Adulti educati e grati: una riflessione sul tempo presente

“Non è mai troppo tardi”: il primo a dimostrarlo fu Alberto Manzi, con un esempio valido ancora oggi

L’invito a rivolgersi agli insegnanti con un pensiero grato e le riflessioni del direttore Stefano Valentini, pubblicate nell’editoriale dell’11 settembre scorso su Il Popolo Veneto, assumono un significato particolare alla luce della pubblicazione del documento Education at a Glance 2024 dell’Ocse. I dati che riguardano l’Italia inducono ad una analisi complessiva sul sistema d’istruzione italiano e il relativo mondo del lavoro. Dal rapporto emerge che la dispersione tra i giovani dai 25 ai 34 anni è del 20 per cento, contro il 14 per cento degli altri Paesi censiti. Inoltre il 64 per cento degli studenti provenienti da famiglie più svantaggiate ottiene risultati inferiori rispetto alla media OCSE, mentre il restante 36 per cento proviene da contesti più privilegiati.

I dati dimostrano come i fattori socioeconomici costituiscano un elemento di criticità nell’accesso e nelle opportunità educative​. Il problema è che in Italia la famiglia di origine ha ancora un peso troppo rilevante sulle probabilità di successo a scuola e negli studi in generale. Soltanto il 10 per cento dei figli di genitori con il solo diploma di terza media riesce a ottenere la laurea; e il 37 per cento non arriva nemmeno alla maturità. 

Davanti all’immagine asettica e impietosa dei dati numerici, l’invito alla gratitudine da parte del direttore Valentini sottende una precisa visione della funzione e dell’esperienza educativa, nelle società complesse nelle quali viviamo. Ormai disorientati dalle notizie di cronaca, annaspando in un presente dagli orizzonti inquieti, interpellati dai contraddittori esiti dell’avvento dell’intelligenza artificiale, la questione educativa non riguarda più soltanto le giovani generazioni. Quale visione? Per rispondere a quali bisogni formativi e culturali? Per educare chi? Verso quali orizzonti di senso? Crediamo ancora che l’educazione costituisca oggi il pilastro fondamentale per promuovere l’emancipazione culturale, sociale e politica di un paese e la realizzazione della persona e del cittadino?

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Alberto Manzi. Come non rivolgere un pensiero grato alla sua rivoluzione educativa e comunicativa, antesignana di quello che oggi definiamo lifelong learning, ovvero l’attitudine e l’impegno ad apprendere per tutta la vita, per modificare o sostituire conoscenze, competenze e abilità non più adeguati rispetti ai nuovi bisogni sociali o lavorativi, in campo professionale o personale. Con la sua trasmissione “Non è mai troppo tardi” Alberto Manzi diventò il “maestro degli italiani”. Il programma televisivo, conosciuto come “Corso di istruzione popolare per adulti analfabeti”, nacque dalla significativa sinergia tra la Rai e il Ministero della Pubblica Istruzione, ed aveva come obiettivo combattere l’analfabetismo attraverso la televisione, un mezzo all’epoca emergente. Le lezioni di Alberto Manzi spaziavano dalla poesia alla filosofia, dalla teologia alle questioni esistenziali. Erano un mix unico di alfabetizzazione, cultura e attualità, che andava dalle lettere dell’alfabeto alle operazioni matematiche, dai pianeti del sistema solare alle città italiane. Quale l’orizzonte di senso del suo agire educativo? “Non rinunciate mai, sotto qualsiasi pressione a essere voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico. […]  Se vogliamo vincere tutti la fame, la miseria, la schiavitù di non saper leggere e di non saper scrivere, e soprattutto se vogliamo sconfiggere la cosa più terribile di tutte, l’ignoranza, si deve studiare. Soltanto l’istruzione potrà far sì che tutta l’umanità possa vivere meglio”. Sono trascorsi più di sessanta anni dall’intuizione pedagogica e creativa del celebre “maestro degli italiani”, ritrovandoci oggi a parlare di analfabetismo funzionale, fenomeno diffuso e preoccupante degli ultimi anni. Parliamo di adulti che hanno difficoltà a comprendere pienamente testi semplici, con effetti negativi che si riflettono nella vita di tutti i giorni. Secondo i dati dell’indagine Piaac-Ocse (2019), in Italia, il 28 per cento della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Il dato è tra i più alti in Europa, eguagliato dalla Spagna e superato solo da quello della Turchia (47 per cento).

Per contrastare e invertire la tendenza documentata, nel corso degli ultimi decenni, seppur molto lentamente, le linee guida delle politiche formative/educative dei Paesi Europei, sono indirizzate nel definire l’educazione come lo strumento più efficace per affrontare il cambiamento e per promuovere la completa realizzazione dell’individuo. Il tema dell’educazione permanente, e in particolare dell’educazione degli adulti, trova posto tanto nelle normative europee che nazionali. La legge n.92 del 28 giugno 2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), al comma 51 dell’articolo 4 definisce e disciplina i principi basilari dell’educazione permanente: “In linea con le indicazioni dell’Unione Europea, per apprendimento permanente si intende qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale…”. 

I quattro aggettivi riportati all’interno della legge (personale, civico, sociale e occupazionale) orientano lo sguardo su obiettivi formativi che hanno a che fare con la “prospettiva del noi”. L’educazione permanente infatti oltre agli obiettivi occupazionali, e di riqualificazione professionale è correlata anche ad altre importanti finalità, ovvero la capacità di maturare in età adulta la consapevolezza del proprio  ruolo sociale e della propria  responsabilità, civica e professionale, nell’ottica di una crescita collettiva.

