“L’anno della fame” dopo Caporetto
Due drammatiche testimonianze nelle lettere indirizzate ad Antonio Toffanin
L’interessante articolo dal titolo “La tragedia del primo conflitto mondiale…” di Paolo Giaretta, inserito il 12 novembre ne Il Popolo Veneto, mi ha fatto ricordare che una parte del Veneto, dal Grappa al Piave è stata invasa, dopo la rotta di Caporetto, per un anno, dall’esercito austro-ungarico e germanico.
In quel periodo mio padre, allora diciasettenne, abitava a Villabruna, piccolo paese dell’altopiano della Val Belluna sopra Feltre, in quanto la sorella era gerente di quell’ufficio postale. Il 14 novembre del 1917 quella zona fu invasa da una fiumana di soldati austriaci , tedeschi, ungheresi, serbi, croati e turchi. Entrano nelle case, scacciano gli abitanti, distruggendo e rubando. Per meglio comprendere il dramma di quel terribile periodo nel feltrino, chiamato l’an de la fam, si possono leggere le lettere che due amici di Antonio, mio padre, gli scrivono all’inizio del 1919, appena dopo la fine della guerra. Antonio, classe 1900, era allora arruolato nel 3° reggimento genio telegrafisti nella caserma di Vobarno fronte ovest.
Lettera di Mariano Turrin
Fianema, 10 gennaio 1919
Carissimo Tonino,
finalmente mi decido a prendere la penna in mano per scriver … (del tu o del Lei?). Non ti annoierai spero, se verrò riassumendoti la storia del lungo anno di esilio, testé trascorso. Se ben ti ricordi, tu partisti da Villabruna il giorno di mercoledì 7 Novembre 1917. Ebbene in quel giorno stesso io, la Teresa Zollet, Egidio e Toni, di comune accordo, portammo tutto ciò che si trovava in cucina a casa tua nel tinello perché i balconi e la porta erano più forti ed era meno probabile che quelli del paese entrassero a rubare. Tutto inutile perché poi ai tedeschi non piaceva l’architettura interna della tua casa e allora pensarono di trasformarla. Anzitutto decisero che l’ufficio e la cucina erano troppo ristretti; perciò da bravi muratori abbatterono pareti e unitamente alla stanza dove c’era l’acquaio, fecero un’unica, ampia scuderia. Anche in cantina vedendo che vino non ce n’era più, pensarono di mettere i cavalli, e così pure nel tinello. Per salire al piano superiore pensarono che una delle due scale era superflua; perciò di quelle fecero fuoco e ne misero un’unica a pioli. Anche la tua camera sembrò a loro piccola; perciò abbatterono la parete che la divideva da quella di tua mamma ed altrettanto fecero in quella di tua sorella. Di balconi non ce n’è più nemmeno l’impronta e di mobili ed utensili se ne son perdute le tracce da undici mesi. Però con un po’ di perquisizione credo che non sarebbe difficile trovare gran parte della tua roba nelle case di Villabruna. Per evitare che ti vengano nuove infezioni a suonare le campane gli austriaci pensarono di requisirle tutte tre ed anche la campanella. Così pure fecero per le canne dell’organo; cospetto! eran di metallo! Non puoi immaginare quante volte abbia pensato a te durante questa guerra! Vedi? Tu mi dicevi sempre: I te interna satu! ed invece mi hanno lasciato indisturbato a casa. Ah, se tu avessi veduto che brava gente quei tedeschi! Rubavano tutto, distruggevano tutto! Anche il mio bel cavallino se lo son preso, la carrozza pure e via via, biancheria, rami, rotto mobili (il tavolo di tua sorella è salvo per miracolo) e tanti altri danni. E tutto così! Tutti i tuoi libri, eccetto quelli della 3^ Commerciale, li mettemmo in una cassetta e li portammo dal parroco. Quelli di 4^ li tenni io perché speravo che i tedeschi … riaprissero la scuola. Nei giorni seguenti mi recai ancora in casa tua, per saper le novità da quel soldato che si trovava in ufficio, il quale però ne sapeva meno di me. A proposito del tuo micio, senti come andò: un giorno di quella settimana, mi trovo in casa tua quando venne pure il Parroco. Vedendo il tuo bel gatto, (e sovvenendosi che in casa sua aveva molti topi) mi pregò di prenderglielo e di portarglielo in canonica. Difatti lo pigliai, ma quando fui sul sagrato della chiesa il tuo Gnigni, fece un bel salto, e non lo vidi più. Questo, mi pare avveniva il venerdì. Il sabato, nonostante il tempo orribile, mi recai a Feltre. Se tu avessi veduto che movimento di truppa! La domenica fecero saltare gran parte delle munizioni sparse nella campagna di Grum, abbandonando agli