Antonio Barolini, un poeta dimenticato
Era contrario ad ogni modernità, nella sua esistenza quotidiana come nell’opera in cui esaltava la civiltà contadina, e per questo fu emarginato in vita e anche dopo. Ma fu amico di Montale e andrebbe riscoperto
Per l’occasione del centenario della nascita di Antonio Barolini, poeta vicentino, a Vicenza, erano presenti anche le tre figlie, di cui la più nota Teodolinda è famosa per i suoi studi danteschi. Fra tutti gli scrittori vicentini Barolini è caduto in un oblio assoluto e lo stesso convegno è stato ignorato dalla grande stampa nazionale. Totalmente irrecuperabile alle istanze della modernità e delle nuove tendenze della poesia del Novecento, Barolini fu un poeta “di zona” come lo ha definito Silvio Ramat, docente di letteratura italiana all’università di Padova, che nel 1964, in occasione della pubblicazione de Il meraviglioso giardino, scrisse un articolo “molto negativo e feroce” contro la sua poesia che esaltava gli usi e i costumi della civiltà contadina, si mostrava resistente alla motorizzazione generalizzata, dipingendosi come un nostalgico delle carrette, delle carrozze, degli asini, dei cavalli e della sua bicicletta e polemizzando contro l’amico “Candide” (pseudonimo dell’ingegner Canfori, l’unico del gruppo di amici vicentini che possedeva una Fiat) che, con la sua automobile, passava per strade polverose levando un grande starnazzare di galline ed abbaiare di cani. “Oggi parlare di Antonio Barolini” ha detto Ferdinando Bandini “significa ricostruire non soltanto la figura di un uomo che ha avuto un destino così singolare e un’importanza così marcata nella città, ma ricostruire un capitolo della nostra storia”. Di lui scrisse l’amico Eugenio Montale che “non nacque moderno e non fece nulla per diventarlo”, ma sua figlia Teodolinda gli ha risposto: “sarebbe meglio dire che Barolini non ha mai mosso un dito per diventare modernista, ma i problemi su cui medita non potrebbero essere più moderni”.