Viaggio nella storia: Berlino Est, 1988

Il ricordo di una visita l’anno precedente alla caduta del Muro, in occasione di un seminario

La conoscenza di Siegfried Gerhardt risale all’ottobre 1981 allorché lui e la bella moglie in vacanza a Venezia entrarono nel mio storico negozio di calzature nell’altrettanto storica via Garibaldi. Al tempo frequentavo da alcuni anni i corsi di lingua tedesca presso l’Associazione Culturale Italo Tedesca alla quale ero iscritta sin dalla sua istituzione. Per tale lingua ho sempre nutrito un’istintiva passione, mai sopita. Perciò era per me una piacevole occasione poter misurare le mie conoscenze ogni qualvolta entravano clienti tedeschi. Senonché anche Siegfried voleva esibire la sua ‒ scarsa ‒conoscenza dell’italiano. E così un po’ in tedesco, un po’ in italiano, fra un argomento e l’altro egli ribadiva con sicurezza di avere 500 anni e non 50 come sostenevo io. Dicendogli che non sembrava proprio Matusalemme gli scrissi su di un foglietto di carta: 500 e 50, affinché fosse evidente la differenza. Si creò un’atmosfera divertente, alla fine ci salutammo amichevolmente.

A Natale, con sorpresa, giunse in negozio una cartolina con gli auguri natalizi firmata “Matusalemme e famiglia”. Da uno spassoso errore ebbe origine, anche fra le nostre rispettive famiglie accomunate dal medesimo stile di vita, una sincera e duratura amicizia, costellata da numerosi eventi familiari condivisi. Rapporto consolidatosi via via nel tempo, a dispetto della

lontananza e grazie ai loro frequenti soggiorni in Italia. I molti viaggi fatti assieme, inseguendo gli stessi interessi per l’arte nelle sue molteplici espressioni, approfondirono ancora di più il legame. Mai un dissapore. Sempre in buona armonia, nonostante le differenze linguistiche e culturali.

L’esperienza più intensa vissuta insieme, e per merito loro, fu il soggiorno di una settimana a Berlino ovest per il seminario “Fragen an die Deutsche Geschichte” (“Domande alla storia tedesca”) al quale, unica straniera, fui ammessa proprio per l’intercessione del nostro generoso amico Siegfried. Non solo, anche mio marito e nostro figlio Mauro poterono far parte della comitiva. Di tale eccezionale opportunità gli saremo sempre riconoscenti. Fu un viaggio memorabile, pregno di forti emozioni il cui racconto vuole essere una diretta, fedele testimonianza ed uno spunto di riflessione, offerto ai lettori di questo storico giornale, sulla qualità della vita negli anni bui del regime dittatoriale sovietico e sul valore inestimabile della libertà.

La partenza era fissata da Norimberga. Il mezzo a disposizione era un comodo e moderno pullmansul quale, appena imboccata l’autostrada interamente situata in territorio dell’Est, salirono due poliziotti che controllarono minuziosamente il passaporto di ciascun passeggero. Tutto bene!

Si doveva percorrere l’autostrada rispettando rigorosamente una bassissima velocità confacente ai loro antiquati mezzi.  Il tempo di percorrenza veniva verificato all’arrivo. Coloro che fossero giunti in anticipo sull’orario stabilito avrebbero dovuto pagare una sanzione molto elevata per mancato rispetto della regola.

Lungo il tragitto il conducente del pullman fece una sosta ad un “Punto di ristoro”, un miserrimo bar, alquanto sguarnito. Oltre a delle uova sode e a una sorta di bibita, non c’era NIENTE ma proprio NIENTE altro da prendere… E questo fu il primo impatto con l’altra Germania, la sfortunata DDR, sorta dopo la seconda guerra mondiale e in seguito alla suddivisione della Germania nazista in zone di occupazione. La sua esistenza ebbe termine con la riunificazione tedesca. Nel corso della guerra fredda fece capo al blocco orientale, aderendo al Patto di Varsavia.

Giunti a Berlino, nel quartiere Charlottenburg, alloggiammo nella residenza che fu del Cancelliere Konrad Adenauer (1945-1963), ovvero “lo Statista Unificatore”, secondo l’unanime definizione di insigni storici. Il gruppo dei partecipanti, piacevolmente eterogeneo per età, contava quaranta o quarantacinque persone. Il nostro piccolo affiatato “sottogruppo” era formato da Siegfried, dalla moglie Ingeborg, da Markus loro figlio neo avvocato, da Pfarrer Mailänder, pastore Evangelista e da Hanna rispettiva moglie, entrambi membri di una associazione religiosa che assisteva gli esuli della Germania dell’Est. Loro erano già di nostra conoscenza. Infine c’eravamo noi tre italiani: io, mio marito Giancarlo e nostro figlio Mauro, laureando in architettura, desideroso di conoscere questa importante città perché stava preparando la tesi sul famoso architetto tedesco Mies Van Der Rohe.