austro- tedeschi, turchi e bulgari quelle delle fornaci. Il lunedì pomeriggio mi recai a Feltre, per vedere il nemico che vi era già arrivato, e difatti vidi parecchi di quei lanzichenecchi, tutti austriaci, ed uno anzi mi diede dei biscotti e non puoi immaginare con che profondo inchino io gli abbia detto: Danke. Il martedì partii da casa che era ancora buio, per ritornare a Feltre e rivederli e prendere qualche roba che avessi potuto dai magazzini italiani abbandonati. Me ne ritornai a casa con poco o nulla, perché i tedeschi avevano cominciato a mostrare i denti e a sparare fucilate contro gli insistenti che volevano proseguire. Fucilate in aria però! Frattanto nel pomeriggio cominciò a passare una fiumana da non dirti soldati di tutte le razze, e cominciarono ad entrare per le porte e rubare e rubare. Alla notte la nostra casa fu un albergo e non puoi immaginare che confusione. Figurati che una bestiaccia di un crumiro andò a zeccare sotto la scala! Il giorno seguente la stessa musica e gli altri giorni ancora, un martirio da non dirti, spaventi da non dirti, figurati che minacciarono la mia mamma con la rivoltella, perché poveretta non capiva. Finalmente il venerdì mio padre pensò: qui non si può stare, domani abbandoneremo la casa e ci rifugeremo in montagna. E difatti il sabato alle due di notte fuggimmo dopo di aver sbarrato porte e finestre. Però il giorno seguente io tornai a casa e cercai di mettere in salvo quanto mi fu possibile.
La notte a dormire andavo in un’altra casa un po’ più distante dal luogo di passaggio. Fu la nostra fortuna ed insieme anche la vostra che sia ritornato a casa perché i mobili almeno non ce li rovinarono.
Di li a pochi giorni intanto ritornarono i miei genitori. Frattanto cominciò a diminuire il passaggio di truppa, ma cosa vuoi, appena finito il passaggio, cominciarono a ritornare altre truppe in riposo e li acquartierano tutte nelle case dei nostri poveri paesi. Villabruna sempre piena zeppa, Fianema, Soranzen, Grum e Arson lo stesso. Ti basti questo: è bravo colui che sia capace di trovare una casa, tanto qui che nelle montagne, dove soldato austriaco non abbia messo piede. Anch’io, purtroppo, fui obbligato ad ospitare di quei mostri, sia ufficiali che soldati, però, eccetto due volte, avevo sempre ufficiali, perché ai soldati dicevo: – Hier Offizier – Für Soldaten keine Platz (qui ufficiali – per i soldati niente posto).
Così passò l’inverno e alla primavera tutti cominciarono a lavorare la terra ed a seminare patate; e alla notte i soldati invasori andavano a raspare la terra ed a levare i pezzetti. A noi grazie a Dio, non le levarono. Ma il bello fu quando cominciarono a maturare; i soldati alla notte, erravano per le campagne come bestie fameliche e facevano strage delle nostre fatiche. Se volemmo salvarcelo fummo costretti a stare per ben venti giorni, di giorno e di notte a far la guardia. L’orario era questo: io stavo fino alla una, e dall’una in poi mio padre. Questo avveniva agli ultimi di giugno, primi di luglio. Agli ultimi di luglio invece cominciarono a rubare le taccole ed allora nuovamente di guardia al campo. Ma con questo orario: fino alle undici di sera e dalle 3 del mattino in poi.
Figurati come mi ingrassavo, Mangiar poco e dormir meno, ottimo ricostituente; facilmente digeribile! Ero ridotto che pesavo 44 Kili.
Fino ai primi di ottobre, quando tutti, benché immaturo, raccolsero il grano, una notte intera non l’ho mai dormita.
Riguardo al mangiare cominciammo a passarcela meno male ai primi di settembre, quando venne in casa nostra un comando austriaco (nientemeno che un Stationskommando) cosa grande per Fianema. Il comandante, un boemo, era buonissimo. Nulla più ci mancò: pane, condimento, caffè, carne, brodo perfino con le uova dentro. Fu allora che cominciai ad ingrassarmi. Quel Kommando rimase in casa nostra fino a due giorni prima dell’entrata degli Italiani. Per darti un’idea della bontà di quel boemo, ti basti sapere che fu lui stesso che si offerse di mettere i tuoi e i nostri materassi nel Verrllegs- Magazin (magazzino della sussistenza) situato nella nostra cucina. Ed in egual modo ci nascose il grano. Immaginati la nostra gioia quando il 29 ottobre 1918 entrò nella nostra cucina, situata di sopra, nell’ex camera da letto, e ci disse: Es ist für uns Richzug (Noi ci ritiriamo).
