Zanzotto euganeo: i Colli come un’Arcadia
Un libro indaga il legame del grande solighese con il territorio padovano, da lui descritto senza le invettive indirizzate a molti altri luoghi vittime del “progresso scorsoio”
L’itinerario poetico di Andrea Zanzotto attraversa più di mezzo secolo, dall’Italia del secondo dopoguerra al primo decennio del XXI secolo. Ripercorrere questo arco di tempo significa soffermarsi su una metamorfosi che ha messo in difficoltà storici e sociologi, economisti e antropologi; questo stesso periodo – i suoi mutamenti, soprattutto i suoi deterioramenti – ha intrigato fin dall’inizio il poeta, testimone attento e ipersensibile del profondo cambiamento che ha investito il nostro paese, sopraffacendo in particolare la realtà del Veneto a lui più cara. Come ha scritto il suo amico Marzio Breda nel libro intervista del 2009 In questo progresso scorsoio. Conversazione con Marzio Breda: “Zanzotto non ha mai cessato di sondare e dissodare il paesaggio della propria terra […] facendone emergere gli strati più sepolti e ricavandone versi lampeggianti e profetici”.
Nell’ampia conversazione con Breda non sono pochi i momenti dedicati al tema del paesaggio. Ascoltiamo il poeta: “L’aspetto più urtante, almeno visualmente, di come è cambiato il Veneto è proprio l’aggressione al paesaggio. Alla scomparsa del mondo agricolo ha corrisposto una proliferazione edilizia inconsulta e casuale […] con un’erosione anche fisica del territorio attraverso diverse forme di degradazione macroscopica dell’ambiente. Ora, tutta questa bruttezza che sembra quasi calata dall’esterno sopra un paesaggio particolarmente delicato, sottile sia nella sua parte più selvatica come le Dolomiti, sia in quella più pettinata dall’agricoltura, non può non creare devastazioni nell’ambito sociologico e psicologico”. È soprattutto a partire dagli anni Sessanta che l’osservazione di questa violenta e inarrestabile trasformazione si fa più acuta e di conseguenza più dolorosa. Quell’ambiente agreste che aveva a lungo ammirato e frequentato negli anni dell’infanzia a Pieve di Soligo e nei borghi bucolici sparsi sulle colline che fanno corona al paese natale, è stato investito da furiose ondate di cemento che ne hanno alterato l’aspetto in modo traumatico. Nemmeno il vicino Montello, dopo il flagello della guerra, si è salvato dall’invasione di “villette di marzapane” (come direbbe Montale), e bisognava quindi allontanarsi dalla furia globale, rintanarsi ancor di più lungo la stretta valle di curve e curve e curve, raggiungere l’amico Nino a Rolle per ritrovare un paesaggio risparmiato dall’orrenda proliferazione di bruttezze.
C’è però un altro paesaggio veneto separato da quello che abbiamo imparato a conoscere nella sua opera poetica, i Colli Euganei, che Zanzotto ha frequentato per tanti anni e descritto in molte opere poetiche e in prosa. Questo territorio, che per molti aspetti riflette proprio quella trasformazione negativa di cui il poeta si è lungamente lamentato, soprattutto per via delle innumerevoli cave di trachite, è stato preservato curiosamente dalle sue invettive e descritto solamente per gli aspetti naturali, per la bellezza eccentrica, per la secolare e importante tradizione letteraria, senza indicarne gli aspetti del degrado che purtroppo molti conoscono. Eletta come la sola Arcadia veneta, di questa realtà ha saputo riconoscere le suggestioni letterarie, ritrarre le peculiarità geologiche, immergersi nel labirintico intrico dei sentieri che lo hanno tante volte ammaliato. Merito del Petrarca? O dei racconti euganei di Concetto Marchesi, di Diego Valeri, di Alfredo Comisso, di Giulio Alessi e di Giuliano Scabia? O di chi altro? Questo attraversamento da nord a sud compiuto da Zanzotto del paesaggio euganeo nella sua lunga fedeltà a questo territorio, da Teolo a Este e Calaone, forse ci aiuterà ad avere qualche risposta, o almeno a muoversi, formicolare con lui, invischiati dolcemente e acremente in successivi paradisi…