Il programma del seminario era molto fitto: conferenze di vari relatori e diverse visite guidate ai luoghi carichi di Storia, quella con la lettera maiuscola. Tra gli altri ricordo Checkpoint Charlie, il lungo terribile MURO: la sola vista incuteva terrore per la quantità di foto che vi erano appese e che ritraevano tutte le persone morte nel tentativo di scavalcarlo. Il Reichtstag, simbolo della Germania e teatro di dolorose vicende fu la meta del terzo giorno. All’epoca, il maestoso edificio, era già completamente restaurato dopo i devastanti bombardamenti del 1945, ma non ancora sede del Bundestag (Parlamento Federale Tedesco). Con la sua imponente cupola in vetro a più piani dalla quale si gode il suggestivo panorama della città a 360 gradi, era adibito a mostre o a convegni di carattere storico culturale. Impressionante per vastità è la Sala Plenaria. Qui tutti ricevemmo una spilla-distintivo in ricordo dell’incontro… con la viva raccomandazione di non portarla con sé il giorno dopo, nella visita a Berlino Est. Sarebbe stato molto rischioso: avremmo potuto essere sospettati di spionaggio! Inoltre, in tale occasione era assolutamente prudente spostarsi solo in piccoli gruppi (tre persone al massimo) per non destare attenzione.

Ottenuti i necessari permessi dalle autorità competenti, cambiati come d’obbligo ciascuno venticinque marchi dell’Ovest con altrettanti dell’Est ‒ valuta questa che al di fuori del confine era carta straccia ‒, iniziò la visita della città, ricca di monumenti e, senza dubbio, la più bella dal punto di vista architettonico. La breve sosta di un solo giorno era già una grande concessione frutto della politica di apertura di Michail Gorbaciov… e in cambio di aiuti erogati dal governo dell’Ovest a quello dell’Est, data la grave crisi economica che vessava il territorio. Siamo nel 1988, è bene rammentarlo.

La dogana era costituita da bugigattoli dove, per la seconda volta, veniva controllato attentamente il passaporto da un poliziotto armato con accanto uno di quei grandi e feroci cani addestrati all’uopo – poveretti anche loro – pronti ad aggredire chi avesse avuto l’ardire di tentare la fuga scavalcando il Muro. Qui ci fu un momento di tensione quando, sgarbatamente, il poliziotto comandò a mio marito di togliersi gli occhiali con un autoritario “nimm di Brille ab!”. Era molto irritato perché il suo ordine non era stato subito compreso e ripeté bruscamente: “nimm die Brille ab schnell” (togliti gli occhiali, svelto!). Come se gli occhiali fossero una maschera.

Era palpabile l’atmosfera cupa che si respirava e più che mai lampante appariva la causa per cui il nostro caro e leale amico Siegfried, designer, pittore di talento, persona di spessore umano e culturale, nel 1961 fu costretto a fuggire precipitosamente con moglie e figlioletta, lasciando tutto e tutti per diventare un esule. Era colpevole di essere “una mente libera”, mai assoggettatosi al regime vigente e perciò dichiarato “persona sospetta”. Questo, già di per sé, era una sentenza inappellabile … Si consideri che fu uno dei 650 artisti ed intellettuali fuggiti dall’Est durante la “spaccatura” del Paese, come risultò dai documenti ritrovati dopo il dissolvimento della dittatura.

Varcato il confine tra l’Ovest e l’Est ‒ la libertà e la sua negazione ‒, trovammo ad aspettarci Cornelia, sorella minore di Siegfried, con il marito Walter. Fratello e sorella si rivedevano dopo ventisette anni di forzata separazione. Walter era di una premurosità unica. Ansioso di farci vedere il più possibile in così poche ore, continuava a ripeterci: sì, sì, ce la facciamo! (Ja, Ja. Wir schaffen es!). Rispettosi delle raccomandazioni ricevute, senza distintivo del Reichtstag, in gruppetti “interscambiabili” di tre persone, cominciammo a girare per la bella città. Walter e Cornelia, ci fecero scorgere la vera essenza del luogo, ben diversa dalla facciata creata per i visitatori.

Ammirammo Bebelplatz – tristemente famosa per il rogo dei libri del 1933 – che accoglie

il Teatro dell’Opera e la chiesa Cattolica Romana più antica della Germania. Nel cammino si notavano negozi con davanti lunghe file di persone in attesa che arrivasse della merce. Cibo o vestiario era indifferente, c’era scarsità di tutto. Facevano eccezione due negozi, uno di elettrodomestici e l‘altro di oreficeria, con le vetrine ben fornite. In verità, erano lì per…  fare bella mostra. Infatti, ammesso che qualcuno avesse potuto permettersi di acquistare un qualsivoglia prodotto – cosa alquanto rara – avrebbe dovuto aspettare, nel migliore dei casi, almeno un anno prima di riceverlo.

