voler bene. Gentile, ma capace di indignarsi contro le ingiustizie del mondo e le piccolezze della politica. Un lampo dei suoi occhi luminosi bastava a far capire.
La ricordiamo soprattutto per la riforma della sanità: nel dibattito politico contemporaneo la parola forse più abusata è “riforme”. Tutti i governi le promettono. Salvo poi declinare l’impegno. O chiamare riforme semplici aggiustamenti della legislazione esistente o progetti ambiziosi che si disperdono nel tempo in una lunga sequela di decreti ministeriali attuativi che svuotano il disegno iniziale. In quel caso fu una vera riforma, che va ora difesa e sviluppata perché la sanità pubblica è un grande presidio di libertà e di reali diritti del cittadino.