Storia del Gruppo TATA: prosegue il viaggio tra gli artisti e le loro opere

(Terza parte. Le prime due sono state pubblicate a settembre e ottobre)

[Nota: immagini in arrivo]

Le altre opere che presentavo erano delle diapositive in scala 10 a 1, che attraverso il fuori scala si davano come soggetti in sé, in autonomia dal proiettore. Ci si ricordi che negli anni ’80 la produzione di pellicole in film di tali dimensioni era propria di poche ditte: mi affidai alla Cibacrome. Tra esse, quelle a me più care sono l’Andante Egizio con la Piramide di Cheope fatta diventare un metronomo, e Ray-bang nella quale rappresentavo il medesimo metronomo dell’Indestructible-Object di Man Ray sostituendovi all’immagine dell’occhio, che Man Ray aveva posto sul corsoio, il cartellino del tiro al bersaglio. L’ultima opera era la colonna infame: una colonna jonica simulata con forme di pane.

Sempre nello stesso catalogo seguivano le opere di Ennio Chiggio che consistevano in riporto di 16 foto polaroid, rappresentanti le sue opere, tra le quali Raccapezzare la rappresentazione, nella quale ricostruiva la testa di toro di Pablo Picasso, ottenuta associando il sellino con il manubrio di bicicletta, aggiungendovi un guinzaglio posto nella sommità inferiore del sellino. Più complessa Oscillazione del pensiero intorno alla perfezione (creazione): un uovo di marmo era sospeso all’interno di un sottile cerchio d’acciaio, a sua volta ancorato ad un breve braccio saldato ad una base capace di oscillare. Rappresentati anche tre manichini da sartoria, presenti nella mostra, addobbati il primo con fascia militare (Sineddoche: il particolare per il generale), a seguire il secondo con corona di alloro (Metafora: laureare l’aura artatamente), infine l’ultimo con fascia tricolore (Metonimia: Rappresentanza sindacale). Sempre di Ennio Chiggio mi piace ricordare che all’inaugurazione della mostra aveva posto in testa alla galleria una corona funebre con rose e con nastro che riportava: ai Tata, Rrose Sélavy, alludendo sempre a Duchamp, come del resto il check in apertura del catalogo.

A posteriori, mi pare, che Ennio volesse essere il regista della prima (esposizione) determinandone anche la morte. Coazione a ripetere: fu infatti Chiggio a redigere la lettera che determinò la fine del Gruppo Enne. Seguivano La mémoire du surréalisme, Signore distinto, Melomania di Renétta Magritta, Ovoviviparo, autoritratto, Grande Ovazione, Ventaglio e feticcio. Le ultime tre polaroid riportavano testi. In uno di questi si legge: Notoriamente l’artista tace: è l’intellettuale, il critico che parla d’arte, correndo dietro l’improvvisa catastrofe dell’opera, pronto a correre ai ripari e salire sulle rovine amene da cui sporgersi in bilico. Anche in questo, Ennio dimostrava la capacità/volontà di muoversi oltre i ruoli tradizionali di chi opera in ambiti artistici.

Maurizio Baruffi e Roberto De Santi proponevano una serie di occhiali: Lux ottica, con cerchiatura alata e mirino serigrafato sulle lenti, Vienna Line, con serigrafia di sottili elissi concentriche, e Meflecto, con riporto, sempre sulle lenti, di reticolo quadrato. Presentavano anche la De Stylizzata, sedia disegnata da Rietveld, decostruita sul piano al fine di ottenere un quadro alla Mondrian. Infine Seduta morta, una tela per dipingere formante seduta e schienale di sedia, montata su cavalletto da plein-air, irridente l’Impressionismo.