Per l’acquisto di un oggetto d’oro, ad esempio una collanina, bisognava dichiarare di non possederne già una, nel qual caso si doveva consegnarla in cambio. Nel settore auto, la “Trabant” (satellite!)  costruita con materiali in plastica, motore a due tempi di arretratezza tecnica, era l’unica scelta possibile.  Il periodo di attesa per la consegna si aggiravaattorno ai dieci / dodici anni. Nel caso malaugurato che l’acquirente nel frattempo avesse reso l’anima a Dio, beh allora il contratto d’acquisto veniva venduto, così ci spiegò Walter. L’altra auto esistente, meno arretrata, ovvero la “Wartburg” era usata esclusivamente dagli appartenenti alla Nomenklatura dell’EST, dato il prezzo davvero proibitivo per il popolo.

A pranzo ci recammo in un sontuoso ristorante dove Siegfried, ben conoscendone il sistema, aveva prenotato tempo addietro per il nostro gruppo costituito da dieci persone, sorella e cognato compresi. Anche qui la fila si presentava in diligente attesa nella speranza di poter entrare. Siegfried suonò il campanello e, in virtù della prenotazione, si aprì la porta.  Con stupore notammo che l’elegante sala da pranzo, arredata con ammirevoli mobili antichi, era semi vuota.  Perché mai?   Due le cause: o mancanza di ingredienti per preparare il pranzo o il personale in servizio non intendeva servire più di un certo numero di ospiti… In che cosa consistesse il piatto che ci fu servito sinceramente non lo ricordo, ma ricordo nitidamente che per antipasto sul menù era scritto “ab ovo”, proprio come usavano gli antichi romani. Infatti… era un uovo sodo con intorno al tuorlo un antiestetico bordo scuro, segno di eccessiva cottura…

Al pomeriggio andammo nella grandiosa Alexsanderplatz ed entrammo in un grande magazzino – si fa per dire –  a più piani con l’intenzione di acquistare qualche souvenir. Le commesse, signore dall’evidente età di godersi la meritata pensione, indossavano dei grembiuloni o camicioni che dir si voglia, grigiastri ed abbottonati nel davanti, che conferivano loro un aspetto dimesso, insieme a una certa aria di rassegnazione e mestizia! Di souvenir, nemmeno l’ombra.

Walter e Cornelia, come tutti i berlinesi, avevano “il libro degli ospiti” sul quale annotare chi ricevevano. Non poterono accoglierci a casa loro, perché far entrare otto persone insieme, quali noi eravamo, era certamente pericoloso. Ce lo dissero con le lacrime agli occhi. Di sicuro sarebbe presto arrivata la polizia avvisata da qualche zelante vicino. TUTTI spiavano TUTTI. E la Stasi, la polizia segreta, spiava ancora di più!  A tal proposito suggerisco a coloro che non l’avessero già fatto, di vedere l’avvincente film Le vite degli altri – premiato in ogni dove, Oscar e premi europei, compresi quelli tedeschi – ambientato, per l’appunto, nella Germania Est durante il periodo in cui dominava la Stasi incutendo il terrore.

Con il cuore colmo di forti sentimenti ed emozioni profonde e contrastanti, alla sera salutammo i nostri anfitrioni, consegnando loro i marchi che non avevamo potuto spendere. Il permesso scadeva alle ore ventuno. Troppo stridenti e laceranti erano i contrasti fra le due parti della stessa Germania. Come era possibile vivere sotto un sistema di costante oppressione, privi di ogni via di scampo? Infatti, l’anno dopo, esattamente il 9 novembre 1989, scoppiò la “Rivoluzione Pacifica”. Senza spargimento di sangue e senza armi cadde l’orribile Muro che, per riportare una frase del famoso discorso di J.F. Kennedy, pronunciato a Berlino il 26 giugno 1963, recita: “Questo Muro costituisce non solo un’offesa alla storia, ma soprattutto un’offesa all’umanità”.

A trentacinque anni da quell’evento che aprì la strada della complessa fase di riunificazione della Germania e cambiò la Storia, a Berlino, più affascinante che mai per la costruzione di edifici ultramoderni, opera di famosi architetti internazionali, attira l’attenzione una lunga sezione del Muro. Volutamente conservata, è interamente ricoperta di murales che raffigurano gli avvenimenti della tragedia trascorsa, dipinti da centosettanta artisti di ventun paesi.  La East Side Gallery, oltre a rappresentare una delle più lunghe gallerie a cielo aperto, sta ad indicare insieme all’importanza della conoscenza diffusa dalle creazioni artistiche, il valore salvifico attribuito all’arte, lenitiva delle sofferenze umane.

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