Se voi foste rimasti a Villabruna, sareste stati costretti a far servire la vostra casa da S. e R. caserma. Figurati che anche il Parroco fu costretto ad ospitarne in permanentia. A proposito, il tuo zeccatoio fu distrutto, abbattuto il noce, i pez, le viti, tutto tutto.
Don Amedeo si trova ancora a Lamon; figurati che gli avevano fatto il zeccatoio in soffitta. E là Cielo – Sancti Dei, quando avrà visto i tedeschi! Beppe Pante si trova qui a Villabruna, immerso nel suo latinorum. Egidio ha scritto una succinta e nello stesso tempo ampia descrizione della permanenza dei tedeschi; è una bella operetta che merita di essere letta. Ti ricordi del cagnolino trovato l’anno scorso sulle ghiaie del torrente Stien? Come correva!! E le mele dei Condi? quest’anno di frutta nemmeno l’ombra. Munari e Segato non hanno più fatto capolino. La Crutta, sarà andata alla scuola di Segato in Firenze? Che vuoi? io li ricordo tutti con affetto i miei compagni, ma quell’antipatico pesce di Caorame non mi va proprio a genio. E il signor Gallistro? (Gallo) Chissà dove sarà! Chi ti avrebbe detto l’anno scorso, quando passasti in faccia al monte Tomba (sopra Fener) che quello sarebbe stato un luogo così celebre? E il monte Grappa?
Stando a Lasen, da Tatto, lo si vede benissimo, di fronte, e si distinguevano anche i colpi dell’artiglieria. Che dirti poi del fracasso, quando c’era l’offensiva. Fra il Grappa e il Tomba era tutto un pum- pum- pum. Termino col salutarti caramente e pregandoti di scrivermi presto. Ricevi un saluto da Pante, dal Parroco, ed un affettuoso abbraccio dall’aff.mo Mariano.
P.S. Faccio seguito alla mia lunga lettera col notificarti quanto segue. Il Sig. De Tofoli Pasquale (Pasquale Stort) dal Bosco, l’anno scorso, prese della roba a casa tua (un cantonale, quadri ecc.) per metterla in salvo. Adesso appena arrivati gli italiani, egli la denunciò, essendo ciò prescritto dal Comando; ma qui està el buselles. Adesso, il governo passa e raccoglie tutta la roba denunciata. Ai De Tofoli, rincresce dover consegnare questa roba, immaginando che ciò non tornerà gradito a tua sorella, perciò Lei (tua sorella) dovrebbe fare in questo modo: mandare a me o al Sig. De Tofoli una dichiarazione scritta, nella quale essa manifesti il suo desiderio che la roba rimanga presso De Tofoli Pasquale, fino al suo ritorno. Mi hai capito? Ma bisognerebbe procedere con la massima sollecitudine, quindi tu scrivi oggi stesso a tua sorella, e che lei risponda subito mandando il biglietto dichiarativo.
Non so se nella mia lettera avevi capito che Egidio durante il dominio austriaco fu maestro elementare a Villabruna, insieme con la Maria De Tofoli. Insegnava ai marmocchi di prima e seconda, ed io andavo spesso a coadiuvarlo, mettendo il terrore fra quei poveri marmocchi. Figurati che in un giorno ne ho messi in castigo la metà. Anche Antonio Facchin fu maestro, ma per pochi giorni solo. Quindi quando scrivi ad Egidio, fagli le tue congratulazioni, dandogli del Lei se vuoi che lui ti dia del tu… addio di nuovo. Dein sehr lieber Freund.Marianus Orts-Kommandant
Sai perché mi sono firmato: Ex Orts- Kommandant (?) Già Comandante del paese? Per questa ragione: siccome i tedeschi occupavano le stanze da letto dei borghesi, io feci ad Egidio una carta da affiggersi sull’ uscio della sua camera, così concepita in tedesco: Occupato da borghesi; è proibito entrare sia ai militari che agli estranei. Der Orts Kommandant-Marianus.