Come formatrice in ambito Eda (Educazione degli adulti), credo che la responsabilità civica e professionale nell’ottica della crescita collettiva non possa prescindere dal sentimento della gratitudine, intesa come relazione. Marco Tullio Cicerone, avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo romano, definiva la gratitudine “non soltanto la principale virtù, ma anche la madre di tutte le altre”.

Se provo a sganciare la gratitudine dalla logica del contraccambiare o dalla riconoscenza forzata, essa diventa un sentimento generativo. La vera sfida della nostra vita personale e interpersonale, la nostra vocazione più intima e profonda è il saperle dare una direzione. In questo senso si diventa attori educativi ogni qualvolta si svolge un servizio che accompagna e incoraggia l’umanizzazione delle  persone e  della collettività, in ambito associativo, sportivo, culturale, familiare…

In questo contesto abbiamo la possibilità di “educare” attingendo alla forza generativa della gratitudine, attingendo alla memoria, facendoci custodi ed “eredi” di coloro che ci hanno trasmesso un metodo, un modo di essere, di agire o di  pensare che oggi ci permette di comunicare il meglio di noi stessi.

Personalmente faccio esperienza della “forza generativa della gratitudine”, coordinando le attività dell’associazione Geapolis Adult Learning Opportunities, dove educatori, formatori e docenti, mossi dalla convinzione che solo la cultura e la formazione possano costruire “valore” nel tempo, mettono a disposizione gratuitamente   la propria  professionalità,  diventando attori di processi di innovazione sociale  nei contesti a rischio di povertà educative e culturali. I punti di forza? Il primo è il coraggio di guardare con verità ai problemi, il disagio socio-economico delle famiglie, il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione, il gap culturale e sociale tra generazioni.  Il secondo punto di forza è il desiderio e la capacità di orientare processi di cambiamento. (www.geapolis.eu).

Ieri come oggi, il coraggio di conoscere e la capacità di orientare le proprie scelte costituiscono gli indicatori fondamentali per muoversi nella complessità del reale. Infatti, se il cambiamento è inevitabile, la crescita personale e culturale sono una esigenza imprescindibile. Ciò che possediamo, come patrimonio di conoscenze e abilità, quanto ci permette di agire in maniera autonoma e responsabile nel contesto della vita personale, sociale e lavorativa? Quali sono le competenze fondamentali che dovrebbero essere sviluppate nel corso di tutta la propria esistenza? Quali bisogni e desideri formativi emergono nei momenti di crisi e nelle situazioni di cambiamento nella vita personale e professionale?

Ieri come oggi, erano queste le stesse domande che Rita Levi Montalcini suscitava nei suoi interlocutori, sia che fossero ragazzi, collaboratori, docenti, genitori,  adulti  “pensanti” o “dis-orientati”, alla ricerca del proprio posto nella società.

Per questo è con un sentimento di gratitudine generativa che torniamo a ricordare anche lei. Un aspetto della lunghissima e straordinaria vita di Rita Levi Montalcini riguardava, infatti, il ruolo centrale che la scienziata torinese ha riconosciuto all’istruzione, all’insieme dei processi educativi, con un impegno “profetico” sui temi dell’orientamento scolastico e lavorativo. Il suo stile comunicativo suscitava domande, stimolava la motivazione, apriva all’apprendimento.

Dalle pagine di una rivista dedicata all’aggiornamento dei docenti affermava: sono mutate anche le esigenze degli adulti in un’epoca di tu­multuoso cambiamento come la nostra, dove lo sviluppo esplosivo dell’informatica ha, tra l’altro, portato ad un nuovo sistema educativo non più limitato all’infanzia e all’adole­scenza, ma perseguito per l’intero arco della vita: contrariamente all’opinione corrente, il cervello non va fatalmente incontro con gli anni ad un processo di deterioramento irre­versibile”.

Visione profetica quella di Rita! Da lei ispirati e sulle sue orme non è mai troppo tardi per raggiungere il pieno sviluppo personale e contribuire al progresso sociale perché, come affermava la first lady della scienza, “Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita”. Questa la sfida del lifelong learning!

Ti potrebbero interessare anche questi articoli

La tragedia del primo conflitto mondiale e l’onestà, umana e politica, di Sebastiano Schiavon

Viviamo tempi difficili. La guerra è tornata a dettare l’agenda della politica. Guerre sanguinose, in cui ai caduti combattendo si aggiunge un enorme numero di vittime civili: morti senza giustificazione, anziani, donne, bambini, profughi abbandonati a sé stessi, distruzione di…Continua a leggere →

Le condizioni dell’editoria in Italia e nel Veneto

Qual è lo stato di salute dell’editoria in Italia? È un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o prima la gallina ovvero non avremo mai la risposta e potremmo commentare all’infinito a seconda del proprio punto di vista….Continua a leggere →

La scuola come laboratorio contro le guerre

I bambini di un asilo hanno prodotto un’opera d’arte, a modo loro, e su quel lungo foglio da loro decorato hanno scritto: BASTA BOMBE SULLA TESTA DEI BAMBINI! La fotografia dell’opera è stata pubblicata sui social media, ad esempio facebook…Continua a leggere →

San Martino 1910: Sebastiano Schiavon e il “caso Nichele”

Il giorno di San Martino, 11 novembre, è una data importante per la vita contadina fin dai tempi antichi. Infatti per tradizione scadono i contratti di affitto, di mezzadria dei terreni agricoli e anche i contratti dei salariati, la manodopera…Continua a leggere →

Il riuso dei luoghi dello Spirito

Il progetto per la navata della chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Padova Chiese ed edifici di culto rappresentano elementi di grande rilievo nel tessuto urbanistico cittadino. In tutto il mondo costituiscono veri e propri centri simbolici delle città….Continua a leggere →