La vita straordinaria di Vinicio Dalla Vecchia, tra spiritualità e impegno politico inteso come forma di carità cristiana
“Pensiero-Azione-Sacrificio” era il motto al quale si ispirò l’Azione Cattolica fin dalla fine del XIX secolo e sotto il quale si formò Vinicio Dalla Vecchia, nato a Perarolo di Vigonza (Padova) il 23 febbraio 1924. Una singolare figura di cattolico dalla intensa spiritualità, protagonista nella vita sociale e politica a servizio della comunità. Da qualche tempo è stata avviata la procedura per la causa di canonizzazione, è può venire spontaneo il parallelo con la figura di San Piergiorgio Frassati, recentemente elevato agli altari da Papa Leone: stessa biografia, stessa militanza nell’associazionismo cattolico e nel protagonismo dei cattolici impegnati in politica, nello spirito che Paolo VI aveva raccomandato nella Octogesima adveniens: il dovere dell’impegno politico, come la forma più alta di carità.
Figlio di contadini, piccoli possidenti dell’Alta padovana, ottenne di studiare a dispetto della cultura rurale del tempo grazie alla laboriosità della madre Corinna che col suo lavoro di “mistra” lo sostenne fino alla laurea con lode in medicina. È impressionante il corso di studi del giovane Vinicio. Conseguito nel 1943 il diploma di perito agrario e l’anno dopo quello di geometra, nel 1945 sostiene da privatista l’esame di maturità scientifica per poter poi accedere alla facoltà di medicina: era la sua aspirazione farsi medico ed essere vicino alle sofferenze di un popolo che aveva bisogno di assistenza fraterna. Furono anni intensissimi, quelli della sua formazione, in cui egli amministrava il tempo tra studio, apostolato nell’Azione Cattolica, Messa e meditazione quotidiane, esercizi spirituali mensili, preghiera e anonime opere di carità. Sacrificando il sonno, studiava fino a tardi alla luce di un lume a petrolio aggiungendo alle materie di studio la filosofia e la dottrina sociale della Chiesa, poiché avvertiva che per un’azione efficace egli doveva prima di tutto costruire sé stesso.
L’impegno richiesto in Azione Cattolica era al tempo assai intenso e teso a sottrarre quanto più possibile i giovani alle attività ricreative del fascismo: scuole mensili, falò, tre-giorni, gare di cultura cattolica non solo fornivano alla gioventù una solida formazione cristiana ma forgiavano un tipo d’uomo che, attraverso la lotta per la purezza, si preparava a una vita senza compromessi, libero dalle convenienze, portatore di un’idea di società guidata dai valori che aveva introiettato. Vinicio, a partire dai 15 anni, percorse tutte le tappe gerarchiche dell’associazione fino a divenire presidente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica con in testa un’idea del ruolo del laicato non più subordinato alla gerarchia ecclesiastica ma compartecipe e portatore di proprie responsabilità. “Non insegnerò mai nulla che non abbia prima sperimentato su di me” diceva ai suoi giovani, trascinandoli con l’esempio della sua vita, affascinandoli con le sue meditazioni, seguendoli uno a uno nelle necessità spirituali e materiali col sorriso e l’amicizia.
La sua solidissima formazione umana e cristiana gli permise di leggere le vicende storiche entro cui si svolse la sua breve vita e di non sottrarsi negli anni ’43-’45 dal partecipare alla Resistenza. Una Resistenza tutta declinata sul modello cattolico, che pur priva di una copertura istituzionale si percepiva “incolpevole”, fatta per amore e frutto di un’istanza morale. Giovarono forse anche alcuni incontri provvidenziali, come quello con don Giuseppe Danese, fondatore della brigata Mazzini che, confinato in seminario, insegnò a Vinicio il latino, o la frequentazione del Collegio Vescovile Barbarigo dove erano attivi il vice rettore don Giovanni Nervo e don Giovanni Apolloni, fondatore con Otello “Renato” Pighin della brigata Silvio Trentin nonché medaglia d’oro al valor militare. Sceso dal treno che lo portava a casa da un ritiro spirituale il 9 settembre del ’43, ignaro dell’armistizio, subito si tolse e fece togliere le giacche ai suoi compagni per darle ai soldati in fuga. Epico il viaggio in bicicletta da Perarolo a Udine intrapreso la sera del 14 settembre del ’43 insieme col suo parroco, don Ermenegildo Masiero, per portare abiti civili a un soldato della parrocchia affinché si salvasse.
