I Colli euganei tra storia e natura

Una dichiarazione d’amore per luoghi unici

Così piccoli e purtuttavia così preziosi questi nostri monti, dove siamo nati, dove viviamo, dove ora, a diverso titolo, ospitiamo tanti fruitori.

Molti arrivano distratti, a svagarsi come in un parco giochi, ignorando il residente che ancora si china sulle sue piante, sfrecciando a rompicollo per vertiginose discese, felici della fatica e il brivido momentaneo dell’avventura.

Altri inseguono il mito dei buoni sapori di una volta e prosperano le trattorie, alcune custodi di antiche sapienze, altre inflazionate sull’onda della moda corrente.

Innumerevoli cantine offrono i loro vini variamente profumati secondo la varietà dei suoli, dei vitigni delle esposizioni…; variamente raccontati ai profani ed agli intenditori.

Frantoi d’antica tradizione continuano a ricevere pregiata materia prima da lavorare.

Da paesi diversi si viene a cercar sollievo nella cura termale.

E arrivano colti e raffinati visitatori a respirare le arie che furono del Petrarca e del Foscolo, di Montaigne e del Ruzzante, del Facciolati e del Barbieri e anche di Tommaseo, Fogazzaro e Zanzotto… Fioriscono pubblicazioni e targhe letterarie incise di alte scritture.

Anche i più distratti, andando a piedi o in auto, per un attimo trattengono lo sguardo sugli evocativi complessi segnati da torri e campanili, i piccoli nuclei raccolti intorno alla chiesa, alla villa o riuniti in corte. Tante impressioni da cogliere al volo ed approfondire nei testi di storia. Antiche mura cingono vasti complessi monastici o minori realtà conventuali dalle vicende lontane nel tempo impresse nel territorio e non del tutto ancora tramontate. Le aristocratiche architetture delle ville venete ingentiliscono le tenute agricole rese produttive dalla bonifica e sorridono lungo le rive dei canali, fondamentali vie d’acqua, autostrade d’altri tempi.

Ma l’unicità di questi luoghi divenuti sostanza unica con popolazioni ora più fitte, ora più rade insieme a mille varietà d’alberi e piante, insetti e fiori, animali selvatici e domestici in reciproco vitale interscambio, non nasce da mode passeggere, da vincenti scelte economiche, da eccelsi studi letterari, è il risultato di successive precarie composizioni in meravigliosi equilibri di vita, sempre nuovi, sempre diversi, mai stabilmente garantiti.

Indispensabile tassello nell’insieme è la costante presenza di residenti connessi al territorio, l’occhio vigile, la tenace osservazione di tecnici, biologi e naturalisti unita all’atavica competenza contadina che conosce pregi e fragilità di ogni pendio, che se ne prende cura sapendo e sentendo il da farsi.

Piccole cesure a misura di famiglia, con la semplice casa al centro faticosamente innalzata con sassi del luogo ancora si riconoscono, hanno fornito nei tempi bui il necessario all’autoconsumo, hanno trattenuto i nipoti ai luoghi dei nonni ed ora le case, solidamente ristrutturate appaiono residenze invidiabili per pochi fortunati. Raramente capita che qualcuna sia ceduta a chi arrivando con abbondanza di mezzi voglia farne una sua seconda casa, da frequentare saltuariamente con distrazione.

I residenti calpestano i sentieri di sempre, ripercorrendo i passi degli antenati, guardano con prudenza le alternative e le migliorie che dovessero, ad esempio, incidere un pendio dove si sostengono le radici del castagno. I residenti lasciano crescere il verde dove bisogna coprire la ferita di una cava, lasciano alla vegetazione spontanea zone aride di scarso interesse agricolo dove riprendono a fiorire piante rare, orchidee di straordinario interesse botanico, varietà di papaveri, piante altrove mai viste. I residenti sanno che le belle ginestre, cantate dal poeta, vanno contenute nel loro sviluppo, non devono invadere un ambiente soffocandone la diversità della vita.

Qualche arbusto, qualche pianta da frutto, un giuggiolo, un olivo per il consumo familiare, non monoculture per il commercio ed il profitto. In questo modo l’uomo e la vegetazione si sono associati tra i monti.

La vita in pianura e nella città segue i suoi ritmi, ma sui Colli sembra una forzatura che la proprietà privata si chiuda ermeticamente, che scientemente si lascino crescere i rovi a cancellare passati percorsi. Le rive più scomode, abbandonate, rapidamente vengono invase dalla boscaglia, da piante invasive d’altri continenti, come l’ailanto o il gelso da carta. Qualcosa sta sfuggendo di mano? Come si prospettano i futuri equilibri? Non ci sono automatismi, nel bene o nel male, la pregiata realtà dei colli è intessuta di presenze umane su cui grava una responsabilità.

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