Piervirginio Zambon esponeva il Tavoliere delle Puglie, tavolino da ingresso in azzurro tenue costruito su prospettiva ottica, al centro del quale aveva posato un cuco (i cuchi sono fischietti artigianali in terracotta, diffusi nelle Puglie). Presentava inoltre il trittico Fosbury, elaborazione di 3 collage di Max Ernst, facendoli diventare le fasi del salto in alto, appunto, alla Fosbury. L’ultima sua opera in mostra e catalogo: Impostazione strutturale, astanza della Architettura, dedicata a Brandi, che consisteva in cartoline degli affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni, composte a formare un piccolo castello di  carte. Il tutto posto dentro una teca trasparente; come a ricostruzione della vera architettura della Cappella, che consiste nelle architetture giottesche, annullanti il volume edilizio.

Seguiva il trittico Edipo Re di Betty Mignanti, che si componeva di una tavola acquerellata rappresentante le razze bovine (Bevete latte), una serie di provette da laboratorio contenente ognuna un modellino di mucca (Bon Pasteur) e un’ulteriore tavola acquerellata, con la rappresentazione pianta, fronte e retro della mucca, insieme ad una visione zenitale della stessa, con l’animale visto prima in carne, poi con la muscolatura e infine nella struttura ossea (scarnificazione del problema).

Tom Garner esponeva That Awesome sense of History: 3 libri dedicati alla scultura classica: ognuno di essi presentava nel taglio concavo sagomato la profilatura di un particolare anatomico (testa, foglia che nelle sculture si  pone sui genitali, piede), prodotto dalla fustellazione a mano delle singole pagine in cartoncino pesante, come se il volume anatomico rappresentato fosse in riporto attraverso delle isoipse. Vi era inoltre un quarto libro, dedicato all’Architettura, eseguito in ceramica. Sempre Garner esponeva un disegno di una molla da tiro alla quale era appesa quella di un bilanciere: Watch Spring Time.

Di Floriana Rigo il libro Colpo al Cuore: nella prima parte, immagini e testi in riporto da enciclopedie illustranti le patologie del cuore, con segnalibri riportanti passi da Cuore di De Amicis che ne affastellavano l’interno delle pagine; la seconda parte composta da pagine in fustellatura tale da ottenere una nicchia nella quale era posto uno sgarzino. Sempre di Rigo Piantate in Asso: una piantina di fiori posta sulla carta da gioco dell’asso di cuori, galleggia su un piccolo specchio d’acqua, in una bacinella di vetro in una bacinella di vetro. Sul fondo di questa era riportato il testo: Piantate in Asso, André Breton, 1922, mentre l’asso galleggiante era legato a un sottile filo, a sua volta ancorato esternamente a un cartellino riportante la scritta: Arianna.

Il Trittico Penale si componeva di tre tavole: Pene d’Amore, Pene di Morte e Senza Pene. Ogni titolazione aveva il font dedicato coerente col testo e  un ulteriore elemento connotativo: fiori per le prime due, riso per l’ultima. Seguiva Colonna Sonora: sulla sommità di una colonna tuscanica era posto un disco: le variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Infine Uomo di Carattere e Uomo di Lettere. Il primo ritraeva in riporto l’uomo di Leonardo, sulla profilatura del quale erano montati caratteri mobili da stampa, il tutto posto su un riporto simulante un timbro. Il secondo, sullo stesso uomo di Leonardo erano incollati caratteri tipografici in oro; il tutto era incorniciato all’interno di una specchiera palmare.

A chiusura del catalogo il Manifesto Occulto, battezzato così da Tom Garner e redatto dallo scrivente, con contributi di Piervirginio Zambon, Tom Garner e Floriana Rigo; si trattò di un atto di ribellione a Chiggio, che non avrebbe voluto che il testo fosse presente nel volume. La sua composizione avvenne per dattiloscrittura, con il testo ritagliato in striscioline per poterlo organizzare in simmetria centrale.

Il tentativo era quello di fare sintesi in forma poetica del Pensiero Tata.

Si propone di annunciare la morte del Gruppo Enne con regolare biglietto listato a lutto (…) Ottobre, 1964, lettera fatta pervenire in forma anonima ai componenti del Gruppo. La si trova in: Italo Mussa, Il Gruppo Enne, Bulzoni Editore, 1976, pag. 310.

(Fine terza parte. Segue)

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