L’esperienza maturata nel gruppo autonomo partigiano Capriccio fu alla base del suo impegno civico che lo vide subito attivo nell’agone politico dopo la liberazione. Il clima degli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale era ancora intriso di violenza e nello scontro tra i cattolici e le forze di sinistra Vinicio si diede con tutto se stesso. Chiamato a tenere comizi elettorali anche più volte al giorno egli presentava una visione cristiana di società che toccava il cuore della popolazione e rendeva estremamente efficaci i suoi interventi. Benché sempre fiancheggiato dalla “volante”, una squadra di giovani che lo seguiva nei comizi, sfuggì ad un attentato e subì anche percosse dagli avversari.
Intenso fu perciò il suo impegno politico per ricostruire il tessuto democratico dopo gli anni bui della dittatura fascista: è componente del CLN di Vigonza che prepara le prime elezioni, si impegna naturalmente nella Democrazia Cristiana, fondando nel 1945 la sezione di Vigonza, diventando consigliere comunale e poi provinciale, ritenuto uno degli organizzatori e propagandisti più efficaci. Da ricordare che fu tra i delegati della Dc al Congresso nazionale di Napoli del 1954, prestando anche le prime cure a un De Gasperi già sofferente del male che lo avrebbe portato qualche mese più tardi alla morte.
Benché molti ritenessero che avesse la stoffa per aspirare al Parlamento della repubblica, il suo impegno politico proseguì a livello locale negli anni successivi al ’48: il suo impegno principale restava comunque la professione di medico, che egli viveva come una sorta di sacerdozio. “Offri al Signore questa sofferenza – diceva ai suoi pazienti – è l’unico che te la paga”. Finiti i turni in Patologia Medica e come ispettore INADEL, tornato a casa curava gratuitamente i paesani, al tempo privi di una assistenza sanitaria, provvedendo spesso anche ai farmaci necessari. Tale era la sua dedizione che spesso non riusciva a cenare prima della mezzanotte e, pur di comunicarsi, restava digiuno anche fino al pranzo del giorno successivo.
Negli ultimi mesi della sua vita, incontrò Maria Gloria Peyla e con lei progettò quella famiglia cristiana che il Concilio Vaticano II avrebbe indicato anni dopo come via di santità e che troviamo racchiusa nelle undici lettere edite alla fidanzata.

La montagna, sua grande passione, ne chiese la vita il 17 agosto 1954, durante la scalata della parete est del Catinaccio in Val di Fassa. Cadde insieme al sacerdote salesiano don Bortolo Dal Bianco; erano due alpinisti provetti, la tragedia lasciò nel lutto tutta la diocesi di Padova, sgomento per la perdita di un dirigente prezioso e carismatico.
Oggi la Chiesa patavina si è fatta promotrice del processo di beatificazione di Vinicio Bonifacio Dalla Vecchia, di questo straordinario interprete di un cristianesimo capace di formare saldamente le coscienze e di indirizzarle a un’azione, personale e civile, carica di senso perché tesa non a una carriera fine a sé stessa ma ad edificare niente meno che una società nuova, una società cristiana. Possiamo ricordare in proposito l’opera costante di promozione della causa svolta da Raffaello Carlo Bonfiglioli, anche lui cattolico impegnato nella testimonianza laicale e nella vita politica e amministrativa, rimpianto assessore del Comune di Padova.


Per approfondire:
Patrizio Zanella, Vinicio Dalla Vecchia. Una biografia tra fede e politica, Edizioni Il Messaggero, Padova 2003.
Piergiorgio Boscariol, Vinicio Dalla Vecchia e il suo tempo, Vincenzo Grasso Editore, Padova 2011.
Vinicio Dalla Vecchia, Le undici lettere d’amore, Tipografia del Seminario, Padova 1956.