E questa carta servì a meraviglia. Un giorno in cui un ufficiale voleva occupare la sua camera, al vedere quella carta disse: Ah! gut – gut – nein – nein – nicht belegen (Ah – bene – bene – no – no – niente occupare). Questa carta Egidio la conserva come … documento storico e quando verrai te la mostreremo. Letto e ponderato bene tutto ciò che qui è narrato Pilotto Egidio ne conferma la verità.
Mariano Turrin
Lettera di Egidio Pilotto
Villabruna, 19-2-1919
Antonio caro,
ora, reduci dalla barbarie austro-germanica e inneggianti all’italico liberatore, possiamo esprimere liberamente i nostri sentimenti d’ Italianità e di patriottismo, ed esecrare l’odiato invasore. Sarebbe pazzia il voler descrivere quest’anno d’invasione, lo spazio è angusto e la mente si perde in quel caos d’avvenimenti troppo tristi; proveremo a riassumere un po’. «Gli austriaci non hanno lasciato alla popolazione altro che gli occhi per piangere.» Non parliamo dei germanici, nuovi Vitelli, entrati a Villabruna il 14 novembre, che ci han lasciato un ricordo permanente della loro cattiveria e voracità, galline e maiali erano il loro pasto preferito, l’abbondante deposito d’uova di Guadagnin li ha serviti di frittate per tre giorni e, non bastando le nostre pentole, si sono serviti dei vasi da notte. I Germanici almeno han sfogato il loro appetito e non essendo punto lor favorevole il Grappa, se ne sono andati, ma gli austriaci si son resi odiosi per le loro continue vessazioni e requisizioni, ci han portato via tutto, persino le camicine e i calzoni da bambini, tutte tre le campane, (ora fa onorevole servizio sul nostro campanile una campana da Umin, che, nella precipitosa ritirata, han dimenticato) le posate, i piatti; non parliamo poi degli oggetti preziosi, del rame, che per sottrarlo alle loro perquisizioni, si ha dovuto sotterrarlo a rischio, se veniva trovato, d’essere messi in prigione e se l’andava bene anche d’andare a far una visita gratis nell’interno. I tuoi rami, aggiungo fra parentesi, sono salvi, senza manichi però, il Parroco gli ha nascosti al N° 100 e, al contatto con quella dose, i manichi han ceduto. Noi al giorno seminavamo le patate, ed essi di notte le dissotterravano. Tutti i prati erano a lor disposizione, da per tutto era pascolo, in luglio han cominciato a rubar teghe, le pannocchie immature erano lor cibo quotidiano, ed intanto la povera popolazione si cibava d’erbe, dimagriva e moriva ogni giorno sempre più; la mortalità è stata enorme: otto volte maggiore che nei tempi normali, senza latte, perché le mucche erano state rapite, senza nessun alimento adatto, senza medicine, gli animali morivano come le mosche. Il nostro Vescovo andò ad Udine per implorare dal Comando Supremo austriaco dei provvedimenti che impedissero alla popolazione di morire: fu schernito e cacciato via.
Ma le campane che dovevano suonare a gloria per noi suonarono l’agonia per l’Austria: essa infatti dopo un anno dovette fuggire precipitosamente dalla nostra vallata incalzata dalla prode e forte armata del Grappa, il primo novembre gli Italiani erano tra noi. Speravo vedere fra quegli arditi anche Tonin, che avrebbe veduta la sua casa bene in assetto, la cucina e l’entrata ridotte ad un’ampia scuderia, il salotto e la cantina puzzano ancor oggi da letame, alla spaziosa scala ne venne sostituita una a pioli, la camera sua e quella di sua madre ad un’ ampia camerata, quella di sua sorella una latrina, in soffitta non si può andare, di scala neanche il segnale, delle porte, finestre e balconi non esistono più neanche le ceneri. Mariano da un mese, è cresciuto otto chilogrammi, se lo vedesse che paffutello, s’ingrassa a vista d’occhio, all’ombra della lugubre bandiera austriaca sembrava un cadavere ambulante, spuntato all’orizzonte il tricolore italiano si riebbe ed ora sembra un cuoco. Noi stiamo bene, e lei? Infiniti saluti ed auguri dal Parroco, dalla Teresa Zollet, dai miei genitori e uno particolare dagli amici Egidio e Mariano.
La lettera particolareggiata e scherzosa di Mariano e quella più dura e seria di Egidio ci offrono uno squarcio molto interessante e drammatico del terribile anno della fame, tanto che ancor oggi, dalle nostre parti, quando qualcosa si protrae per lungo tempo si dice: “la se longa come l’ano dea fame”, cioè senza fine.