Nonna Ada, la lettura come formazione e crescita umana

Spalancando lo scrigno dei ricordi familiari: magia della memoria e potere delle parole tra etica del lavoro e valore della conoscenza

Non mi stupirò mai abbastanza del potere delle parole, della meravigliosa facoltà umana che è la memoria! In una recente conversazione telefonica con mia cugina Silvana, che ha nominato casualmente Il Popolo Veneto, fulmineamente, ho rivisto la remota immagine di nostra nonna Ada, seduta davanti a casa, di domenica pomeriggio, mentre leggeva, da attrice consumata, il giornale domenicale ad un drappello di contadini, vestiti a festa, in piedi che l’ascoltavano attentamente. Si divertivano assai quando si soffermava su una divertente rubrica scritta in dialetto; mi sembra si intitolasse “Giacometo”, ma potrei anche sbagliarmi. Ridevano tanto! Dopo tutti i dolori della guerra godevano qualche attimo di leggerezza.

Lei alta e bella, affascinante, di una bellezza un po’ altera, scandiva con voce nitida le parole per farsi comprendere da tutti. Il momento era particolarmente atteso, perché apriva una finestra su avvenimenti che si susseguivano nella nostra bella e sofferta regione, ma anche in un altrove lontano, di cui si ignorava persino la posizione geografica. Si sapeva soltanto che molti corregionali avevano lasciato la terra d’origine per cercare fortuna in “Mèrica”, nome mitico che sollecitava fantasie e paure. Infatti, di molte persone si erano perse le tracce, inghiottite dal tempo e dalla distanza.

Siamo nei primi anni Cinquanta del XX secolo, ed io vivevo a casa dei nonni materni rimasta, purtroppo, orfana di mamma nel 1943, a soli venti mesi di vita. Loro mi hanno accolta e cresciuta come, e più, di una figlia. E di figli ne hanno allevati ben otto. La casa era grande, un antico palazzo ‒ infatti così veniva chiamato dai paesani di Perarolo di Vigonza, allora un piccolo paese agricolo ‒, di due piani abitabili dagli alti soffitti e dalle stanze spaziose, con la mansarda nel sottotetto. Seppur danneggiato in parte dai bombardamenti, il palazzo era così ampio che, finita la guerra, ed essendo la scuola del paese resa quasi inagibile dalle bombe, il lungo salone fu adibito ad aula scolastica in seguito ad un accordo dei nonni con il Comune. Di mattina veniva animato dai bambini delle elementari ‒ tant’è vero che io stessa ho frequentato la quinta elementare… in casa ‒, mentre la sera alla scuola serale, accorrevano gli adulti, desiderosi di imparare a leggere e a scrivere.  E questa fu una benedizione di Dio, poiché d’inverno la maestra del mattino, finite le lezioni, prima di andarsene ‒ pietosamente ‒ riempiva la stufa di legna cosicché noi della famiglia potevamo stare al caldo per tutto il pomeriggio.

Un imponente cancello di ferro ‒ oserei dire artistico ‒ e uno più piccolo a fianco, immettevano al grande viale fiancheggiato da doppi filari di vigneti, uva bianca e uva nera di cui ricordo ancora la dolcezza. A metà del percorso, sul lato destro, c’era il pozzo dal quale si attingeva un’acqua buona e fresca. Nel retro facevano bella mostra di sé, l’orto coltivato con passione e con costanza dalla nonna e il pollaio, una risorsa indispensabile per poter superare indenni la penuria della guerra ‒ la nonna era dotata di uno spiccato spirito di iniziativa! ‒, mentre tutto intorno c’erano tanti campi ‒ rifugio antiaereo a cielo aperto! ‒ coltivati in mezzadria da una numerosa famiglia patriarcale di contadini che abitavano nella casa adiacente al palazzo.

La nostra abitazione era un vero e proprio punto d’incontro per parenti, in primis, e per i giovani del paese, per lo più amici e conoscenti degli zii che vivevano ancora in famiglia, uno sposato, padre di due figli e l’altro, Enore, di giovane età. L’ospitalità della nonna era davvero calorosa. Non c’era grande ricorrenza religiosa che non venisse festeggiata in lieta compagnia di figli e nipoti. Quando arrivava da Padova zia Ila ‒ o Lia, così la chiamavano in città, meglio nota come Tradotta perché sembrava una littorina sempre in movimento; penso sia stata la prima donna del dopoguerra ad avere la patente di guida ‒ con i bambini e  con zio Bruno, era una vera e propria mobilitazione. Non appena si vedeva spuntare la “giardinetta” nel viale, la nonna si recava immediatamente al pollaio, prendeva un bel galletto e lo cucinava, mentre Giulia aggiungeva sempre qualcosa in più: frutta, verdura o anche delle gustose braciole e saporite salsicce.

