Giuseppe “Bepi” Modolo, una vita dedicata e consacrata all’arte

Suoi affreschi di grandi dimensioni, pale d’altare, mosaici e vetrate si trovano in chiese delle Diocesi venete, ma anche in Italia e all’estero

Fra gli artisti del “Secolo breve” che hanno lavorato in area feltrina e bellunese, in chiese e luoghi sacri provinciali, ce n’è sicuramente uno che merita di essere rivalutato dopo qualche decennio di oblio.  È Giuseppe Modolo, chiamato familiarmente Bepi da parenti, amici e committenti. Sono soprattutto ad affresco le opere prodotte dal pittore di origine trevigiana che possiamo ammirare ai piedi delle Dolomiti Bellunesi, come in riva al Piave, al Livenza o al torrente Chiampo; partito dal Trevigiano, consolidato nel Pordenonese, approdato nel Vicentino.

Giuseppe Modolo nasce nel 1913 a Mareno di Piave da famiglia umile, dedita all’agricoltura, ma ha la fortuna di essere preso sotto l’ala protettrice di un sacerdote, monsignor Morando, che intuisce il “fuoco sacro” che anima il giovane “Bepin” quando con i suoi cari si trasferisce a Santa Lucia di Piave. Qui viene istruito alle arti da Riccardo Granzotto (1900-1947), il futuro beato Fra’ Claudio, francescano e colto scultore, che impartisce a Bepi tutti i rudimenti della pittura e delle arti plastiche, che farà proprie soprattutto nella sua prima produzione. In seguito avrà modo di frequentare, negli anni Venti, lo studio del grande pittore zumellese Luigi Cima, nel suo studio di Villa di Villa, dal quale apprenderà l’amore per il paesaggio, la lezione del colore e della luce, rinforzandosi nel ritratto e nella natura morta, oltre che nella descrizione del sacro. Anche l’architetto Domenico Rupolo sarà suo mentore, scegliendolo fra altri per le chiese da lui progettate o ampliate. Ma la lezione a contatto con grandi del suo tempo non si esaurisce qui: a Vicenza, più tardi, studierà disegno all’Accademia Olimpica di Vicenza sotto lo sguardo attento di Pierangelo Stefani e Ubaldo Oppi, che lo indurranno a seguire l’estetica della corrente “Novecento”, col suo preciso invito ad un “richiamo all’ordine”, piuttosto che a farlo trasportare dalle correnti avanguardistiche di “rottura” con il passato.

Nonostante i suoi capolavori risiedano per lo più nelle chiese ed edifici di culto della Diocesi di Ceneda-Vittorio Veneto (si vedano i suoi lavori nelle Santa Lucia di Piave, Vittorio Veneto, Conegliano, Falzé di Piave, Moriago ed altre) e della diocesi di Vicenza (Creazzo, Chiampo, San Pietro in Gu), o nel Veronese, egli venne chiamato a produrre arte sacra, affreschi di grandi dimensioni, pale d’altare, mosaici e vetrate anche in altre parti d’Italia come all’estero. Fra i lavori più importanti all’estero merita citare l’Istituto Effetà di Betlemme, per la cui chiesa Modolo realizzò nel 1970 la Nascita di Gesù.

Nel Feltrino sono quattro le chiese dove ha operato, in periodi diversi, a partire dagli anni ‘30: un encausto nel soffitto della chiesa di Tomo, affreschi ai lati del presbiterio a San Giacomo Maggiore e nella cripta di Santa Rita in via Mezzaterra, nella chiesa di San Luigi Gonzaga presso l’ex seminario vescovile e, per chiudere, nella chiesa del Sacro Cuore in via Belluno, del 1976. Altre sue opere si possono ammirare a Cordellon (Borgo Valbelluna), nell’arcipretale di Cesiomaggiore, nella chiesa dell’Istituto Sperti di Belluno, a Pieve di Cadore nella chiesa arcidiaconale (il disegno per il mosaico della facciata e per le vetrate della cappella invernale), nella chiesa di San Lucano di Auronzo.
Nonostante la sua opera risenta di un profondo studio dei classici di tutte le epoche, il suo stile non si è lasciato condizionare dall’imitazione dei modelli. Le sue opere sono intrise di una profonda e partecipata spiritualità e di una ricerca personale di avvicinamento e contatto con Dio: pur mantenendo il difficile rapporto fra una committenza esigente – non sempre incline a concedere libertà d’espressione, o poco propensa a lasciarsi guidare dai dettami del Concilio Vaticano II – e il desiderio di essere immediatamente compreso dallo sguardo dei fedeli, la sua produzione è unica e subito riconoscibile ovunque la si ammiri. Le sue forme plastiche, apprese dalla lezione del beato Granzotto, la spiritualità instillata in lui da monsignor Morando prima e dal romano Padre Eugenio Cambié poi, la vivacità della personalità che emerge nei ritratti di derivazione cimesca, come anche la vicinanza alla rappresentazione del “vero” del Cima di Villa di Villa, ed infine, i valori quasi da “realismo magico” di Ubaldo Oppi, fanno di Bepi Modolo uno degli interpreti più riusciti nell’arte sacra nel panorama del Novecento. Senz’altro da riscoprire e da ammirare con occhi nuovi.

Modolo si congederà da questo mondo nel 1987, poco dopo aver fatto visita al santuario di Fra’ Claudio di Chiampo (VI), per un ultimo e intenso saluto al suo Maestro. “Ora che buona parte della mia strada è stata percorsa – scrisse – voglio e sento di poter dire che nonostante gli intimi travagli dell’uomo che guarda alla vita con occhi d’infinito, l’arte fu sì tutta la mia vita, ma la fede e la mia famiglia furono l’unica ragione per poterla percorrere”.

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