Di che cosa è stanca la gente? Una riflessione
Dalla “pedagogia civica” del Presidente Mattarella al discorso del Vescovo di Milano
Guardando all’opinione pubblica mondiale, alle prese con guerre, impoverimento, incertezza del futuro, fragilità della vita, nuove tecnologie che distorcono le relazioni, vengono in mente le parole di Gesù: “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt, 9,36).
E se pensiamo ai leader politici rari sono gli esempi di discorsi capaci di offrire una riflessione potente sul futuro, di prendere per mano l’umanità e guidarla suscitando speranze, di essere appunto maestri di vita. Non sempre è stato così. Pensiamo a leader di diverso orientamento politico e valoriale, eppure capaci di parlare al proprio popolo con parole persuasive: pensiamo a De Gasperi, Moro, Togliatti, Berlinguer, La Malfa solo per citarne alcuni; suscitatori di consenso: con un discorso, con un articolo sui quotidiani tracciavano i cammini da percorrere insieme.
Oggi avviene molto raramente. I leader sono schiacciati sulle emergenze del presente, tentano di intercettare le emozioni rispondendo con qualche cinguettio in rete, con un po’ di propaganda più per suscitare un consenso immediato basato prevalentemente su contrapposizioni piuttosto che sulla capacità di proporre argomenti aggreganti. Bisogna ricorrere agli interventi del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, impegnato in una pedagogia civica sempre profonda.
Per questo mi ha colpito il Discorso alla città tenuto dal Vescovo di Milano Mario Delpini in occasione della festività di Sant’Ambrogio. Un discorso alto, che indica la profondità di una crisi antropologica che avrebbe bisogno di cure: da parte delle istituzioni, della politica, degli intellettuali, di chiunque possa essere maestro di vita…
Dice il Vescovo: “La gente non è stanca della vita, perché la vita è un dono di Dio che continua a essere motivo di stupore e di gratitudine. La gente è stanca di una vita senza senso, che è interpretata come un ineluttabile andare verso la morte. È stanca di una previsione di futuro che non lascia speranza. È stanca di una vita appiattita sulla terra, tra le cose ridotte a oggetti, nei rapporti ridotti a esperimenti precari. È stanca perché è stata derubata dell’“oltre” che dà senso al presente, sostanza al desiderio, significato al futuro”.
Il Vescovo individua una serie di stanchezze della vita che vanno appunto curate con dedizione e lungimiranza: “La stanchezza della gente non è per la fatica del lavoro, perché la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze. Lavora bene ed è fiera del lavoro ben fatto. La gente è stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti. […] La gente non è stanca della vita di famiglia, perché la famiglia è il primo valore, e il bene più necessario per la società, è la trama di rapporti che dà sicurezza, incoraggia, accompagna. La gente è stanca della frenesia che si impone alla vita delle famiglie con l’accumularsi di impegni e delle prestazioni necessarie per costruire la propria immagine, per non far mancare niente ai figli, per non trascurare gli anziani. La gente è stanca di quell’impotenza di fronte a un clima deprimente che avvelena i pensieri, i sogni, le emozioni dei più fragili, che induce tanti adolescenti a non desiderare la vita […] La gente non è stanca dell’amministrazione, dei servizi pubblici, delle forze dell’ordine, della politica, perché è convinta che la vita comune abbia bisogno di essere regolata, vigilata, organizzata. La gente è stanca, invece, di una politica che si presenta come una successione irritante di battibecchi, di una gestione miope della cosa pubblica. […] La gente non è stanca della buona comunicazione, perché la comunicazione è il servizio necessario per avere un’idea del mondo. Invece la gente è stanca di quella comunicazione che raccoglie la spazzatura della vita e l’esibisce come se fosse la vita, stanca della cronaca che ingigantisce il male e ignora il bene, stanca dei social che veicolano narcisismo, volgarità e odio”.
Il Vescovo non si limita a denunciare, compito pur importante perché di queste “stanchezze” non c’è grande spazio nell’agenda della politica. Indica anche la strada: “non possiamo sottrarci al compito di interpretare e affrontare la crisi antropologica che travaglia la nostra società. Siamo chiamati a comporre le tensioni che sembrano inconciliabili: sviluppo contro sostenibilità, crisi ambientale contro crisi sociale, dimensione globale contro quella locale. Occorre un punto di vista più alto, di tipo culturale e spirituale, capace di abbracciare i vari aspetti che sono contemporaneamente in gioco”.
Conclude così il Vescovo la sua lettera alla città: “Benedico la gente. Benedetti tutti voi abitanti di questa terra che portate il peso della vita con la dignità operosa di chi fa fronte, di chi ha fiducia nelle istituzioni e con realismo pretende quello che è dovuto perché la stanchezza non esasperi gli animi, non opprima i fragili, non condanni i poveri. Benedico voi che siete disponibili a portare i pesi gli uni degli altri e vi dedicate ad alimentare la speranza, a praticare una solidarietà senza discriminazioni, perché tutti possano affaticarsi nell’edificare la società e tutti possano trovare ristoro e riposo in questo nostro convivere”.
Cogliendo sempre l’occasione di ricordare la figura di Sebastiano Schiavon non possiamo che confermare che davvero la sua vita è stata dedicata all’impegno meritevole di benedizione che ci indica Delpini: un politico senza molto potere, sempre dalla parte degli ultimi, per questo tanto amato dal suo popolo che in migliaia accorsero al suo funerale.