Di Giulia, moglie di uno dei contadini della famiglia di cui accennavo sopra, dovrei e vorrei scrivere molto per testimoniare le elevate doti del suo animo, dell’inesauribile solidarietà e generosità che la caratterizzava. Nutriva per tutti noi e particolarmente per nonna Ada, da lei sempre chiamata “Siora Ada”, un’amicizia leale e profonda, arricchita da tanto calore umano. Amicizia peraltro ricambiata, durata tutta la vita. Io stessa, evocandola ancor oggi mi commuovo profondamente.  Fra le nostre due famiglie vi era – per così dire – uno scambio di favori e di competenze.  Il nonno e gli zii davano loro assistenza per il disbrigo di faccende burocratiche che non erano in grado di assolvere e … la nonna, improvvisatasi sarta, cuciva per gli uomini di quella famiglia calde, se pur rozze, camicie in fustagno a quadri colorati. Spesso la sera qualcuno dei mezzadri veniva a parlare con il nonno e l’argomento era lo stesso: la guerra.  Ricordo che “Martin”, il marito di Giulia, al momento del commiato, concludeva ogni volta dicendo: “Eh sì sior Luigi, comanda sempre ea Francia!”.

Il nonno Luigi, esonerato dal servizio militare “grazie” ‒ aggiungo io ‒ alla sua bassa statura era una persona colta, sempre con i libri in mano ‒ conosceva la Divina Commedia e altri classici a memoria ‒, ma non aveva il pragmatismo della nonna! In compenso era di una estrema dolcezza e bontà, sempre pronto ad incoraggiare con la sua saggezza. Proveniente da una famiglia di proprietari terrieri, con campi nel rodigino, nel veneziano e in Friuli e con allevamenti di cavalli da corsa, si ritrovò a gestire una proprietà progressivamente ridotta, per la costante vendita dei campi. Infatti, per incapacità del genitore, del quale sentivo mormorare avesse anche vizi di gioco ‒ ma questo per l’onore della famiglia veniva sottaciuto ‒ il capitale lentamente sfumava, mentre aumentavano le bocche da sfamare: otto erano figli ai quali doveva dare un futuro!

Per fortuna c’era la nonna che, con il suo senso pratico come sopra descritto, faceva fronte ad ogni difficoltà. Gli aiuti alla famiglia di Giulia venivano generosamente ricambiati con ogni ben di Dio: il latte quotidiano appena munto, parti dei due maiale che macellavano ogni anno, ceste di succose pesche – maturate al sole –, frutta di ogni genere, dolcissime succose albicocche che lei, scrollando l’albero, raccoglieva nel suo ampio grembiulone, oltre a sacchi di preziosa farina per la polenta! A quel tempo circolavano pochi soldi ed era usuale pagare in natura.  A tal proposito come non ricordare che i miei zii mi mandavano a prendere le sigarette con un uovo, o nel migliore dei casi due… appena fatte dalla gallina!

Erano tempi duri per tutta la popolazione e se il valore di una persona si giudica da come essa li supera, posso in tutta onestà affermare che i “nostri” nonni, proprio come Ada e Luigi Micaglio, sono stati pilastri portanti per la famiglia e per la società stessa, ieri come oggi. Hanno insegnato con il loro esempio il valore della lettura e della conoscenza, indispensabili alla formazione di ogni personalità, l’etica del lavoro e l’importanza dell’empatia nei rapporti umani. Mai hanno trasmesso sentimenti negativi, anzi hanno creato spazi di svago; e lo facevano leggendo e commentando in compagnia il giornale domenicale, quel Popolo veneto che dava loro la forza per affrontare il giorno dopo con coraggio e con una certa allegria, le stesse emozioni che la nonna trasmetteva alle persone in piedi, con il cappello in mano, ogni domenica. Raccontando le loro sofferenze, anche quelle taciute ‒ la perdita di ben tre figli in giovane età ‒ e la resilienza con cui hanno saputo affrontare l’esistenza è come averli fatti rivivere poiché i legami del cuore non si spezzano mai. È come avere ricordato le migliaia di contadini veneti che non si sono arresi di fronte alle ingiustizie sociali, alle tasse esorbitanti che dovevano versare, alle malattie dovute alla mancanza di cibo, come la famigerata pellagra. Tutte cause che hanno favoriti gli espatri per cercare una vita migliore; certamente coloro che sono rimasti nelle proprie case, anche se misere, hanno dimostrato la medesima forza d’animo esprimendo un amore solido e profondo per la propria terra, coltivando una speranza continuamente ravvivata, anche grazie alla lettura del giornale, per un futuro personale e collettivo, proprio come hanno fatto nonna Ada e nonno Luigi.

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